Bisognerebbe vederlo nelle giornate di tempesta, quando il mare ruggisce e cerca di strapparlo via, il maestoso faraglione piantato nel mare sui suoi contrafforti rocciosi che a qualcuno sono sembrati artigli. Questo è il Faro della Guardia, sull’isola di Ponza: ‘u faro d”a ‘uardia a ‘mmare


Ma la maggior parte di noi di una certa generazione – con una certa storia dietro lo spalle, con un modo di vivere la natura e il mare ‘selvaggiamente’ – ne ha un ricordo di calma, rassicurante potenza…
Di notte, quando la sua mole maestosa occupava gran parte dell’orizzonte per noi da ragazzini impegnati in una tipica pesca isolana, “a totani”; di giorno, in scampagnate primaverili lungo la stradina che superava un pendio dal nome evocativo ‘a scarrupata; o più spesso quando ci si andava per mare, d’estate, ormeggiando la barca nei pressi di una piccola rientranza, proprio allo stacco del faraglione verso il mare.


Per altri ancora il Faro rappresenta il ricordo di un padre o uno zio fanalista, e di un pezzo di fanciullezza trascorso lì… Perché c’erano delle famiglie che ci vivevano in modo stanziale, con l’orto e il pollaio! Altri tempi; ora tutto questo è finito. Dal 1975 il Faro è stato automatizzato e non necessita di presenza umana tranne che per l’ispezione periodica… Il Demanio l’ha addirittura messo in vendita, per ‘far cassa’, insieme ad una diecina di Fari lungo le coste della penisola…
Ma il motivo per tirar fuori qui e ora queste storie è che il Faro è diventato oggetto di una campagna per proporlo come “Luogo del Cuore’ al biennale Censimento del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano. Un modo per impedirne il disfacimento a cui sembra destinato e recuperarlo ad una fruizione pubblica.

Perché tutta l’isola si è mobilitata per la ‘Campagna’. Nell’estate che è appena trascorsa si sono distribuite cartoline per la segnalazione al FAI, si sono aperti banchetti per strada per la raccolta firme e molti esercizi commerciali dell’isola hanno chiesto ai loro clienti di partecipare alla sottoscrizione, dopo averne spiegate le ragioni. Una soddisfazione è stata apprendere che il ‘nostro’ Faro guida la classifica dei ‘Luoghi del Cuore’ secondo i risultati intermedi, resi noti dal FAI ai primi di agosto, a metà del Censimento che scade il 31 ottobre.
Tutto questo fervore è culminato in una serata dedicata al Faro, il 10 agosto u.s., quando a Ponza si è tenuto un vero spettacolo che ha compreso, oltre all’intervento del Sindaco dell’isola, spiegazioni sugli aspetti tecnici, testimonianze di vita vissuta, letture, canzoni ricordi…
E qui abbiamo appreso la breve storia del Faro costruito nel 1886 e custodito da da tre guardiani che si alternavano a turno, fino all’automazione completa; ascoltato storie di salvataggi avventurosi, di infanzie incantate sospese tra cielo e mare.
Abbiamo seguito letture dal libro sugli Stevenson – “Lo splendore degli Stevenson – Una dinastia di costruttori di fari tra ingegno e letteratura” di Bella Bathurst; 2008, Ed. Robin – una dinastia di ingegneri che tra il 1790 ed il 1940 progettarono e costruirono i 97 fari che tuttora costellano le coste della Scozia; tradizione familiare da cui si affrancò il nipote ‘degenere’ Robert Louis Stevenson, avviato come tutti i suoi avi alla carriera di ingegnere, se non ne fosse stato fuorviato da un carattere irrequieto, da una malattia e dall’amore per la letteratura (e per una bella americana).
E ancora, la presentazione di aspetti collaterali del faro, la descrizione dei suoi fondali, la vegetazione spontanea che alligna tra i suoi contrafforti di roccia e che trapunta la stradina che ci arriva per via terra. Un museo all’aria aperta della vegetazione mediterranea che attende visitatori per itinerari botanici guidati.







