Una dolce persistenza

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È la sera della proiezione del film. Siamo al Festival di Cannes. Gli uomini in smoking, le donne in lungo e tacco dodici, truccate e pettinate da gran sera, come richiede il protocollo. Roba seria. Mi sono fatta i ricci per l’occasione. Prima della passerella sul tappeto rosso, è d’obbligo un brindisi col ministro della cultura all’ultimo piano dell’albergo a cento stelle.

È la sera della proiezione del film. Siamo al Festival di Cannes. Gli uomini in
smoking, le donne in lungo e tacco dodici, truccate e pettinate da gran sera, come richiede il protocollo. Roba seria. Mi sono fatta i ricci per l’occasione. Prima della passerella sul tappeto rosso, è d’obbligo un brindisi col ministro della cultura all’ultimo piano dell’albergo a cento stelle. Io non sarei invitata, sono qui per accompagnare il mio fidanzato che è il regista del film, ma faccio finta di non aver capito e mi accodo. Ci saranno tante cosine buone e gratis, e si dà il caso che io abbia una gran fame.
Al settimo piano la moquette è molto alta e i tacchi affondano come nelle sabbie mobili. Più di una volta mi ritrovo sul punto di cadere, ondeggio pericolosamente ma alla fine, non so come, ripeto, non so come, non cado. Camerieri in guanti bianchi ci accolgono nella suite. Mi lancio sul primo divano e non mi muovo più.
Avevo indovinato: champagne, tartine, dolcetti. Regista, sceneggiatori, attori e produttori si perdono in chiacchiere nell’attesa che arrivi il ministro. Sono tutti nervosi. Io me la posso godere, e comincio ad assaggiare indisturbata. Ne approfitto. Sembra tutto così speciale. Blinis col caviale beluga? Quello vero? Uno, due, tre, ma chi li conta più. Afferro e ingollo. Come se non ci fosse un domani. Oh, se dovevo fare penitenza, guardare ma non toccare, tanto valeva rimanere a casa e seguire l’evento in tivvù.
Una piccola accortezza: che non se ne accorga Lui, l’attore protagonista e coproduttore del film. Non deve notare la mia presenza. Non deve accorgersi che sono qui. Le altre mogli e fidanzate non sono venute, l’unica imbucata sono io. Sarebbe capace di fare una scenata. A volte sembra che non aspetti altro che un pretesto come questo per potersela prendere con qualcuno. Lo fa per scaricare la tensione, ma io non ci tengo proprio a essere il suo bersaglio, né oggi né mai. Appena entro nel suo campo visivo, zac, mi blocco come una statua di sale, azzero anche i pensieri, non esisto.
Deve confondermi con la tappezzeria.
I pasticcini sono una vera opera d’arte: un disco ellittico di pasta frolla caramellato, sormontato da un altro disco, di spessore leggermente più alto di cioccolato alle nocciole, ellittico anch’esso e sistemato un po’ fuori asse rispetto al primo, ma poco, e ricoperto da una sfoglia d’oro, rettangolare, anche lei ruotata e decentrata, spruzzata da una polverina brillante di zucchero rosso magenta. Quanto è bello. Il momento stesso che lo introduco in bocca, mi pento.
Come risucchiato da una forza uguale e contraria a quella di gravità il pasticcino sfugge agli incisivi e va verso l’alto, sbatte e rimbalza sulle pareti dei molari come la pallina di un flipper e si attacca al palato come una cozza allo scoglio. Rimango immobile per qualche secondo. Sono stupita che sia successa una cosa simile proprio a me e in un momento così delicato. Sta per arrivare il ministro. Se farò una brutta figura, Lui, me la farà pagare. Non è il tipo che lascia correre. Se può infierire, puoi star sicura che lo farà. Se la prenderebbe anche con il mio fidanzato, e lo convincerebbe a lasciarmi.
Se anche riuscissi a cavarmela, dopo il brindisi ci sarà la montée des marches, trasmessa in mondovisione e poi una lunga proiezione seguita da applausi, foto, abbracci e complimenti. E io avrei sempre questo intoppo in bocca, che sembra aumentare di volume ogni secondo che passa, si gonfia. Pochi istanti fa era un affarino di pochi centimetri, ora è enorme. Nelle foto avrò un gran doppiomento, perché la lingua troverà occupato il suo alloggiamento naturale e spingerà verso il basso, dannato muscolo ingombrante. Oppure la tragedia: si staccherà nel momento sbagliato, si metterà di traverso tra la trachea e l’esofago, io soffocherò e rovinerò la festa a tutti. Il mio fidanzato mi lascerà e io sarò morta, zitella, e tutti si ricorderanno di me come una stramaledetta guastafeste. In alternativa alla disgrazia estrema potrei salvarmi grazie a una una tracheotomia d’urgenza, ma dovrebbero portarmi in ospedale e sospenderebbero comunque la proiezione, e io alla fine sarei sì, viva, ma senza alcun dubbio zitella. In più tutti ce l’avrebbero con me, e sarei allontanata da tutti i festival del cinema in quanto soggetto potenzialmente pericoloso. Meglio morire.
