Siamo quattro cani sciolti col culo incollato sul sedile di una punto sparata sulla Cristoforo Colombo. Marco, sul sedile del passeggero anteriore la sta per dare, il cd in una mano, con l’altra porta una banconota da venti euro arrotolata a cannuccia nella narice e aspira la striscia di polvere bianca, ce ne sono altre tre, una ciascuno. I polmoni si riempiono, le pupille si contraggono, tutto ci arriva in testa e in gola rimane un sapore acre. Siamo su di giri come la musica che ci sentiamo, bpm sono i battiti per minuto e noi viaggiamo sui tre e venti minimo. Siamo i pischelletti del sabato sera, quelli che si scrociano strafatti alla prima curva, ma noi no, noi la vita la mordiamo.
Escluso chi guida, gli altri saltiamo, balliamo a ritmo convulso le ultime ore della nostra notte, stiamo andando a Capocotta ad aspettare l’alba, ci faremo qualche canna per smaltire la pezza e poi a casa con la consapevolezza di aver spinto un’altra volta, vogliamo vivere alla velocità della luce.
Potremmo arrivare fino alla fine della Colombo, alla rotonda girare a sinistra e farci tutto il lungomare fino a incrociare la litoranea, ma qualcuno propone di girare prima, sulla via delle mignotte, la strada è più corta e ci sono anche i trans da sfottere. È deciso, ci fermiamo al semaforo, ci inoltreremo nella pineta. È eccitazione pura quella che si respira. Appena scatta il verde sfrecciamo, ma siamo costretti quasi subito a rallentare; le radici dei pini marittimi che si allungano in superficie, hanno ricoperto la strada di montarozzi che ci fanno partire gli ammortizzatori.
Siamo ansiosi sulla strada buia. Qualcuno dice qualche cazzata, qualcun’altro ride. Ci siamo solo noi e il primo chiarore dell’alba, lontanissimo a est, allora lo chiediamo: ma sei sicuro che stanno qua?
Dopo ogni curva tratteniamo il fiato e ci prepariamo alla visione che non arriva. Costeggiamo un piazzale sterrato e finalmente incrociamo delle macchine che nella fretta di fare inversione alzano nuvole di polvere. Ci siamo. Qualcuno dice: si avvisano i gentili signori che siamo prossimi arrivare alla rinomata Trancio City, vi preghiamo di mantenere la calma. E tutti ridiamo, ma cazzo come ci sentiamo. Cominciamo a vedere le loro luci ai bordi della strada tra la vegetazione, sembra una città degradata dove non c’è traccia di una donna vera; i pini alti anche dieci metri sono i palazzi e gli abitanti sono uomini in cerca d’evasione a pagamento, o come noi, vogliono solo sfottere.
Rabbrividiamo, ma non possiamo non guardare, sono enormi porno donne, sono l’espressione sessuale di ogni desiderio maschile. Hanno tette alte e nude, corpi tonici e scolpiti, pelle liscia e ambrata. Si illuminano con le torce dove vogliono, dove i nostri fari non arrivano; sono flash erotici che impressionano la retina e arrivano dritti al cervello, se dimentichiamo che hanno il pisello riescono anche a farci eccitare nelle loro minigonne e nei loro pantaloncini inguinali. Sono vistosamente truccati e mano a mano che gli passiamo a fianco tentano di adescarci sporgendosi nella carreggiata.
Lo scegliamo per come gira la borsa con vigore e disinvoltura, non sembra interessargli dei clienti e quindi lo scegliamo. Mettiamo la freccia quando siamo a meno di tre metri da lui, abbassiamo la musica e il finestrino di Marco per poterci parlare e intanto accostiamo.
