“[…Annoterò nel Breviario i diversi suoni] …dello sciacquio e dello sciabordio del mare lungo la riva, di ciò che resta delle onde che si sono esaurite e smorzate, i loro rumori o le loro voci quando schizzano di spruzzi gli scafi delle navi o gli angoli dei moli. Il rumore, il suono o forse il canto dei grilli non turbano l’insonnia, questo lo so per esperienza, nelle notti d’estate quando è più facile star svegli che dormire, quando sono gli animi a voler vegliare e si potrebbe dire, a sentirsi uniti e raccolti lungo tutto il Mediterraneo.”
[Predrag Matvejević: “Breviario Mediterraneo” (1a Ediz. Garzanti 1991; 3a Ristampa 2008]
La classica ‘puntata’ a Palmarola, a partire da Ponza, muove dal Faro della Guardia – uno dei fari più maestosi del Mediterraneo posto su uno sperone basaltico – da cui si tira ‘dritto per dritto’ e si naviga a vista, dirigendosi verso l’estremità di sinistra della piccola isola.

Ci fa compagnia nel viaggio, come un breviario, un libro; variamente definito ma alla fine indefinibile: una storia ‘geo-poetica’ del Mediterraneo e dei paesi che vi si affacciano, un ‘diario di bordo’ e anche un ‘romanzo dei luoghi’…

In verità è un’ottima guida, per come conduce dal particolare al generale; dalla sensazione che si vive al momento ad altre idee raccolte in luoghi distanti, nei nostri viaggi [V. su “O”: Campi e giardini nell’isola di lava. Mediterraneo grande madre del 20.09.09]; una rappresentazione del ‘grande mare tra le terre’ che fa compagnia e scalda il cuore, ma che è astratta.
È la conclusione pessimistica dello stesso Autore: “Un’identità dell’essere, forte e radicata nelle nostre sponde, incontra una identità del fare inadeguata e poco sostenuta. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si perpetua: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non si identificano affatto…”
Consoliamoci perciò con le suggestive informazioni – sempre desunte dal libro – sulle molte caratteristiche comuni, come gli stessi biotipi botanici, di un Mediterraneo “che inclina verso l’Africa”.
Matvejević è infatti passato, da una iniziale incredulità, a condividere pienamente la tesi di altri conoscitori della flora africana:
“La scoperta di una flora tipicamente eu-mediterranea sulle alte montagne del Sahara centrale è stata una delle principali sorprese nella esplorazione botanica di quei luoghi… La vegetazione negli alvei fluviali (ued) nei territori montuosi dell’Hoggar, l’immensa regione vulcanica nel centro-sud dell’Algeria – il termine arabo ‘Ahaggar‘ significa ‘luogo della paura’ – è di tipo indubitabilmente mediterraneo”. (Pierre Quezel: Contribution a l’étude de la flore et de la végétation du Hoggar; Algeri 1954).
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L’avvicinamento all’isola, per antica tradizione, si fa attraverso la porta grande (‘a porta ‘ranne), che avvia al periplo in senso orario; ma nessuno rinuncia a fare il giro largo attraverso il Faraglione di Mezzogiorno, una grande roccia con un passaggio a cielo aperto, attraverso cui riescono ad introdursi barche anche piuttosto grandi.



La classica escursione a Palmarola – di devozione e panoramica – è allo Scoglio di S. Silverio, da cui si abbraccia tutto il versante di ponente.
La fioriture in questa stagione sono al massimo dello splendore, e lo sfondo del mare fa la sua parte…



Gli stridìi delle madri, nel cielo sopra di noi, dicono che non gradiscono l’intrusione, anche se cerchiamo di essere molto rispettosi. Le uova sono calde, non solo per la cova, ma ‘di loro’, per la vita che c’è dentro; dal che si può capire che contengono un pulcino già abbastanza formato.








È straordinaria l’espansione, in poco tempo, di questa specie botanica – Matthiola incana – in un areale limitato (una immagine più ravvicinata delle viole si può vedere nella prima parte di questo articolo).
Per certo, alcuni anni fa le viole di Pasqua non erano così vigorose e diffuse; come sono del tutto assenti sui pendii delle foto precedenti, colonizzati invece dalle ginestre.
Nella parte in basso a dx della foto si può riconoscere il tipico endemismo isolano: la palma nana – Chamaerops humilis, Fam. Arecaceae.
Se si continua il giro dell’isola in senso orario, dopo un’altra serie di spiaggette e rientranze, lo sguardo si apre su una parete rocciosa molto particolare, con degli speroni a mare traforati da spacchi verticali e piccole grotte; più avanti la roccia assume un aspetto decisamente colonnare. E’ la cosiddetta “Cattedrale”, una roccia compatta cristallizzata in elementi a sezione esagonale che precipitano a mare da un’altezza di circa 60 metri. Un aspetto caratteristico è la vegetazione, nella zona a monte delle colonne di roccia: con un po’ di attenzione si riesce a vedere che le piante “di frontiera”, adattate ai venti e alla salsedine si sono impiantate con disposizione regolare, quasi geometrica negli interstizi tra le rocce.