Ecco, la solita catastrofica. Ma che mi metto a pensare, è solo questione di qualche secondo. Il calore umano scioglierà lo strato superficiale, quello che confina direttamente con il palato e fa da collante, e il pasticcino si staccherà da solo.
No, no. Non lo fa.
Allora irrigidisco la lingua e la tramuto in scalpello. Comincio con dei piccoli colpetti laterali, tutt’intorno all’ellisse, alla ricerca del punto debole, come quando si apre un’ostrica. Blocco le mascelle e assumo un’aria indifferente. Ogni tanto muovo la testa, annuisco in una direzione e poi in un’altra, in modo che da fuori si percepisca solo che sto ascoltando interessata. Non sto facendo niente, ascolto e basta, e soprattutto non sto trafficando con la lingua. Non sta bene, si sa, non dovrei farlo, ma ho una certa fretta, la faccenda va risolta prima che arrivi il ministro. Non credo vorrà farmi delle domande, ma ci stringeremo la mano, e a quel punto io sarò costretta a dire qualcosa, per esempio “Enchantè.” Provateci voi a dire enchantè col palato ingessato, provate e ditemi se si può fare.
“Tutto bene?”
Oddio, si vede. Comincio a sudare. Deve succedere qualcosa di eclatante, qualcosa che faccia girare tutti dall’altro lato della stanza, e quando dico tutti, intendo soprattutto Lui. Basterebbe un solo istante, giusto il tempo di introdurre un dito in bocca e fare leva con l’unghia. Ora lancio una scarpa, vedrai se non si girano.
“Mmm..”, rispondo io al mio fidanzato che non avrebbe mai dovuto chiedermi di accompagnarlo. Tendo le labbra più che posso, spalanco gli occhi e fingo un divertimento esagerato.
Un’altra coppa di champagne. La quarta? La quinta? Tento la carta dell’ammollo e risciacquo, sperando che dia i suoi frutti prima di cadere in coma etilico. Durante il gargarismo piego la testa verso il basso per portare i capelli a coprire il movimento assurdo delle guance.
L’operazione collutorio non ha prodotto cambiamenti apprezzabili. Mi sparo?
Adocchio il vassoio. Ne mancano tanti, è segno che anche altri hanno gradito. Li scruto. Nessuno oltre me ha la bocca serrata, se parlano è segno che non si trovano nelle mie condizioni.
È una punizione divina, lo sento. Sono stata ingorda e questa è la mia punizione. Ehi lassù, per favore, non fate così. Ho capito eh, potete anche smettere. Ho sofferto abbastanza e se il dolcetto si staccherà entro due secondi giuro giuro giuro che al prossimo buffet non cercherò di saltare la fila e non prenderò l’ultima porzione di lasagne e non riempirò il piatto fino a farlo crepare.
Non mi ascoltano maledetti, scommetto che se la ridono rotolandosi da una nuvola all’altra.
Ci deve pur essere un comando nel cervello che serva a chiudere la volta del palato. La natura deve aver previsto di potersela cavare in un’emergenza simile. O no?
E su, e dai, e muoviti, che ti costa? Come vorrei essere Dart Fener. Al solo pensiero di me con l’elmo nero, il mantello e il respiro asmatico mi scappa una risatina. Una di quelle da oca giuliva, che non farei mai se non mi trovassi con le spalle al muro. Comunque meglio oca che inetta. Se sei oca forse qualcosa si può fare, si possono prendere delle lezioni private e colmare le lacune più evidenti, ma se non sei in grado di mangiare un pasticcino puoi anche trasferirti su un’isola deserta senza ombra, e nessuno verrà a cercarti.
Oi oi. Credo di essermi giocata l’invisibilità. Lui, mi sta fissando, e quando i suoi occhi incontrano i miei, mi fulmina con un’occhiataccia delle sue. Ora tremo davvero.
Se Lui ha capito, sono fritta. Lo dirà ad alta voce e sottolinerà che non ero stata invitata. Lo farà in quel suo modo perfido, perché Lui sa essere perfido e gli piace essere perfido. È famoso per questo, perché dovrebbe risparmiare proprio me? Mi pare di sentirlo: “Qualcuno che non avrebbe dovuto esserci è qui con noi, si è fatta i ricci e ha messo un abito elegante. Ha mangiato e bevuto cose che erano destinate a noi invitati, ci ha tolto i pasticcini dalla bocca, e ora si trova nei guai. Qualcosa è andato storto e non saranno quei ricci a salvarla…”
Sta per dirlo, ma l’altro produttore lo prende per un braccio e lo distrae: è entrato il ministro.
Tutti gli vanno incontro. Io entro in modalità panico.
Devo alzarmi, non ho scelta. Non dico andare verso di lui, ma almeno alzarmi, devo.
Con la testa che gira e questo popò di problema non sarà facile, ma devo provarci. Al mio tre. Puntello le mani sul divano e spingo. Raccolgo tutta la forza che ho sui metatarsi e prego che rimangano aderenti al suolo. Et voilà, con mossa circense eccomi eretta. Per scommessa e forse per pochissimo tempo, ma sono in piedi. E il movimento o il cambio di altezza, o tutte e due le cose, hanno prodotto una variazione di pressione. Il peso del pasticcino finalmente tende verso il basso.
Un gorgoglio, poi un rumore, come un plop, e tanto, tanto sollievo.
Titoli di coda di paglia.

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