Matta, stramba, scema, mi deridevano gli altri bambini quando mi arrampicavo sull’albero del giardino per avere negli occhi nient’altro che cielo e terra.
Non ero capace di rotolarmi nei prati a parlare a voce alta come gli altri, mi bastava starmene in quell’intrico bruno e respirare il silenzio che sa d’immensità insieme al mio amico, Ulisse. Il pollo lo chiamavano, per due bozzi che in prossimità delle scapole gli sollevavano la camicetta.
Da lassù non giungevano le risa di scherno che il vento portava via, nient’altro che il silenzio ovattato della natura e i nostri infiniti racconti. Ma un giorno iniziarono a pioverci addosso sassolini appuntiti che ci tiravano tra una risata e l’altra. Vidi il mio amico liberare la sua schiena deforme dall’involucro di stoffa e prendermi per mano. Ci innalzammo sopra ai rumori del mondo.