Una statua così grande per un paese così piccolo?

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"Una statua così grande per un paese così piccolo?" Pare abbia detto così il ministro veneto in occasione del rimpatrio della Venere di Morgantina nel minuscolo museo di Aidone.

“Una statua così grande per un paese così piccolo?” Pare abbia detto così il ministro veneto in occasione del rimpatrio della Venere di Morgantina nel minuscolo museo di Aidone. E noi che conosciamo i satiri e ci teniamo stretto il peccato originale di essere siciliani, diamo già inizio, a mo’ di danza propiziatoria, al totoscommesse su quanto resisterà ancora: tre cinque sei anni? Dopo il New York Times e la banda, la BBC e i comizi, giù la maschera: strade strette, immobilismo endemico delle amministrazioni, ‘troppa grazia’ l’arrivo dei tesori trafugati proprio qui… Ma penso a Tolstoj, ai se e ai ma della storia o ad Erodoto dei villaggi un tempo grandi città. La Venere, che poi Venere non è, viene proprio da qui, con ammissione di colpa (sembra strano ma è così) degli americani che l’hanno tenuta per diversi anni al Paul Getty Museum di Malibu, ed è maestosa, ed è grande perché grande era Morgantina da cui proviene: un’agorà il doppio di quella di Atene, grandi granai, grandi speranze come quelle imperialiste di Siracusa negli stessi anni, dopo la vittoria su Atene, e io penso a come sarebbe andata la storia, penso a Tolstoj, a quel Napoleone della campagna di Russia, se l’avesse vinta o se avesse valutato meglio l’ipotesi di lasciare le opere d’arte al loro posto dato che Winckelmann, sempre per ipotesi, non aveva scritto che il bello è assoluto e che l’altare di Pergamo resta bello anche se lo porti a Berlino o i fregi del Partenone al British Museum.

Ma la storia va come deve andare, Morgantina già ‘èremos’ quando ne parla Strabone e la Venere in giro fino ad arrivare in America dove però un indizio più chiaro di ogni ipotesi ne rivela la provenienza: calcare del tavolato degli iblei. La statua è nostra. Perché l’archeologia si svolge come un’inchiesta, dice la mia amica archeologa, una serie di ipotesi su cui si costruisce una teoria avvalorata dai dati, dalle testimonianze…dall’autorità di chi ha condotto gli scavi: Malcolm Bell dell’Università di Princeton in Virginia. “La statua si riferisce a un contesto cultuale demetriaco-Koreico, sostiene la professoressa Chiara Portale dell’università di Palermo. Erroneamente ritenuta Venere perché i demi attici ricevevano una statua di culto di Afrodite. (…).. non è Venere perché Afrodite-Venere nella statuaria ha la spalla nuda, il kitone le lascia libera la spalla nuda, per risultare più sensuale”.

