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E’ attrice conclamata ormai, attrice di nome e di fatto, è scritto su Wikipedia (che per essere precisi dice attrice russa)

È attrice conclamata ormai, attrice di nome e di fatto, è scritto su Wikipedia (che per essere precisi dice attrice russa), è anche scritto sull’ordine del giorno del film che sta iniziando a girare oggi, suo primo e unico giorno di lavoro su un set cinematografico, dopo tante piccole, ma tanto piccole partecipazioni a fiction televisive che neanche i suoi genitori quando hanno guardato i dvd che lei ha inviato via mail sono riusciti a riconoscerla, un po’ per la difficoltà linguistica, un po’ perché una volta interpretava un cadavere ed era ricoperta di sangue, un’altra avevano disgraziatamente montato solo l’inquadratura che lei era di spalle, un’altra ancora aveva una maschera che le copriva il volto, ma il corpo si vedeva benissimo, avrebbero dovuta riconoscerla da lì, sono o non sono i suoi genitori? Ha lavorato sodo per guadagnarsi il tanto agognato titolo, per passare da modella a velina e infine attrice, più prestigioso di modella che le avevano affibbiato quando è arrivata in Italia e faceva quelle foto artistiche, più stimabile di velina che al massimo se ti va bene sposi un calciatore, ma si è data da fare eh, mica le è arrivato dal cielo, ha girato tutti gli uffici di produzione, ha insistito e ottenuto appuntamenti con produttori, funzionari e politici, è stata brava, ha dimostrato quello che sapeva fare, ha chiesto e ottenuto, e allora lo ripete, lo ripete a tutti quando si presenta, dice nome e cognome e subito dopo recita una pausa, come se fosse una virgola, e con voce impostata dice ‘Attrice’, sì, maiuscolo, e poi alza la testa in segno di sfida, venitemi a dimostrare il contrario.
Non ancora trentenne oggi si spalanca davanti a lei una carriera di tutto rispetto, oggi che il suo viso, inespressivo ai più, ma di porcellana, su questo non c’è dubbio, sarà impresso su pellicola, e sarà proiettato sul grande schermo.
E’ già stata truccata, pettinata e vestita, è pronta. Le hanno assegnato una sedia di quelle di legno e tela, pieghevoli, a pochi metri al tavolino dell’acqua e del caffè, all’ombra della roulotte del protagonista. Non ha una roulotte tutta sua, oggi, ma l’avrà, un giorno non lontano l’avrà.
Con questo film girerà il mondo, ha in mente un piano per convincere il regista a portarla sempre con sé, eh eh sarà uno scherzetto convincerlo, data la differenza di età. Già si vede al suo fianco: con lui solcherà tappeti rossi ai festival e indosserà abiti scintillanti, sarà invitata a cene e incontri importanti in cui potrà solo sorridere e non dovrà più dire ‘Attrice’ perché il film lo dirà per lei, e saranno gli altri a dirlo di lei, dopo che avrà sfilato o sarà entrata in una sala che aspetta solo lei.
Siede in pizzo in pizzo alla sedia, per non spiegazzare l’abito, per non dare l’impressione di essere stanca, annoiata, sfatta, l’impressione che deve avere chi la guarda è che si trova sì, seduta, ma che stava giusto per alzarsi, alzarsi per andare a fare qualcosa d’importante, s’intende. A intervalli regolari una piccola spintarella al ponte degli occhiali, appoggiati sul naso coperto da un brandello di kleenex che li fa scivolare in avanti, ma che protegge il lavoro del truccatore. Non fanno parte del costume, li ha portati da casa, e le lenti non sono graduate, sono una messa in scena, la messa in scena nella messa in scena, una matrioska di messe in scena (le radici, a volte aiutano), propedeutica a un ulteriore passaggio che si appresta a fare, una vera impresa titanica, l’ascesa all’olimpo delle ‘Attrici Impegnate’.
Gran via vai intorno a lei. Ad ogni stop del regista la troupe si avvicenda al tavolino per un caffè, un bicchiere d’acqua o un biscottino. Non bisogna farsi cogliere impreparati dagli sguardi della troupe, bastano pochi commenti positivi a cambiare il tuo destino, il cinema è così, si sparge la voce alla velocità del vento, bisogna stare molto attenti, nella sua mente le pare di sentirli: ‘Però, ha solo due battute eppure legge tutto il copione con interesse, si sente parte del progetto’, oppure ‘Non ha per niente la puzza sotto al naso, è lì da quattro ore, mai un lamento, mai un capriccio’. È questo che diranno di lei, col suo comportamento li porterà a dire questo. Il linguaggio del corpo dice molto, e lei lo sa. Al macchinista che passa offre un sorriso, al direttore della fotografia che le darà luce anche un piccolo ammiccamento, per il produttore ha appoggiato la sceneggiatura sul petto per coprire la mano che sbottonava due bottoni dell’abito, poi l’ha trasferita sulle ginocchia e l’ha tirata a sé, trascinando la stoffa e scoprendo centimetri preziosi di coscia (in certe professioni la visibilità gioca un ruolo fondamentale). Ma per il regista, sul quale ha ricamato quel progettino speciale, ha in serbo una sorpresa che gli toglierà il fiato. Non ci sono sedie accanto a lei, quando lui si avvicinerà perché lei gli farà un cenno, come a chiedere una spiegazione sul suo personaggio, sarà costretto ad accovacciarsi, posizione che spalancherà ai suoi occhi la visione, la terra promessa al provino, nuda e cruda come mamma l’ha fatta, che, insieme ai seni che spuntano spavaldi dalla scollatura, formano, in montaggio alternato, il trailer del film che presto gireranno fuori dal set, lontano dagli sguardi pettegoli, tutto loro, privato. Intanto legge, e con una matita sottolinea, sottolinea e legge.
