Sosta di piazza Trilussa, Trastevere. Ore 14.00. Fermo alla mia sinistra, vicino al mio sportello, un tipo su una Harley Davidson. Mentre attende che il semaforo davanti a lui scatti verde, inganna il tempo sgasando a tutto spiano. Il rumore che produce è assordante, ed io, che nel taxi sto leggendo, chiudo il finestrino. Lui se ne accorge, e mi bussa sul vetro. Lo riapro.
– Ma che te da fastidio il rombo del mio motore per caso? – mi chiede fiero.
– Sì – rispondo.
– Lo sapevo! Nun capisci niente de Harley! Ma come fa a non piacette sto suono! Sta musica!
Mi sporgo dal finestrino. Lo guardo. Robusto, capelli lunghi che fuoriescono sciolti da un casco senza visiera e non integrale, barba incolta, carnagione abbronzata e giubbotto e pantaloni di pelle nera. Fin qui tutto a posto. Harleysta doc. Poi però abbasso gli occhi e gli vedo le scarpe. Un paio di superga bianche.
– Hai ragione non capisco niente di Harley – gli dico – però anche un bambino sa che gli harleysti, quelli seri, indossano stivali e non…superga bianche.
La fierezza dal suo viso sparisce in un attimo, lasciando il posto ad una smorfia tesa. Sta per dirmi qualcosa, ma poi rinuncia, riporta gli occhi sulla strada e appena scatta verde riparte. Sgasando, naturalmente.