Le origini dell’Aerokombat

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Non è una mera arte marziale che prepara ad un match di boxe, eppure insegna l’arte del combattimento; non si tratta della conosciutissima lezione di aerobica, ma...

Non è una mera arte marziale che prepara ad un match di boxe, eppure insegna l’arte del combattimento; non si tratta della conosciutissima lezione di aerobica, ma con questa ha in comune l’agilità ed il divertimento. Decisione e delicatezza sono equamente mescolate in questa disciplina sportiva. Ecco perché un ossimoro, ecco perché incuriosisce.

Lo ha spiegato Cristian Cacace, istruttore master che, nel 1997, fu uno dei due fondatori di aerokombat in Italia.

 

Come nasce il desiderio di unire il fitness e le tecniche del combattimento?

“L’idea originaria ha radici d’oltreoceano: un campione di box infortunato, non potendo più lottare decise di traslare le sue competenze in un’attività più ‘pacifica’ ed inventò la boxe con sottofondo musicale. Noi abbiamo voluto perfezionare questa buona intuizione individuando i tempi ed i ritmi giusti, affinché la musica quadri perfettamente sui movimenti atletici, i quali son stati attentamente studiati per poter essere inseriti in una determinata lezione.

Per far questo Mauro Ceglie ed io abbiamo curato la parte biomeccanica, mentre per la consulenza fitness ci siamo rivolti alla campionessa di aerobica internazionale e al campione del mondo di allora, Titti Tamantini e Alex Viligiardi. Nel 2002 Fabio Metelli, grande conoscitore di filosofie orientali, ha preso il posto di Mauro, apportando significative innovazioni”.

 

In cosa si differenzia dalle classiche arti marziali, pur richiamandone i principi?

“Innanzitutto è divertente. Una lezione di aerokombat attenua le tensioni che si accumulano quotidianamente perché è utilizzato l’equipaggiamento tipico: il sacco, lo scudo, la corda e la pallina, ma il fine ultimo non è il combattimento agonistico e l’uso dell’arte marziale è al netto dello stress inevitabilmente connesso alla lotta vera e propria. Ecco perché coniuga equilibrio del corpo e della mente”.

 

Sembra vantaggiosa per chi desidera mitigare i propri nervosismi sferrando calci, ma serve solo a questo? E a chi è indirizzata questa disciplina?

“No, è uno sport assolutamente completo, al pari del nuoto. Serve a potenziare tutti i muscoli del corpo e a tonificarli. È un’attività ad alto impatto cardio-vascolare, quindi l’allenamento è ad un livello elevato.

Si può definire aerokombat una sorta di approccio soft per coloro non pienamente convinti di voler praticare un’arte marziale, poiché, pur non essendo pronti ad applicarle realmente, apprendono le tecniche del combattimento. Le lezioni sono il prodotto di un’approfondita ricerca che già nel ’97 mirava ad ampliare il più possibile il bacino d’utenza, in particolare alle donne; tutti possono essere allievi, dai dieci ai sessant’anni”.

 

Il 5 e il 6 marzo 2011 si è svolto lo stage nazionale di aeromkombat. Se non si vince in seguito ad una lotta, cos’è?

“In concreto è una prova di abilità ad utilizzare gli strumenti nel minor tempo possibile. Fabio Metelli nel 2004 introdusse il premio per la coreografia e per il circuito; il torneo nacque con l’obiettivo di riunire tutte le palestre d’Italia affinché potessero confrontarsi istruttori e allievi nello stesso momento e nello stesso luogo per saggiare l’efficacia del proprio metodo e la validità del proprio agire. Senza riscontri empirici non può esserci miglioramento”.

 

Tutto appare minuziosamente ed armoniosamente progettato, perché il bianco il rosso e il nero per i guantoni le fascette e tutto l’abbigliamento?

“Sono i colori che rimangono più impressi nella corteccia cerebrale”. Sorride.

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