Non possiamo più tirarci indietro, perché lei infila subito la testa dentro la macchina e ci guarda uno a uno, forse per fare il conto di quanto potrebbe guadagnarci. Ha una folta chioma mora e le labbra piene di botulino, rosse lampone, per qualche attimo imbarazzato non sappiamo che dirle, poi le chiediamo come si chiama. Amanda. Le diciamo che è un bel nome e che anche lei è molto bella e pare intimidirsi. Abbassa lo sguardo e con la lingua si lecca delicatamente il labbro superiore. Ci chiede come va e ha un accento brasiliano che ci fa venire in mente le palme, le spiagge bianche, i bikini e i culi. Le diciamo che va tutto bene, così bene che ci vorremmo divertire un po’, magari tutti insieme, sorridiamo e qualcuno fa pure l’occhiolino. Lei allora scoppia a ridere maliziosa e porta indietro la testa. Non possiamo non notare il suo pomo d’Adamo, per fortuna lei guarda il cielo scuro e non si accorge del brivido di disgusto. La visione del suo gozzo è un abominio dopo l’immagine perfetta del suo volto, la bellezza femminile resa tale a colpi di bisturi e ormoni.
È mentre si ricompone e torna a guardarci che dice che potrebbe costarci caro, schioccando la lingua alla fine della frase. Diciamo che per avere il meglio siamo disposti a tutto e le chiediamo provocatori: sei il meglio che possiamo trovare qui, giusto?
Com’è sensibile Amanda, le sue guance si arrossano, ma riesce a sostenere il nostro sguardo, poi dice che dipende da cosa intendiamo. Le lasciamo spiegare con la sua voce profonda ed esotica i servizi che fa con dedizione e quelli a cui è contraria. Ci sentiamo dei goliardici eroi mentre ci prende sul serio, come si diverte e quante moine ci fa mano a mano che la corteggiamo; vuole sapere i nostri nomi, ma noi non glieli diciamo, fa l’offesa, ma scherza e ride.
Saranno passati cinque, dieci minuti da quando siamo arrivati e ancora non ha nemmeno concluso le trattative sul prezzo, ha parlato solo di sé messa in mezzo dalle nostre domande. Quando se ne rende conto prova a dare un’occhiata all’orologio sul cruscotto della macchina per quantizzare il tempo; poi dice: tornando a noi, che vogliamo fare?
Noi vogliamo che l’offerta la fai tu, le diciamo e sembra che la cosa non le piaccia.
Il tempo è denaro e stiamo tutti zitti potremmo mettere in moto e darcela in una nuvola di terra e risate, Amanda dice che non funziona così; il cliente chiede il servizio e lei dice il prezzo.
Marco allora le dice: co’ trenta euro, co’ trenta euro che ce dai? Amanda allora appoggia la borsa sul tettuccio della macchina che fa un tonfo metallico. Poi alza la sua minigonna fucsia e mette il pisello dentro la macchina proprio in faccia a Marco e gli dice: posso darti questo se vuoi, bello.
Ci vuole poco, Marco è una scheggia, in un secondo è col busto fuori dal finestrino, lo tiene per il collo e gli sputa in faccia in segno di disprezzo. Ci vuole ancora meno, Amanda è una furia, afferra la borsetta dalla macchina e con tutta la forza di un uomo di almeno un metro e ottanta di altezza, la sfracella contro la testa di Marco. Schizza di tutto da quella cosa. La terra che i tacchi di Amanda hanno smosso si solleva in sbuffi di polvere. Tutto il resto precipita verso il basso.
Mettiamo in moto, lei continua a insultarci, ci lasciamo Trancio City alle spalle, i palazzi e la gente in cerca d’evasione si fanno sempre più radi. I pini lasciano il posto ai cespugli.
Siamo tutti scossi, c’è silenzio, alziamo il volume dello stereo, quattrocento bpm. Nessuno balla, ci lasciamo riempire la gabbia toracica da questi suoni più veloci e profondi del cuore, fra poco incroceremo la litoranea, vogliamo Capocotta e le sue dune, l’alba, il mare e qualche canna, quando tutti sono uno e uno è tutti, per essere una roccia e per non rotolare via.