Mi svegliai per un odore forte, indecifrabile, nuovo. Volevo scendere dal letto per scoprire l’origine di quell’odore ma ho visto il mio corpo cambiato, coperto di peli bianchi. il mio olfatto coglieva anche gli odori della cucina al piano di sotto. Buon odore. Il mio gatto stava salendo, lo sentivo. L’unica cosa che contava per me era quel gatto e il fatto che era entrato nella mia stanza. Il mio corpo non rispondeva alla perfezione ai miei comandi, ma sia io che lui volevamo una cosa sola: il gatto. Con uno scatto lo presi con quelle che una volta chiamavo mani ma che ora erano unghie affilate. Il gatto miagolò ma non importava. Quando la mia bocca addentò quel pezzo di carne, mi resi conto che niente contava più di quel sangue caldo, dolce, pastoso. Come gli alcolici, questo sangue mi ha eccitato molto all’inizio, ma poi mi sono sentito depresso, per quello che ero diventato. Ho ucciso il mio gatto, e mentre guardavo i suoi resti di pelo insanguinato sul tappeto della mia stanza, volevo morire, ero spaventato per me, soprattutto perché sapevo che volevo ancora altra carne. Non potevo rimanere a casa mia, volevo troppo bene alla mia famiglia per stare con loro con questa perversa voglia di uccidere. Dovevo andarmene. Dove sarei andato? Solo, senza sapere chi ero o, peggio, cosa ero. Saltai fuori dalla finestra. Senza un rumore mi ritrovai a terra, sul prato del nostro giardino. Nostro. Non avrei mai più dovuto dirlo. Quella non era più casa mia.
Ho camminato a lungo e in silenzio, pensando. Non avrei più rivisto i miei amici, ormai ero solo. Ho deciso di andare al parco, avevo voglia di correre e di lasciarmi trasportare dalla mia nuova straordinaria forza. Arrivato al parco mi sono diretto alla fontana, dove sono riuscito a specchiarmi. Una tigre. Ero diventato una tigre. Bianca. Luce. Era quasi l’alba, dovevo nascondermi. Per mia fortuna, ho trovato subito una pietra e una grande grotta. Poteva andare bene.
Le urla di bambini che giocavano mi svegliarono; mi ero addormentato in quella grotta. Le mie orecchie si alzarono velocemente, ora sentivo gli uccelli che cinguettavano, lo scrocchiare delle foglie secche sotto i piedi dei passanti e davanti a me vedevo… Davanti a me c’era la creatura più bella che avessi mai visto, seduta su una panchina. Quella ragazza stava scrivendo sul suo quaderno ad anelli verde; un ciuffo biondo di capelli le scendeva su un occhio e ogni tanto lo spostava con un gesto tanto femminile e aggraziato nello stesso tempo. Ai miei occhi era perfetta. Ammirarla era bello e aspettavo il suo arrivo al parco dove si sedeva tutti i giorni sulla stessa panchina a scrivere. Un giorno l’aspettai molto ma lei non arrivava. Non la vedevo. Dov’era? All’improvviso fiutai il suo profumo, stava arrivando ed era in compagnia.
– Lasciami, vattene, non sono interessata a te! – Stava gridando e gesticolando voleva mandare via quel ragazzo che continuava a dirle che doveva andare a casa sua e che non si doveva preoccupare perché si sarebbe divertita. Lei continuava a rifiutare l’invito, così il ragazzo la prese per un braccio e la portò via di peso. Non potevo lasciare che le succedesse una cosa del genere. Sono uscito dalla caverna e appena il ragazzo mi ha visto è scappato scaricando a terra la ragazza che stava piangendo pregandomi di non mangiarla. Con naturalezza appoggiai la testa a terra e continuai a fissarla. Lei capì che non ero pericoloso e che non le avrei mai fatto del male.
– Ah, una tigre bianca.
Con un sorriso smagliante avvicinò lentamente la mano per accarezzarmi la testa.
Nello stesso istante una foglia cadde dall’albero sfiorando il viso di quella meraviglia e come una lama affilata le fece un taglietto molto piccolo ma abbastanza grande per attirare il mio olfatto. Si era risvegliato in me il predatore. La voglia di sangue. Mi sono alzato subito da terra. Lei con un gesto veloce ritrasse la mano. La guardai intensamente. Con occhi magnetici. Lei ormai era troppo attratta da me per scappare. Il mio sguardo la risucchiò come un buco nero aspira meteoriti. Con un balzo le saltai addosso.
© Adriano Ciriani (Questo racconto è stato scritto durante il workshop di scrittura creativa realizzato da Scuola Omero presso la Scuola Media Statale Settembrini di Roma)