Sempre mi hanno attratto gli intrecci tra la letteratura e la vita. E le volte che, nella generale confusione del quotidiano, capita di prendere in mano un filo e riavvolgerlo, dall’arruffato groviglio che era, in un gomitolo ben ordinato.
Buone occasione per praticare questo genere di ‘sport estremo’ sono i viaggi, perché staccano con la routine, aprono a idee e panorami nuovi e… sono anche divertenti.
La meta stavolta è un’isola del golfo di Napoli, la stagione è la primavera. Un viaggio per quattro persone, qualche libro e certe tracce da seguire… Una – di sicuro interesse per qualcuno di noi – è la visita ad alcuni giardini di cui si è sentito tanto parlare, senza averli mai visti.
Poi abbiamo un libro e qualche curiosità su di esso. Per il resto siamo aperti a quello che capita…
Rita è una persona conosciuta da poco tempo, anche se abbiamo vissuto più o meno nello stesso ambiente negli stessi anni. Incrociata per caso l’estate scorsa in occasione dell’uscita di un suo libro, a distribuzione e circolazione locale.
Un libro singolare, che mescola documentazione storica e invenzione fantastica; il passato con il presente, le rivoluzioni sociali con la storia privata delle persone.
Narra le storie di diverse donne di una famiglia, tutte di nome ‘Amalia’, di nonna in nipote, che si avvicendano nella compilazione di un diario che viene tramandato – dall’insediamento dei primi coloni ischitani a Ponza, nel 1734 – fino ai giorni nostri.

Rita era la persona giusta per scrivere un libro del genere: madre ischitana e padre di Ponza; infanzia e adolescenza divise tra le due isole e una curiosità di fondo per le persone e le loro ‘storie’.
Per il lancio su scala locale ha avuto l’idea, la scorsa estate, di brevi presentazioni pomeridiane in alcuni dei luoghi descritti nel libro. A tal fine ha chiesto la collaborazione di vari suoi amici che hanno intrattenuto il gruppetto dei partecipanti su temi diversi: la situazione politica delle isole ai primi del settecento, la costruzione del porto borbonico – tuttora in uso a Ponza, e una delle ‘perle’ dell’isola – la flora isolana… Il tutto contrappuntato dalla lettura di brani del libro e da qualche canzuncella, d’epoca o più recente.

Un’esperienza, le passeggiate letterarie, nel loro piccolo originali e aggreganti, di grande stimolo ad approfondire i temi proposti (oltre che a spingere alla lettura del libro).
Una delle ‘Amalie’ del libro è infatti una guaritrice, che utilizza le piante raccolte sull’isola per curare piccoli malanni, dolori e slogature: figure – le conciaosse, le mammane – realmente esistite (…e preziose!) nelle culture segregate, quando era giocoforza imparare a far da soli.
Sono infatti citati nel libro la mercorella e il succo di fichidindia (lassativi), il lauro mischiato con ortica (contro la diarrea), i semi di lino e la ruta.

Da sempre, nel visitare un luogo, privilegiamo il collegamento con una persona del posto; da allora in poi seguiremo le sue associazioni e i suoi ricordi, con assoluta fiducia.
Anche questa volta procediamo così, molto interessati alle ‘sorprese’ che Rita ha promesso. Per ora fa la misteriosa. Ci toccherà, dice, una visita – irrinunciabile, se si è a Ischia e si ha una passione per la botanica – ai giardini de ‘La Mortella’.
Ma prima ancora…
La mattina dopo, di buon’ora, seguiamo Rita a ‘Villa Arbusto’ dove ha sede il Museo di Pithecusa (in greco Πιθηκούσσαι, Pithekoussai o Pithecusae, l’antico nome di Ischia). Il curatore – un suo buon conoscente, il professor Giovanni Castagna – ci dà delle illuminanti spiegazioni sull’avamposto greco nel golfo di Napoli (Pithecusa, appunto, circa nel 770 a. C.). Di lì, soltanto più tardi i greci provenienti dall’Eubea, osarono trasferirsi sulla sponda opposta, dove fondarono la città di Cuma (intorno al 740 a. C.).




Su un lato della coppa si trova inciso – in euboico, uno dei più antichi esempi di scrittura alfabetica, e da destra verso sinistra, come nella consuetudine fenicia – un epigramma formato da tre versi: “Di Nestore …la coppa buona a bersi. Ma chi beve da questa coppa, subito quello sarà preso dal desiderio d’amore per Afrodite dalla bella corona”.
La coppa, il reperto più noto del Museo, ci spiega il professore, è stata ritrovata nella necropoli di S. Montano, a Lacco Ameno.
– …Che è dove sta il ‘Negombo’! – ci ricorda sorniona Rita.
In effetti questo nome: ‘Negombo’, qualcosa ha richiamato alla mente anche a noi. Staremo a vedere: la meta è prevista per l’ultimo giorno di permanenza…
A seguire, il programma prevede la visita a ‘la Mortella’