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Come tutte le piccole enclavi, le isole in particolare sono feconde di personaggi originali e stravaganti, coraggiosamente fuori dal coro.
A Palmarola ancora si ricorda ‘il Francese’ – O’ Francése o U’ Francése (tra il dialetto napoletano e quello isolano ci sono molte affinità, ma anche differenze ben percepibili, per un orecchio addestrato).
L’ho conosciuto che era già anziano, intorno agli anni ’60, il periodo della mia prima (e definitiva) infatuazione per l’isola.
Lo chiamavano ‘U’ Francése’ perché da giovane era stato a lungo a Marsiglia. Ne era tornato spinto dalla nostalgia, con una moglie francese, che però non l’aveva voluto seguire e se ne stava sull’isola più grande, a due ore di barca.
Il Francese aveva sempre fatto il muratore e si era costruita una casa sull’unica vera spiaggia dell’isola, a ponente, di fronte al tramonto.
Quando l’ho conosciuto era un tipo rubicondo, capelli bianchi e occhi azzurri, un mezzo sigaro sempre in bocca e la pancia prominente, scoperta e abbronzata. Non c’erano molte case, allora, in quel posto sperduto; anche adesso di vere case se ne contano poche, oltre alle grotte scavate nella roccia, sulla parete dietro la spiaggia.
Ma a differenza di tutti gli altri, il Francese sull’isola ci viveva sempre. D’inverno era completamente solo e restava isolato per settimane; in primavera arrivavano i cacciatori, a fargli compagnia e per un breve periodo i guardiacaccia, che lui odiava – c’è un florilegio di storie, ormai leggende isolane, sui loro continui contrasti, sotterfugi e ripicche. Come pure si racconta della volta che ‘fu preso dai diavoli’. Si era convinto che il Diavolo – a Palmarola alberga delle parti del monte ‘Forcina’ – ce l’aveva con lui e gli faceva i dispetti; così di primo mattino, dopo una notte di tempesta e al colmo della disperazione, provò a mettere in mare la sua piccola barca per fuggire dall’isola. Impresa non facile, in cui riuscì solo con l’accortezza di sfruttare la pausa di risacca tra un’onda e l’altra. Si avventurò così nel vasto mare in tempesta, remando come un forsennato fino all’isola vicina, dove arrivò verso mezzogiorno, bagnato e tremante, in un’aura di leggenda.
Ma di solito sull’isola ci stava bene; forse d’estate arrivava troppa di gente ne, a invadere la sua isola con barche, motori e confusione. Lui era molto tollerante e si era organizzato per sfruttare la situazione. Faceva ‘da ristorante’, anche se chiamarlo così, a quei tempi, era un’esagerazione – poi lo è diventato -; ma funzionava… Dava ospitalità ai pochi turisti di passaggio e a qualche snob, conoscitore del posto; era improbabile invece che i ponzesi andassero dal Francese; erano ancora i tempi in cui si andava in gita con la ‘stozza’ di pane e frittata.

Era raro che cucinasse per gli altri; il più delle volte tirava fuori la pasta e i pomodori freschi; diceva – Ici ci son ossì le òve.. Alàh.. – e se ne andava sul retro della casa a curare l’orto e le sue costruzioni.
Ci sono stato nella sua cucina, discretamente sporca e in disordine, con i piedi del tavolo infilati in barattoli con l’acqua, contro le formiche, e altre cose appese per aria, con strani congegni, per bloccare i topi.
Quando era pronto, veniva anche lui a mangiare pane e frittata con i pomodori insieme agli altri. E poi portava pure il conto! Scarabocchiato a matita su un quaderno con la copertina nera.
Per tutto l’anno il Francese curava i suoi piccoli lavori; aveva fatto le prime rampe di scale sullo scoglio dov’é la cappelletta del Santo protettore; poi faceva muri, scavava la roccia, coltivava la terra… Ritagliava ogni anno un metro per parte ai suoi vicini e metteva al confine una colonnina – ‘antichizzata’ ad arte – che sembrava stesse lì da sempre; era così che allargava le sue proprietà. Anche dietro la casa, in fondo, dove tra le canne la spiaggia confinava con la montagna, aveva scavato e intonacato due o tre grotte che affittava d’estate ai turisti; a prezzi esorbitanti, per l’epoca.
Strano tipo il Francese… il suo atteggiamento tra lo svagato e l’assente. Andavo sempre a salutarlo, quando passavo sull’isola, ma non ero mai certo che mi riconoscesse…
Qualche anno dopo seppi che era morto.
L’avevano portato in ospedale perché era diventato tutto giallo; l’avevano operato ed era morto. Devo essere stato una delle persone cui è dispiaciuto di più: non riuscivo a rassegnarmi al pensiero delle ultime ore del vecchio, lontano dalla sua isola… Ci aveva passato metà della sua vita; ci aveva vissuto nel sole e nelle tempeste, con le grida dei gabbiani a primavera e con il mare di ponente, che fa ‘cantare’ i ciottoli della spiaggia. E non era riuscito a morirci.
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Il giro dell’isola si conclude ritornando sul versante che guarda Ponza; rocce ancora diverse, specie alla punta sud, di un bianco accecante:

Lasciandosi l’isola alle spalle, sulla via del ritorno – di nuovo in direzione del Faro della Guardia – quasi nessuno si accorge di aver contratto una malattia che mai guarirà e che sicuramente darà segni di sé, prima o poi.
Il fatto è che Palmarola ‘rimane dentro’ come pochi altri posti al mondo.
È difficile stabilire la natura del contagio, perché ognuno ci mette del suo… Sarà la natura selvaggia e inospitale dell’isola, la relativa esiguità degli insediamenti umani, la difficoltà di sopravviverci per un periodo appena un po’ più lungo, se non si è fortemente motivati. Saranno le grida dei gabbiani o le distese di fiori che coprono i pendii; o la sensazione di libertà e di isolamento dal mondo, che di fatto è appena dietro l’angolo.
Sarà per ciascuno una cosa diversa, ma molti ci torneranno, di persona o con i pensieri, così che pian piano l’isola perde la sua connotazione reale e diventa altro, nell’immaginario e nella memoria.
[Predrag Matvejević: “Breviario Mediterraneo” (op. cit.)]