Qui no, Kore-Persefone è solo una fanciulla, una fanciulla rapita mentre raccoglie fiori in una valle. Ade col suo carro la porta giù, per sposarla, nei pressi di una grotta laddove la terra sprofonda negli inferi. Ipotesi, date, testimonianze, l’archeologia è anche verità del mito: nei pressi di Pergusa, nel luogo indicato dalle fonti, la grotta e lo sprofondamento esiste davvero….e i santuari dedicati alle divinità Ctonie: Ade Demetra, Kore e tanti santuari, santuari domestici, santuari di quartiere dentro al tessuto urbano di Morgantina e bagni in casa, laddove sarebbe impensabile: “recessi con materiale impermeabile”, dice la Portale, e cisterne che servivano per il bagno della sposa. Ai greci piaceva tanto l’immagine della fanciulla rapita: Europa, Teti, Elena, della fanciulla in età da marito ‘Nùnfe’ e poi sposa e poi madre e la ritualizzazione del ciclo naturale della vita, la ritualizzazione del matrimonio. “Riti che richiedevano la presenza della divinità per i pericoli del parto e per le altre paure ataviche legate alla maturazione sessuale: ad esempio si pensava che le ragazzine impazzissero.” Anche i busti trovati in gran numero sono dediche alla divinità. La professoressa Portale parla di busti votivi sempre in numero di tre a partire dalla stessa matrice con delle variazioni che riguardano le tre fasi della vita. Il nodo della cintura legato e i capelli sciolti parlano di una fanciulla, poi sposina col diadema o col velo, poi madre; e sono mezzi busti perché nati dalla terra allo stesso modo di Arianna e Pandora e la stessa Kore ritrovata nelle tombe, conficcata in terra perché dea che nasce dalla terra e sposa la vita e la morte e ritorna alla terra, dea che accompagna la donna dalla fanciullezza alla tomba. E poi un’infinità di queste statuette votive trovate nei bagni o nelle stanze ritirate del talamo, dei talami di Morgantina: statuette col capo velato, statuette che slacciano il sandalo (rito della svestizione), statuette che attendono lo sposo seminude sul letto (qualcuna un po’ annoiata in verità), fanciulle probabilmente indigene, siceliote, che andavano a celebrare col rito del matrimonio l’unione con gli stranieri greci che avrebbero assicurato sopravvivenza alla città con la nascita di nuovi cittadini. Pur sempre ninfe comunque, rapite durante un coro perché era l’unico momento in cui uscivano o sfuggite al rapimento come la ninfa eponima di Siracusa: l’Aretusa.
Da questo contesto viene la Kore di Morgantina e anche gli Acroliti anch’essi restituiti dagli americani: mani e piedi e volti delle due dee, assemblate con materiale diverso: tessuti e legno e metalli preziosi così come dovevano presentarsi allora. Perché ormai in archeologia spira un’aria nuova: non più il bello assoluto ma il bello che si completa col paesaggio, col contesto da cui proviene. “Volevamo riprodurre l’atmosfera del luogo in cui sono stati ritrovati gli Acroliti, la luce, dice la dottoressa Valbruzzi della Soprintendenza ai beni culturali di Enna, creare una chiusura per riprodurre il ‘sacellum’ dove stavano rinchiuse le dee: madre e figlia, e poi una porta da cui la visione,dopo la preghiera e l’invocazione, l’epifania delle dee doveva generare uno stato emozionale particolare, quasi uno spavento, tra le donne riunite. Parliamo di riti misterici”.
L’archeologia, il contesto: quelle spighe in mano alle dee, inconfondibile riconoscimento, l’odore del grano d’estate in questa terra. È vero, attorno a Morgantina il paesaggio è rimasto tale e quale quello di allora, “il nostro paesaggio”, dice Malcolm Bell, che a questi scavi ha dedicato una vita.
Il museo di Aidone lo vedi d’un fiato, tanta bellezza stipata in due stanze: la Kore, gli Acroliti e in un’altra gli argenti di raffinatissima manifattura ellenistica creati mentre altrove si inseguivano ancora gli animali con la clava…perché io ci penso a Tolstoj e a come funziona la storia, e all’indagine , perché tra gli argenti ci stanno cento lire.

È vero lo giuro. E c’è una storia che ognuno di noi può raccontarsi come vuole lasciando libero sfogo alla fantasia o alle ‘variabili delle ricostruzioni’ diremmo con meno fantasia. C’era una volta una tale Eupolemo di Morgantina, un ladro o un ingenuo, un povero disgraziato, o un ricco smemorato, un taccagno o uno che aveva acquistato una casa con degli argenti nascosti e nascosti così bene tra le pietre che lui stesso non ne conosceva l’esistenza o la conosceva troppo bene e cercava di rivenderli e poi morì o voleva nasconderli ai parenti e poi perse la memoria o la vita, o voleva tenerli nascosti anche dopo la morte perché non sapeva a chi lasciarli, insomma si può continuare così all’infinito e continuare a dire; si deve continuare a raccontare come a bere, è il monito della coppa ritrovata tra gli argenti: il bevitore deve stare sempre con la coppa piena, per non vedere Scilla sul fondo che ti lancia un sasso.

E noi dobbiamo continuare a dire tutto il bene e tutto il male di questo Eupolemo, di lui e del tombarolo a cui questa storia è legata. Storia di eroiche virtù e bassezze umane testimoniata da queste cento lire perse dal nostro ignobile valoroso concittadino durante il trafugamento o il salvataggio che dir si voglia, degli argenti sfuggiti persino alle razzie dei romani e ai terremoti e chiunque altro fino agli anni ottanta, come ci raccontano le cento lire, fino a quando qualcuno con basse intenzioni ed esiti fortunatissimi e nobilissimi, li ha ritrovati e poi venduti e dopo vari passaggi di mano in mano, indirettamente donati al Metropolitan Museum of Art di New York che a sua volta li ha restituiti al minuscolo museo di Aidone a cui spettavano di diritto.
Perché la storia funziona così, perché Napoleone non vinse mai la campagna di Russia e l’altare di Pergamo sta ancora lì e i fregi del Partenone ancora là e queste cento lire per sempre dietro la teca di un museo.

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