Ero lì, il manuale di economia politica da una parte, un block notes nuovo dall’altra; avrei dovuto riempirlo di grafici, appunti e problemi. L’ho fatto, ma non lì. Su quel blocco ho scritto tutto quello che mi passava per la mente, a qualunque ora del giorno e della notte. Ho capito che gli studi economici non facevano per me; d’altronde se mi spingevano a prendere una penna in mano, non per scrivere cifre, ma pensieri e parole, voleva dire che quella non era la mia strada, che dovevo cercare qualcosa più vicino alle mie corde. L’ho fatto. Ora la penna la prendo in mano meno spesso, ma il computer è sempre con me, per tenermi aggiornata e per esercitarmi nella scrittura. E così, in un piovoso giorno d’aprile, ho deciso di voler diventare una giornalista. Di moda, per la precisione. Per questo era necessario invertire la rotta e ricominciare. Ero in macchina, la radio passava “Rimmel” di De Gregori; mi è sembrato un momento ideale per decidere cosa volevo fare davvero nella vita. Mi sono iscritta a Scienze della Comunicazione, rivoluzionando amicizie e ambizioni; avevo addosso lo spirito pronto di chi ricomincia e la paura di chi non sa quello che c’è dopo. Dopo tre anni, di buono c’è che le motivazioni sono ancora là, ancora salde, a dirmi che non ho sbagliato per il semplice fatto che non avrei potuto fare altro. La paura è diminuita, quasi sconfitta dalla piccola esperienza accumulata. In mezzo, la perplessità dei miei genitori, smontata da chi, come me, sapeva che quella era l’unica via da percorrere. Ho cominciato a scrivere diari a sette, otto anni, ho smesso, ho ricominciato; ho iniziato ad interessarmi al giornalismo quasi dieci anni fa, quando la moda era ancora un mondo a me sconosciuto e il calcio regnava sovrano in casa mia tutte le domeniche. La Serie A era un modo per leggere, informarmi e provare a buttare giù qualche riga. Poi, lo stacco; quando ho ripreso davvero la penna in mano, non per scrivere di me, ma per scrivere degli altri, avevo vent’anni; l’età ideale per darsi da fare. La passione per il giornalismo sportivo l’ho accantonata, sostituendola con quella per il giornalismo di moda. Io non mi sono risparmiata, mi sono guardata intorno, informata, ho consultato siti e letto blog, poi ho trovato la Scuola Omero, che mi offriva quello che cercavo. Qualcuno che mi spiegasse quali sono i miei limiti e quali sono invece le potenzialità che devo sfruttare; in modo che in quel mondo disordinato che è il giornalismo io non ci arrivi impreparata. Per imparare davvero di quanti caratteri deve essere l’occhiello e quanto in là possono spingersi le domande in un’intervista. Per capire quali sono gli elementi che rendono un articolo degno di essere ricordato, per fare un’esperienza che dia una forma al mio bagaglio culturale. Ho scelto la Scuola Omero dopo essermi informata sugli insegnanti, sulle sedi, sulle basi che mi avrebbe fornito; ho valutato il rapporto tra investimenti e benefici e mi sono sembrati nettamente in vantaggio questi ultimi. Una chiacchierata con mio padre mi ha convinto che questa era una buona via da sperimentare, per non arrivare all’importante appuntamento con il lavoro impreparata.
Il futuro? Chi lo sa, magari lo scriverò anche qui.