L’architettura italiana sopravvive nei cimiteri

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L’architettura italiana potrebbe avere uno spiraglio di sopravvivenza. Ah sì?! E dove? Nei cimiteri. Per me, frequentatrice esclusivamente di piccoli cimiteri umbri, rimarrà sempre un infantile mistero la sepoltura

L’architettura italiana potrebbe avere uno spiraglio di sopravvivenza.
Ah sì?! E dove?
Nei cimiteri.

Per me,  frequentatrice esclusivamente di piccoli cimiteri umbri, rimarrà sempre un infantile mistero la sepoltura di tutti coloro nati prima degli anni ’80 del 1800: mai vista la tomba di alcuno nato precedentemente, escludendo ovviamente le illustri sepolture in duomi e cattedrali.

Seppur sia scontato da dire, non altrettanto misterioso (scrivo sempre per me) è il comprendere che i cimiteri siano stati realizzati per essere riempiti, fino ad esaurimento posti, e che dunque ad un certo punto divengano necessari degli ampliamenti.

È proprio in tali ampliamenti che si potrebbe scorgere forse un barlume di sopravvivenza per l’architettura italiana.
Leggendo sfogliando curiosando studiando la raccolta degli “Almanacco di Casabella”1 dal 1997 al 2005, senza essere alla ricerca di alcuna conferma per qualche mia riflessione sull’architettura italiana contemporanea, mi sono resa conto, una volta giunta alle pagine conclusive, che le uniche architetture ad avermi fatto soffermare su di esse erano state proprio quelle relative ai cimiteri2.
Un’iniziale senso di scocciatura, ah anche questo è un cimitero!, si è poi trasformato in qualcosa di altro.

La morte, al di là di ogni culto, è forse la sola cosa ad accomunarci realmente (noi uomini), e non tanto per il fatto che non permetta via di fuga ad alcuno, quanto piuttosto perché il suo essere ignota è il medesimo per chiunque.
È l’ignoto dunque a generare in noi una sorta di rispetto(?), attenzione (?), accortezza (?), reverenza (?)?
È forse per questo che l’architettura sembra molto più attenta alla città dei morti che alla città dei vivi?
Non so.
Quello che so è solamente che l’architettura italiana nella progettazione dei cimiteri non se la cava male. Emerge nei progetti un’eticità che con difficoltà riusciamo a riscontrare nella gran parte dell’architettura contemporanea, emerge un pensiero verso chi in quegli spazi si troverà, emerge la volontà del progettista di farsi da parte, emerge la semplicità dei materiali non camuffati, emerge l’architettura.
E se in vita il vicino di casa è fastidioso per antonomasia (il Ned Flanders simpsoniano ne è massimo emblema), una volta trascorsa questa vita, le ostilità tra vicini defunti sembrano svanire, anche se, in modo un po’ paradossale, ad asserirlo è proprio chi in questa vita ancora si trova. Voglio dire, varcata la soglia del cimitero, per noi vivi ogni conflitto di vicinato svanisce, un senso di comune appartenenza sembra riaffiorare ed un pensiero spesso va anche a chi non si è mai conosciuto.

In Bianco Rosso e Verdone Mimmo e la nonna alla ricerca della tomba del figlio di un’amica che si chiamava “ma ‘nun me ricordo… Riso come un soriso, come risaia..mmm ma che ne so! Risi..chettedevodì..” e che non riescono a trovare, decidono alla fine di “oh volemo fa una cosa? Tagliamo la testa al toro: volemo i mette i fiori un po’ a tutti quanti come viè, viè?”, consapevoli che è come se avessero trovato il loro defunto.

E allora, sebbene un egoista individualismo sembri dilagare accompagnato da una catastrofica disgregazione della socialità, sebbene il conseguente valore etico di un’architettura che sia espressione di una coesa collettività sembri per molti essere svanito, sebbene la parola morte sia spesso riferita all’architettura, io credo che un barlume di speranza ci sia.
L’architettura italiana forse sopravvive. Anche se in un luogo di morte.

 

NOTE

1 “Architetti italiani le nuove generazioni”, a cura di Marco Mulazzani, Mondadori Electa,
    Milano, 2006

 

2 Alcuni progetti a cui implicitamente l’articolo fa riferimento:
–          Ampliamento del cimitero del Sasso a Bordighera, Imperia, 1996, arch. Maurizio Latella e
           arch. Giancarlo Ranalli
–          Ampliamento del cimitero di Misterbianco, Catania, 1999, arch. Aurelio Cantone
–          Ampliamento del cimitero consortile di San Carlo a Seregno, Milano, 1999, arch. Stefano
           Spagnolo e arch. Loredana Poli
–          Ampliamento del cimitero Piratello, Imola, 2001, arch. Alessandro Contavalli, arch.
           Andrea Dal Fiume, arch. Michele Pasotti, arch. Gian Carlo Manara
–          Ampliamento del cimitero comunale Bagnolo Mella, Brescia, 2002, arch. Camillo Botticini
–          Ampliamento del cimitero di Berbenno di Valtellina, Sondrio, 2002,arch. gruppoLFL
–          Ampliamento del cimitero a Dosson di Casier, Treviso, 2003, arch. Sandro Pittin e arch.
           Roberto Scotta
–          Cimitero di Ortona, Chiasso, 2006, arch. Giovanni Vaccarini

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