Pausa vuol dire pranzo, pranzo vuol dire sporcarsi, intaccare la perfezione del rossetto, ingrassare, rovinare la sua immagine di impegno e dedizione, ammettere di avere dei bisogni, smascherarsi come essere umano non più divino, Non-Sia-Mai. All’assistente che si avvicina e chiede: ‘Rosso, Bianco o Frutta e formaggio?’, un solo gesto di rifiuto, col ditino indice che fa tic tac, un metronomo umano che dice no, insieme alla bocca che si arriccia maliziosa per rendere il gesto della mano più aggraziato, giocoso. L’acqua sì, la prende dalla mano del ragazzo, svita il tappo e butta giù un sorso, senza appoggiare le labbra al bordo, senza versare una goccia. Ma torna subito a leggere, a recitare l’Attrice completamente immersa dalla lettura del copione, un’esibizione che vale doppio ora che tutti gli altri intorno a lei mangiano rilassati, si riposano. È tutto calcolato, studiato. Finita l’ora di pausa toccherà a lei, meglio concentrarsi sulle battute, ripeterle mentalmente insieme agli esercizi che le hanno permesso di eliminare l’accento dell’Est, ma me mi mo mu ma me mi mo mu. Manca poco, vale la pena resistere ai segnali del corpo: non fa pipì, non mangia, beve acqua quel tanto che serve a idratare la pelle, strumento di lavoro, e ignora il dolore che viene dal basso, lo caccia via, e mentre legge apparentemente assorta si punta la matita sul fianco, a procurarsi un dolore che copra l’altro, sempre più presente, sempre più difficile da trascurare.
Le scarpe, a punta, col tacco a spillo di un numero e mezzo più piccole del suo, dopo cinque ore hanno cominciato a spingere il piede, premono per farlo uscire. E lui cederebbe, se lei non gli imponesse di restare. Piccoli passettini verso destra e poi verso sinistra, poi ancora a destra, per la circolazione, di colpo una sforbiciatina e zac, accavallamento della destra sulla sinistra, rotazioni della caviglia, dieci da una parte e dieci dall’altra, cambio gamba. I piedi si sono gonfiati e la cucitura sega la pelle, la vuole spaccare. Li vede in bocca a un vitello, che li stringe e li succhia come farebbe con le mammelle di sua madre, se fosse ancora vivo. Più si muove, più la pelle dell’animale sfrega la sua, e il dolore aumenta, diventa pulsante, cammina veloce su per le gambe, il tronco, il collo, fino al cervello. Lo trapana, il cervello, lo tortura, mamemimomuuuuu. Se avesse una roulotte potrebbe liberarli, sdraiarsi con le gambe all’insù e massaggiarli per farli sgonfiare, ma lì, davanti a tutti…
All’improvviso, un tuono. Sembra lontano. Non passa un minuto che comincia a piovere. Non due gocce, uno scroscio. In un attimo il finimondo. Nessuno si cura di lei, nessuno le offre un ombrello. L’acqua scende a secchiate, ognuno pensa a sé. L’Attrice molla il copione e la matita sulla sedia, si alza, e con passo incerto percorre i pochi metri che la separano dal portone aperto di un edificio dove tutti si sono precipitati. Trascina sui sanpietrini i piedi sofferenti che pesano un quintale ciascuno, con le braccia allargate a cercare un equilibrio che a ogni passo sembra sfuggire, perché si scivola con le scarpe nuove con le suole lisce, sui sanpietrini bagnati. Nessuno che le offra il braccio, che le vada in aiuto. Una volta raggiunto il riparo incrocia lo sguardo desolato del regista, che parlotta in fondo con la produzione: piove, siamo in ritardo, bisogna tagliare una scena, la sua.
I capelli, zuppi, hanno perso forma e volume, se ne stanno lì, appiccicati alla sua testolina tonda, a incorniciare il bel faccino rigato da mascara e lacrime, il vestito incollato al corpo, non più opaco, mostra a tutti il tutto. Intorno a lei occhi e voci, tante voci, un solo coro.
‘Ma secondo te oggi la zoccola gira?’
‘Mi sa tanto che oggi l’aspirante badante se ne va a casetta con le pive nel sacco.’
‘Per non dire con le mutande asciutte…’
‘Nuncellà le mutante ma che nce vedi?’
‘E qualcuno stasera non beccherà manco un lavoretto de mano, e domani sarà tanto tanto nervoso.’
‘Cazzi nostri…’
‘Ahahahahah…amari.’
‘Ahahahahah’

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