Grande come una salsiccia

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Anna non ha mai parlato alla mamma di quell’uomo e il pensiero le pesa più di quella corsetta che deve fare per non vederlo mentre si apre l’impermeabile. Una volta Anna lo ha anche guardato, di sfuggita, s’intende, prima il pisello, poi la faccia. Erano entrambi violacei, intirizziti, tristi. Ne aveva provato quasi pena.

Anna non ha mai parlato alla mamma di quell’uomo e il pensiero le pesa più di quella corsetta che deve fare per non vederlo mentre si apre l’impermeabile. Una volta Anna lo ha anche guardato, di sfuggita, s’intende, prima il pisello, poi la faccia. Erano entrambi violacei, intirizziti, tristi. Ne aveva provato quasi pena.

Anna invece ne parla spesso con le amichette del palazzo, che a volte passano di corsa anche loro e poi ridono maliziose dietro l’angolo.

– Che schifo, se lo tira fuori – dice Stefania

– Se gli passi vicino quello ti fa la pipì addosso – dice Patrizia

– Bleah – fa Anna con una risatina, per non essere da meno.

– Se lo vede mìo padre l’ammazza di botte – dice Stefania

– Pure mio padre l’ammazza di botte – dice Patrizia che ha i genitori separati e il padre non lo vede mai.

Anna è contenta che non le chiedano se anche suo padre l’ammazza di botte, perché, se rispondesse sinceramente dovrebbe dire di no, suo padre mica è uno che mena, non l’ha mai visto dare uno schiaffo in vita sua. Però non resiste e vuole fare anche lei la sua figura:

– Mio papà se lo sa lo fa mettere in prigione.

Stefania la guarda un po’ sprezzante:

– Mio padre guai a chi mi tocca. Casomai prima gli spacca la faccia

– Glielo diciamo Stefà? – propone Patrizia eccitata dalla prospettiva

– Sehhh, così non mi fanno più scendere a giocare

Anna è d’accordo. Già così suo papà non ha piacere che stia per strada, anche se le permette di scendere nel primo pomeriggio, forse per fare il riposino in pace. Un’oretta e poi a casa a fare i compiti. Figuriamoci se sapesse di quell’uomo. E poi non le dispiace condividere un segreto con le amichette.

Un giorno Stefania torna dalla solita corsetta con l’aria più disgustata del solito

– Che zozzooo!! Oggi mi ha pure fischiato

– Ce l’aveva di fuori?- chiede Patrizia

– Sìì, proprio schifissimissimo

– Ma tu l’hai visto bene? – chiede Anna che ha sbirciato solo una volta di sfuggita

– E per forza – risponde Stefania allargando le braccia – era grande come una salsiccia.

Le altre due tacciono rabbrividendo.

Stefania le guarda con aria di sfida:

– Chi ha il coraggio di ripassarci davanti? Facciamo a chi ci passa più volte?

Anna e Patrizia tentennano.

– Fifone, fifone – fa Stefania – e riparte di corsa, passa velocemente davanti all’uomo, grida: ehi scemo! e ritorna indietro sempre di corsa, ridendo eccitata.

– Visto?

– Ehi, non vale, non ti sei fermata – dice Patrizia

– Però gli ho detto ehi scemo

– Sì, ma non l’hai guardato – aggiunge Anna

– Siete brave voi siete brave…

– Allora così lo so fare anch’io – dice Patrizia e parte anche lei di corsa gridando ehi scemo per tornare subito dopo ridendo a crepapelle.

Anche Anna prende coraggio e, in preda alla ridarella, corre e ritorna senza mai girare la testa verso l’uomo. A gridargli ehi scemo però non si è azzardata.

Non si è accorta neanche che lui nel frattempo si è allacciato l’impermeabile, si è staccato dal muro, ha svoltato l’angolo ed è scomparso.

Per alcuni giorni l’uomo non si fa vedere. Le tre bambine ne sono un po’ deluse. Giocano alle solite cose, ma si annoiano subito e ritornano a confabulare sul tizio misterioso e sul suo pisello che, in fin dei conti, non avendo fratellini più piccoli, è l’unico esemplare nel suo genere che abbiano intravisto. Un giorno vanno tutte a casa di Anna, che è l’unica ad avere un’enciclopedia illustrata, per verificarne con più agio la la morfologia.

– Bisogna cercare ‘pene’ – dice Anna che l’ha sentito da qualche parte – ma non ditelo perché è una parolaccia.

