
Siamo sicuri che quello di oggi sia il migliore dei musei possibili?
Il museo, giovane istituzione nata solo poco più di due secoli fa, negli ultimi decenni è divenuta, in Europa e non, indiscutibilmente fondamentale e sempre più di rilievo all’interno del sistema culturale.
In un momento nel quale le città si “riempiono” di musei, e non più solo in quanto “contenitori d’arte”, ma oggetti artistici e attrazioni turistiche in sé stessi, probabilmente una riflessione sul museo è più che necessaria: il museo, così com’è, è in grado di svolgere compiutamente la funzione per cui esiste, ossia, come affermava il pittore francese David, di “essere una grande scuola” in cui il pubblico possa istruirsi?
Il museo è come una casa di cura per malati di mente.
Se trovate il paragone tirato per i capelli, pensate: dove se non in queste due istituzioni vi aspettate di trovare qualcuno che sta in piedi immobile davanti a un muro dove non sta succedendo niente? (Nelson Goodman, “The End of the Museum?”)
Queste parole, pronunciate dal filosofo, gallerista, collezionista d’arte statunitense Nelson Goodman (1906-1998) in occasione dell’incontro annuale dell’Association of American Museums nel 1985, sono, a venticinque anni di distanza, attuali e la pungente ed efficace ironia di Goodman sembra calzare mai come oggi a pennello.
Make works work (far operare le opere) è per Goodman la missione senza la quale il museo non avrebbe motivo di esistenza: le opere operano quando stimolano la nostra percezione, quando stuzzicano la nostra intelligenza, quando sono in grado di azionare in noi una catena di processi mentali che va dalla connessione, al contrasto, alla riorganizzazione, dei pensieri e dell’esperienza.
Ma, riprendendo l’interrogativo iniziale, siamo sicuri che quello di oggi sia il migliore dei musei possibili? Siamo sicuri dunque che esso sia capace di far operare le opere?
Per Goodman non è così.
Per lui il museo è una stranezza culturale, una mostruosità istituzionale, la peggiore condizione immaginabile nella quale entrare in contatto con gli oggetti artistici. Perché il museo, avendo come primario obiettivo la conservazione delle opere, in realtà mette in atto una distanza tra il visitatore e gli oggetti artistici, ponendosi invece come l’unico e capace “avvicinatore” tra essi.
Tramite il paradosso delle biblioteche di Marte, sarcastica invenzione, