Due attaccanti

di

Data

La società mi ha messo a disposizione due nuovi attaccanti, comprati dalle giovanili di una squadra sudamericana. Il primo, che è argentino di origini italiane, è senza dubbio il giocatore più forte e completo che mai abbia allenato:

La società mi ha messo a disposizione due nuovi attaccanti, comprati dalle giovanili di una squadra sudamericana. Il primo, che è argentino di origini italiane, è senza dubbio il giocatore più forte e completo che mai abbia allenato: è alto un metro e novantadue e la muscolatura è possente, eppure riesce nel dribbling e nel palleggio con una facilità inconcepibile in una figura tanto solenne: impatta il pallone in ogni modo e l’eleganza e la naturalità nella corsa gli sono valse il soprannome di Pura sangre: purosangue. Il secondo attaccante ha tratti spiccatamente andini e nel fisico brevilineo è la classica mezza punta, di cui però non possiede le doti tecniche né la rapidità. A dire il vero è carente persino nei fondamentali e parrebbe inutilizzabile, capitato per caso tra i campi di calcio, e spesso, soprattutto nei primi tempi, mi sono chiesto perché la società, sempre prudente nelle scelte di mercato, si fosse risolta a investire su un giovane così affatto incapace. Non escludo che, per le oscure logiche di compravendita da cui sempre mi tengo lontano, la società si sia vista costretta a mettere sotto contratto l’andino per arrivare al fortissimo argentino.
Nelle amichevoli precampionato li ho provati insieme. Mentre Pura sangre incantava i tifosi e ne raccoglieva gli applausi e i cori, il piccolino falliva gli stop e i passaggi più elementari. La curva fischiava ogni suo errore, pure quello non pareva risentirne: ai gol dell’altro era il primo ad alzare le braccia.
Sin dal primo allenamento, i nuovi attaccanti sono vittime degli scontri più duri e i loro armadietti nello spogliatoio sono sovente presi di mira: nella misura in cui il campione argentino desta l’invidia dei compagni, l’andino ne provoca il riso. A nulla valgono i miei sforzi di allenatore e le sanzioni disciplinari che la società, su mia richiesta, infligge di continuo alla vecchia guardia. Poi, non aiuta il fatto che i due siano pochissimo inclini al dialogo.
Quando il campionato è iniziato, ho schierato il possente Pura sangre affianco a uno dei vecchi attaccanti, relegando l’andino in panchina – chi può farmene una colpa? -. Ma, dopo l’inizio promettente, ecco che, partita dopo partita, il nuovo talento mostrava cenni di appannamento davanti alla porta, già la corsa elegante si faceva stentata. La squadra scivolava in classifica e il pubblico, cui sempre difetta la memoria anche delle prodezze più vicine, ha iniziato a rumoreggiare, poi a fischiare, poi a chiedere l’esclusione dell’argentino dalla squadra titolare.
Un giorno perdevamo, in casa. Allora, sebbene nessuno mi renderà il merito dovuto e si tenderà piuttosto a confondere con l’accidente e colla fortuna quella che invece è una mia intuizione e che rivendico, ho richiamato l’andino dalla panchina, tra lo stupore dello stadio, e l’ho affiancato a Pura sangre e questi, come smosso, ha ripreso a correre nel modo che sa, a dribblare, a far valere la possanza contro i difensori avversari, a sovrastarli nei contrasti e nel gioco di testa, quasi dovesse col proprio talento compensare l’incapacità del compagno di reparto. Coi due in attacco abbiamo vinto quella partita e abbiamo vinto le partite seguenti.
La vecchia guardia e la frangia più estrema del pubblico, che nulla contenta, mi incolpano di tenere in campo un giocatore inutile, ma proprio non colgono il punto. Io, che vivo di calcio da quando esisto, riconosco un equilibrio meraviglioso che solo s’accende quando giocano entrambi, il campione e l’inetto. Il rimpianto è quello di avere inizialmente perso tanti punti per un errore di valutazione: spero che la vittoria finale non sia stata compromessa dalla mia cecità.
Quanto ai vecchi attaccanti, che adesso siedono in panchina, davvero avrei desiderio che, invece di darsi di gomito e confabulare tra i sogghigni come comari, seguissero con occhio giusto i due nuovi in campo, in ogni loro movimento, e che, infine, imparassero dall’uno e dall’altro.

Altri racconti
in archivio

Sfoglia
MagO'