Il disegno però non ricorda una salsiccia, come aveva detto Stefania. A Patrizia sembra il naso di una maschera di carnevale, ad Anna, visto di profilo, ricorda una caffettiera.

Stefania si giustifica: mica tutti ce l’hanno uguale. La mamma, contenta che Anna studi con le sue amichette, porta la merenda mentre le bambine velocemente aprono il volume a un’altra pagina a caso.

Passano i giorni e le bambine continuano a chiedersi:

– Tornerà quello schifoso?

– Se torna gli diamo una lezione – dice Stefania.

E un pomeriggio eccolo lì di nuovo, sempre allo stesso orario, appoggiato al muro dietro l’angolo.

– Corriamo a dirgli scemo? – propone Patrizia.

– Non mi va – dice Stefania – Sputiamogli in testa!

– Sì dai, sputiamogli in testa! – fa eco Patrizia entusiasta.

– Ma come facciamo? – chiede Anna perplessa.

– Saliamo a casa tua e gli sputiamo dalla finestra.

– Da me non si può perché mio padre dorme e poi non ho una finestra da quella parte.

– Allora andiamo sulla terrazza per stendere i panni, tanto è sempre aperta. Da lì ci arriviamo più vicino – propone Stefania. Però se non vediamo la faccia che fa finisce il divertimento. Facciamo un po’ per uno, ora salite voi e io guardo.

Dall’estremità della terrazza si affacciano le teste delle due bambine. Salendo in piedi su delle cassette riescono a sporgersi sufficientemente per lanciare qualche sputo, ma la testa dell’uomo è ancora fuori di portata.

Stefania guarda in su, fa segno di aspettare e poi indica se stessa come a dire: ci penso io. Anna vede dall’alto l’amica raccogliere un sassolino, avvicinarsi guardinga all’uomo, poi un piccolo scatto verso di lui, gli tira il sassolino e corre via, fermandosi poco più in là. L’uomo si volta appena e torna ad appoggiarsi al muro. Di nuovo Stefania ripete la sequenza, la stessa piccola danza di quando si gioca a bandiera: avvicinamento, scatto, lancio del sassolino e ritorno di corsa. Altre due, tre volte, ogni volta Stefania, nel correre via, si allontana di meno. Ed ecco che l’uomo, restando rasente al muro, fa pochi passi titubanti nella direzione di Stefania. Le bambine si sporgono a sputare: ancora non ci arrivano ma ci sono quasi, fanno cenno all’amica che ha alzato la testa verso di loro di farlo spostare ancora di pochissimo. Stefania riparte, sicura come una che ormai conosce il gioco, si avvicina di corsa ma lo slancio non la fa fermare in tempo, inciampa e va a finirgli quasi addosso. E’ un attimo, l’uomo afferra Stefania che si dibatte senza gridare, la tiene stretta contro di sé, come se l’abbracciasse. Senza lasciarla alza la testa verso la terrazza con un gesto deciso indirizzando lo sguardo a colpo sicuro sulle bambine.

Anna incontra i suoi occhi per un lunghissimo attimo in cui il tempo e i battiti del cuore sembrano fermarsi. È proprio lei che guarda, Anna ne è sicura. Gli occhi, da due puntini lontani diventano due pozzi grandi e scuri in cui le sembra di precipitare: ti ho trovata, con te faremo i conti. Prima o poi ti prendo e non sai quello che ti farò. Non sentirti mai più al sicuro. Mai.

Poi l’uomo abbassa la testa, torna il respiro, Anna distingue le urla di Stefania che è riuscita a divincolarsi in parte dalla stretta e grida, grida fortissimo: aiuto, papà! Papà! Non sa da quanto tempo stia gridando. L’uomo con l’impermeabile la spinge via, fa per scappare, ma piombano su di lui due o tre uomini, uno è il padre di Stefania, gli prende la testa e gliela sbatte contro il muro, altri ne arrivano dalla strada laterale, lo prendono a pugni, a calci, lo gettano a terra. Anna per un istante lo vede rialzarsi barcollando, il viso una maschera di sangue, ma viene subito atterrato di nuovo e nascosto alla sua vista dai corpi degli uomini, chini su di lui, che continuano a picchiare, a picchiare. Intorno un capannello di gente. Stefania, è avvinghiata a sua madre che l’ha presa in braccio e la sta portando via tenendole una mano sugli occhi. Anna si accorge solo ora che Patrizia è scesa dalla cassetta, si è rannicchiata per terra, e sta piangendo sommessamente. Scende anche lei, si siede vicino all’amica sulle mattonelle di cotto calde di sole e le prende la mano.

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