Perché i Fari attraggono l’immaginario quanto pochi altri argomenti… Abbiamo letto di viaggi intrapresi per andare a vedere un faro, e noi stessi, da qualche tempo, abbiamo un’attenzione nuova per essi, alla loro storia e alla vita che ci si conduceva; non disgiunte da una certa preoccupazione per il loro futuro, in tempi di automazione e tecnologia satellitare.
Infine abbiamo anche assistito alla proiezione di un breve video (amatoriale) sul faro: prime esperienze di ‘regia’ dell’Autore (senza vergogna!)
Qualcosa nella notte
“We are such stuff as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep”
(W. Shakespeare – La Tempesta)
“Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono tessuti i sogni e la nostra piccola vita è avvolta nel sonno”
Il Faro della Guardia emerge dalla notte e dai ricordi come qualcosa di enorme e di indistinto che l’occhio e la mente quasi non riescono a comprendere tutto.
Per me e molti altri della mia generazione esso ha avuto una dimensione soprattutto notturna. Di giorno – quando le cose sono definite e reali – sì… ce lo trovavamo davanti, quando si andava a Chiaia di Luna per mare… o sulla rotta verso Palmarola: solido e possente, con i suoi contrafforti ricurvi, di onde di lava cristallizzate nel momento in cui erano venute a contatto col mare e da allora fissate per sempre.
Ma di notte, nel reame del fantastico, il massiccio di roccia aveva tutta un’altra presenza.
Ci andavamo per la pesca a totani – una tradizione più che una pesca – tramandata da zio a nipote, dal fratello maggiore a quello minore. Con i suoi assoluti e immutabili riti di preparazione: la lenza e il piombo con la corona di punte (preparati di propria mano); il modo di mettere l’esca, i fautori dell’alice salata o del bulbo fluorescente (certo la prima!); della torcia a mare o della lampada a carburo (certo la seconda!).
Ci si ritrovava sul mare che era buio da poco; un maglione per l’umido della notte e la frittata delle zie in mezzo al pane. I lazzi e le chiacchiere si spegnevano poco a poco, man mano che ci si inoltrava nell’oscurità del mare.
La mole maestosa del Faro e la sua luce che tagliava l’oscurità si delineavano in lontananza, già al passaggio dei faraglioni del Calzone Muto, tra la Parata e la Scarrupata. A seconda del tempo e del mare si decideva di stare ‘dentro’, a ridosso del Faro, o di puntare verso ‘fuori’, ma senza mai doppiarlo.
Era una pesca quasi magica, a quei tempi e a quell’età; non l’ho mai più ripetuta da allora, per rispetto al ricordo.
Ma spesso ritorno a quelle notti, a quelle pescate…
Quando è passata la frenesia della novità e dei preparativi, quando si comincia a pescare davvero, è una pesca silenziosa. Anche dalle barche vicine le parole arrivano come attutite; domina il rumore di sciabordìo del mare lungo le fiancate della barca e le frasi smozzicate (mai veritiere) con cui si annuncia a quanti passi si è calata la lenza. Poi, quando il totano si attacca (‘ncoccia) – un peso improvviso come un mattone – e si comincia a tirare, la trazione deve essere continua perché la ‘spugna’ di punte non trattiene la preda come fanno gli ami, e se si molla si può perdere. L’eccitazione a bordo è massima, in chi ‘ha preso’ e negli altri che fanno il tifo, fino all’emergere del totano dal mare – l’ultima fase e la più delicata – e al suo trasferimento in barca. Qui ognuno si ripara come può, in attesa dello spruzzo finale che …chi coglie coglie!
…E si riprende, con rinnovata lena, cercando di scoprire la profondità a cui il fortunato ha ‘incocciato’ (impresa inutile).
In qualche momento della pesca – o del sogno – compaiono “i parlanti”; presenze misteriose e anche un po’ inquietanti a quel tempo… Non ora che sappiamo essere le berte maggiori (Calonectris diomedea, della famiglia delle Procellaridae). Nella notte i loro versi sembrano voci o pianti di bambino: le berte, o diomedee uccelli marini simili ai gabbiani, che secondo una leggenda diffusa sulle isole Tremiti, sono i compagni di Diomede, trasformati in uccelli da una Dea pietosa, che piangono la sua morte).
Un amico, che nei suoi anni al Faro della Guardia con il padre fanalista, ai ‘parlanti’ ha potuto applicare tutta la sua fantasia, riusciva a distinguere nei loro versi due componenti: il pianto del bambino e un grugnire quasi suino. Ebbene sono due suoni diversi: il maschio ha un tono più penetrante, stridulo, simile al pianto di un bambino o al verso dei gatti in calore, mentre la femmina è più rauca.
Ma si torna allo sciabolare della luce del faro e a quell’altra luce, rossa, appena più in basso… che è stata una sorpresa ritrovare nelle foto e nelle riprese… È il segnale per le ‘Formiche’ (piccoli scogli affioranti a poca distanza alla costa, temibile insidia per i naviganti – NdR) che triangola con un simile segnale rosso posto sotto il Faro della Madonna per indicare la zona di pericolo: quando si vedono tutti e due bisogna stare molto attenti… oppure ci si è già sopra!
Passa e ripassa la luce del Faro, e illumina, oltre a mare davanti anche la montagna alle sue spalle, con una ripetitività che può diventare ipnotica…
E ancora, nelle notti di luna oppure quando è calata la notte da poco, una luminosità permane a ponente a disegnare, oltre la sagoma del Faro, il disegno familiare di Palmarola che aggiunge una meraviglia ad un’altra, tanto da dubitare che uno spettacolo simile esista davvero… o non sia stato tutto un sogno!
Segnala il “Faro della Guardia” al FAI, come “Luogo del Cuore”: