Per lui le librerie sono luoghi sacri. Chiese, cattedrali. Sono mari, oceani di libri in cui nuotare libero. Una distesa infinita di piacere. Per lui le librerie sono la vita…
La giornata è calda e umida. Il traffico di Roma si sta trasformando in quella distesa d’aria collosa che impregna le giornate estive. Entra nella grande libreria che si affaccia su Largo Argentina. Girovaga per gli scaffali, in attesa di qualcosa, di un innamoramento improvviso. Sì, qualche idea chiara ce l’ha ma la passione, il desiderio può nascere all’istante guardando la copertina di una novità editoriale, annusando le pagine di un classico. Vivendo in quella inestimabile emozione cartacea. Mentre sfoglia alcuni tascabili Einaudi ha però una strana sensazione. Come se fosse osservato da qualcuno, vivisezionato quasi. Con la coda dell’occhio vede qualcosa di celeste entrare nel suo campo visivo. Non ci fa caso. Il caldo, il traffico, la giornata lavorativa. Forse è stanco, deve riposarsi. Prende comunque un tascabile einaudiano: una selezione di discorsi, di interviste di Berlinguer. Entra in un’altra stanza; dopo essersi ubriacato di copertine e aver toccato, sfogliato parecchi testi, prende una piccola raccolta di racconti di Solženicyn, edita da Jaca Book. Va nella sezione dei saggi letterari. Prende un altro tascabile Einaudi, c’è lo sconto d’altronde (il saggio di Matteo Nucci sui miti greci). Ad un certo punto quella cosa celeste rientra nel suo campo visivo, ma è un breve spazio di tempo. Quasi un sogno. Ritorna nel corridoio centrale. Commessi vanno e vengono a soddisfare le richieste dei clienti. Torna indietro, sale le scale. La sala dei cd è stata ristrutturata. Sulle pareti ci sono file di chitarre acustiche ed elettriche a far bella mostra di sé. Passa una mano sulle corde di una chitarra. Da un po’ di tempo gli ha presa la voglia di imparare a suonarla. Prende un cd, Il fischio del vapore. Marini e De Gregori insieme. Va dall’altra parte della stanza. Si attarda un attimo sulle novità. Il colore celeste rientra inaspettatamente nel suo campo visivo. Si gira, è un addetto alla sicurezza della libreria. Strano, di solito sono sempre alle uscite. Molto di rado salgono al primo piano. Forse vorrà vedere qualcosa anche lui, vorrà comprare un disco. Si volta, passa ad un’altra fila di cd. Alza la testa, adesso vicino alle scale c’è il collega dell’addetto alla sicurezza, un sudamericano, che sembra fissarlo. Gira la testa, la mano gli trema un po’. No, non è niente. Suggestione. Gli viene in mente Il processo di Kafka. Ecco, pensa, sono venuti anche per me. Ma cosa ho fatto io? Qual è la mia colpa? Ha già in mano quattro acquisti. Qui a Largo Argentina ci viene da una vita. Da quando andava al ginnasio, al liceo. L’ha vista mutare, cambiar pelle questa libreria. Ha visto invecchiare impiegati e addetti alle vendite. Potrebbe essere un buon addetto alle vendite. Conosce benissimo ogni angolo della libreria. Non ci vuol credere. Fa una prova ulteriore. Va al bar. L’addetto alla sicurezza, il sudamericano, lo segue. Al banco ordina un caffè, l’altro un caffè d’orzo. Lui si mette a sedere con le cose che ha preso. L’addetto parla qualche secondo con la donna del bar, poi guarda verso di lui. È uno sguardo gelido, uno sguardo estraneo. Sì, pensa lui, tra poco ci sarà l’esecuzione. Ha quasi un mancamento al pensiero. Si sente come se non fosse più libero di pensare, di parlare, di inghiottire perfino la propria saliva. Forse adesso capisce cosa voleva dire vivere nella DDR o nella Romania di Herta Müller. L’addetto saluta la donna e si allontana, ma prima gli rivolge un altro sguardo sospettoso. Lui guarda fisso davanti a sé, deve capire, vuole capire cosa sta succedendo. Vuole guardare l’altro. Glielo vuole dire, fargli intendere che ha capito. Dopo qualche istante vede l’addetto al piano di sotto, ma lui è già pronto. Ricambia lo sguardo, l’addetto gira la testa. Ti ho visto, ho capito, vorrebbe gridargli da sopra. È inutile che fai finta adesso. Quando ci sarà l’esecuzione, qualcuno almeno gli dirà il capo d’imputazione? Adesso vuole sapere, deve sapere. L’altro da sotto continua a passare diverse volte, ma lui ormai non distoglie più lo sguardo. Se dev’essere un processo, pensa, che lo sia fino in fondo. Vorrebbe lasciare i suoi acquisti sul tavolino e andarsene via. Ma così sarebbe come approvare la sua colpa. E la sua esecuzione. Continua a guardare di sotto. L’addetto adesso è imbarazzato. Fa un gesto con le braccia. Ok? gli dice. Ok cosa?, vorrebbe chiedergli. Sei tu che mi stavi guardando. Cos’è, vorrebbe gridargli , non è più consentito girovagare per una libreria, senza capire quello che si vuole comprare? È un delitto? C’è una direttiva della libreria che impone di sterminare chi girovaga così senza meta, come se fosse “uno zingaro di libri”? Soltanto chi entra con le idee ben chiare è accetto, chi entra e va direttamente dal commesso col titolo che vuole comprare? Forse è cominciata così anche nella Germania nazista, ma lì almeno i libri li bruciavano prima. Avevano il buon gusto di non credere alla cultura, come sembra fare questa libreria e la casa editrice che ne è titolare. Adesso non vede più nessuno. Si alza e il caffè che ha bevuto gli restituisce in bocca un enorme tristezza. Paga, sorride alla barista, ma ha le gambe che gli cedono. Non c’è neanche rabbia. Soltanto tristezza e debolezza. Scende, va al reparto dvd, ma ha gli occhi che non riescono a cogliere più niente. Adesso vuole soltanto uscire. Va alla cassa e paga. Non c’è più nessun addetto che lo segue. Dopo aver pagato esce, poi rientra dall’entrata dove c’è lui. Inutile raccontare il resto: l’altro gli dice che non era vero niente, che né lui, né il suo collega lo hanno mai seguito, mai pedinato. Lo giura sulla madre (continua a ripetergli “te lo juro, te lo juro”) che è morta a Cuba. Il responsabile della libreria ha l’autorevolezza di un pesce rosso in un mare di squali. Eppure il cliente dovrebbe avere sempre ragione. Va bene tutto risolto, basta che esca da lì. Il cubano gli dice che domani, se vuole tornare, prenderanno il caffè insieme. No, vorrebbe dirgli, mi basta quel tuo sguardo gelido di prima. È lo sguardo dell’altro da sé, della non conoscenza, dell’ignoranza che vince. È lo sguardo della barbarie. E di questa maledetta crisi economica che ci rende non fratelli l’un l’altro, ma lupi affamati. Adesso è tutto inutile. Se ne va e vorrebbe che tutto questo fosse soltanto un brutto sogno. Gli viene in aiuto un libro che sta leggendo e che proprio la sera stessa gli fornisce la frase che stava aspettando: “O forse, addirittura tutto questo non è mai esistito e me lo sono soltanto immaginato…”. Per questo crede ancora che i libri ci salveranno la pelle.