Guida all’infelicità

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Essere infelici è un’arte. Un’arte che pratichiamo benissimo da molti anni e nella quale tutti sembriamo voler eccellere. Almeno secondo Paul Watzlawick, che nel suo “Istruzioni per rendersi infelici”...

 

Essere infelici è un’arte. Un’arte che pratichiamo benissimo da molti anni e nella quale tutti sembriamo voler eccellere. Almeno secondo Paul Watzlawick, che nel suo “Istruzioni per rendersi infelici” (Feltrinelli) cita nelle prime pagine Dostoevskij e l’ingratitudine umana: quando un uomo ha tutto, farà di tutto per ritornare ad essere infelice.

E le insidie di questa nostra tendenza innata si nascondono ovunque, ma sono più visibili che mai nella comunicazione umana: dai rapporti con i vicini, alle relazioni sentimentali, dalle psicosi al linguaggio quotidiano. Tutto sembra essere terreno fertile per l’infelicità, perché, come sottolinea (ironicamente) Watzlawick, l’infelicità è necessaria quasi come l’aria che respiriamo.

Così necessaria da renderci abilissimi nel trovarla anche laddove non c’è e nel cercarla dove non è mai esistita. E così guardiamo alla nostra infanzia come l’età felice, perché niente ci sembra più bello e gratificante di quello che non c’è più. O ci ostiniamo a conservare il nostro punto di vista in ogni situazione, eternamente fedeli a noi stessi e alle nostre opinioni. Eppure per essere felici basterebbe non voltarsi più indietro, andare avanti, interrompere vecchi e perversi meccanismi. Guadagneremmo serenità, ma perderemmo lo squisito dolore dell’infelicità.

Quello squisito dolore che è tanto necessario alla specie umana da essere diventato il suo tratto distintivo. E così anche una semplice conversazione tra vicini o una serata romantica tra marito e moglie può trasformarsi nell’archetipo dell’infelicità.

Niente facili illusioni: neppure la psicoanalisi può aiutarci a ritrovare il sorriso, né tantomeno i guru dai facili consigli che riempiono le librerie. Per essere felici basterà soltanto fare tutto il contrario di ciò che scrive Watzlawick.

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