“Io non possiedo che il mio corpo“, diceva Jean Paul Sartre: e niente sembrava essere così liberatorio, perché non avere nulla significa essere liberi. Soli, ma liberi. La fotografa e regista Lauren Greenfield di corpi ne ha immortalati parecchi. Ma non sempre erano liberi, o soli: la maggior parte delle volte erano solo inconsapevoli, imprigionati in ruoli e stereotipi ai quali non credevano neppure di appartenere. Perché Lauren Greenfield ha la straordinaria capacità di guardare le persone, di fotografarle, di riprenderle e di farcele vedere per quello che sono. Nel suoi lavori si rincorrono corpi vuoti circondati da oggetti, corpi sfiniti e viziati, ricchi e poveri, grassi e magri; in balìa degli eventi, apparenti carnefici e vittime ignare. Nel 2009, con il documentario “Thin”, ci aveva mostrato il corpo affamato di chi soffriva di disordini alimentari. Dieci anni prima aveva scrutato la gioventù patinata (e non) cresciuta all’ombra delle colline di Hollywood (“Fast Forward”), per poi catturare il corpo mutevole delle donne, soffocato dai media e dalla società (“Girl Culture”). Nel suo ultimo lavoro “The Queen of Versailles”, presentato in anteprima al Sundance Film Festival in questi giorni, lo sguardo si sposta sui coniugi milionari David e Jackie Siegel e sulla loro dimora (la più grande d’America) ispirata alla reggia di Luigi XIV. Ma la crisi economica, ci racconta Greenfield, è in grado di cambiare vite, luoghi e corpi. E così anche i Siegel devono fare i conti con la fine del sogno americano. Un sogno, che sembra sgretolarsi per chiunque ogni giorno di più, lasciando dietro si sé case spoglie, città abbandonate e corpi sempre più vuoti.