Quando non ci piaceva il presepio

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C’è stato un tempo quando, se chiedevi: "Ti piace il presepio?", trovavi almeno uno che rispondeva: "No". Era il 1931, erano ottanta anni fa...

C’è stato un tempo quando, se chiedevi: “Ti piace il presepio?”, trovavi almeno uno che rispondeva: “No”. Era il 1931, erano ottanta anni fa, era il 25 dicembre ed Eduardo De Filippo metteva in scena per la prima volta Natale in casa Cupiello. Lì c’era un continuo scambio di battute: “Te piace ‘o presebbio?”. “No!”.

Natale in casa Cupiello era la commedia che, anno dopo anno, insieme al film La vita è meravigliosa di Frank Capra e Il canto di Natale di Topolino della premiata ditta Dickens e Disney, riempiva alla perfezione la serata televisiva natalizia.

Di Eduardo è stato detto tutto, o comunque molto. Sono rimaste le figure grandiosamente tratteggiate delle sue donne. Le grandi battute tipo “A da passa’ ‘a nuttata”, che si adatta quasi sempre alla perfezione alla situazione sociale e politica napoletana o italiana. Chi lo ha visto recitare a teatro si ricorda la sua voce e la sua figura secca. Chi lo ha seguito in televisione non dimentica il primo piano della sua faccia scavata che da sola raccontava cosa fosse l’Italia in quegli anni.

Di tutta l’opera di Eduardo mi ricordo soprattutto lo scambio di battute sul presepio proprio in Natale in casa Cupiello. Altro che rivoluzione permanente. Ci vuole coraggio a dire che non ti piace il presepio, quando piace a tutti. E mi piace il ragazzo della commedia, il figlio indolente e ribelle che continua a rispondere: “No”, ogni volta che il padre glielo domanda. Fino alla fine, fino alla morte di Luca, il padre, quando il ragazzo per il dolore di vedere il genitore morente, alla fine dice di sì tra le lacrime, gli piace pure a lui il presepio.

E in questo momento mi viene in mente il Don Giovanni di Mozart, che invece risponde: “No”, anche quando la statua del Commendatore sta per trascinarlo all’inferno e gli chiede di pentirsi. Avete presente la scena? Don Giovanni ha sfidato l’anima del Commendatore che lui stesso ha ucciso dopo aver conquistato sua figlia, Donna Anna. Lo ha invitato addirittura a cena. E quello arriva sotto forma di statua cimiteriale. Il servo Leporello è terrorizzato. Don Giovanni accetta la sfida e stringe perfino la mano gelida dello spirito. La statua grida: “Pentiti scellerato!”. “No” risponde Don Giovanni, pur di non rinnegare tutto ciò in cui crede. Così finisce tra le fiamme. E invece, un po’ all’italiana, il giovane figlio di Natale in casa Cupiello, di fronte al dolore cede e dice di sì. Così la forza inesorabile della tradizione popolare passa dal padre al figlio.

In fondo nel lavoro di questi giganti dell’arte c’è tutta la lotta dei giovani tra rivolta e rassegnazione (per dirla con le parole del filosofo Jean Améry). Una lotta che racconta il desiderio di vita, di trasformazione, di cambiamento, la vitalistica esigenza di godere e di vivere appieno, il rifiuto di ciò che sembra antico e sorpassato, il cedimento di fronte alla forza spaventosa della vecchiaia e poi della morte che impone la sua marcia trionfale. E sembra rendere impossibile qualunque cambiamento del mondo.

Eppure io, quando sento qualcuno chiedere: “Te piace ‘o presebbio?”, mi domando sempre se ci sia ancora almeno uno che risponda: “No”.

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