I giardini della Mortella furono costituiti per la passione del musicista inglese William Walton (1902-1983) e della moglie argentina, Susana Gil Passo (1926-2010), vera animatrice dell’audace impresa, utilizzando una collina vulcanica, già cava di pietra, in località Forio d’Ischia. Nel gruppo raffinato e fastoso che si era creato intorno alla coppia, nella Ischia degli anni ’50-’60, mentre sir William componeva, Susana creava il suo capolavoro di fiori e piante; altri amici e artisti contribuivano, ciascuno nel proprio campo.
A partire dal 1956, la sistemazione del luogo fu affidata al paesaggista inglese Russel Page [che già abbiamo già incontrato su queste pagine a proposito dei “Giardini della Landriana”, Ardea (RM): vedi su “O” Passeggiate per i giardini del mondo del 13.05.07).
La Mortella è divisa in due parti: un giardino più basso, ‘la Valle’, ed un giardino superiore, ‘la Collina’, terrazzato con muri a secco; si estende per un’area di circa due ettari – un vero e proprio giardino botanico – ed ospita una vasta raccolta di piante ornamentali, esotiche e rare.


Dalla più comune Tillandsia cyanea (sopra), alla meno diffusa Tillandsia usneoides (foto inferiore) – Fam. Bromeliaceae: piante senza radici, originarie del Centro America, che vivono dell’umidità dell’aria. T. usneoides nei paesi di origine e in climi caldi colonizza le antenne televisive e pende come festoni dai fili della luce.

Le ‘quattro chiacchiere’ con Rita continuano ininterrotte tra un’escursione e l’altra; da una serra al tavolino di un bar.
Quando due persone animate dalla passione comune – per la scrittura, in questo caso – s’incontrano, abituati alle incognite e alle illuminazioni del ‘mestiere’, una certa dose di curiosità va messa in conto: sui temi portanti, sui meccanismi della scrittura, perfino sugli orari in cui viene meglio.
Ma Rita resiste ostinatamente alla maggior parte dei miei affondi. Per il fatto di aver letto delle ‘Amalie’ e alcune altre sue storie, mi viene di azzardare un suo precipuo interesse per la condizione della donna, specie in contesti non facili, come potevano essere le isole nei tempi passati… Macché! – mi risponde lei, secca.
Ne desumo che Rita il femminismo l’ha interiorizzato ed acquisito, e le sue donne nascono già libere ed emancipate.
Altra negazione recisa è sulla tecnica di scrittura.
Titolare ‘Fine’ il capitolo 1 del libro, e procedere per balzi (temporali) e digressioni, mi erano sembrate prove di una narrazione complessa, piuttosto architettata. Ha forse frequentato una Scuola di Scrittura?
– Ma quando mai? Niente del genere, davvero! L’alternativa è che lei sia una scrittrice istintiva, con il piacere di raccontare – e anche di sentire le storie degli altri – come ancora si incontrano (lo so per esperienza diretta), in piccole comunità, dove la trasmissione orale è prevalente, ancorché assediata dal mezzo televisivo
– Questo no… Quest’altro no..! Ma insomma, cos’è che ti ha spinto a scrivere e a fare proprio questo libro?
Certo ci ha messo l’amore per la gente della sua terra; la sua cultura e le sue tradizioni; e anche un impiego originale di modi di dire dialettali… Visto che siamo a Ischia, le chiedo se conosce Andrej Longo, uno scrittore isolano che ha recentemente pubblicato per Adelphi un libro – Lu campu di girasoli – ‘in una lingua dialettale di fantasia’. Lo conosce e lo apprezza. Ne dovremo riparlare…

Dice Rita che il suo piacere sta proprio nel raccontare: storie di cui ha sentito e che ha elaborato. Soprattutto l’ha affascinata un periodo storico in cui le isole Ponziane sono state teatro di un esperimento illuministico di ‘ingegneria sociale’. Da parte degli esponenti più illuminati di quello stesso regno borbonico che per altri versi è portato ad esempio di inefficienza e corruzione.
Infatti, mi parla Rita, della coeva esperienza di S. Leucio, in provincia di Caserta, a pochi chilometri dalla Reggia, dove fu attuato (dal 1759 e negli anni seguenti) un esperimento industriale e sociale legato alla manifattura della seta; con criteri assolutamente innovativi per l’epoca, per quanto atteneva all’organizzazione sociale e lavorativa, alla condizione delle donne e alla stessa igiene delle case.
Rita nella vita fa l’insegnante di matematica.
Come Olive Kitteridge! – le avevo detto qualche tempo fa – il personaggio di Elisabeth Strout!
Siccome non aveva dato segno di comprendere, le ho portato il libro sull’isola, da iniziare a leggere senza por tempo in mezzo…


Intanto facciamo i piani per l’indomani. Passeremo l’intera giornata ad uno stabilimento termale piuttosto noto dell’isola; ma con un secondo fine. Una delle sorprese che Rita aveva in serbo è la notizia che l’iniziatore del ‘giardino delle acque Negombo‘, il duca Luigi Silvestro Camerini, è stato in domicilio coatto a Ponza – piccolo il mondo! – durante la guerra, tra il 1942 e il ’43.
Tout se tient, sembrerebbe.
Così partiamo, naso a terra come segugi, su una nuova pista.
A domani quindi, che poi sarebbe alla prossima puntata…
[Adotta uno scrittore. In viaggio con Rita.1. Continua]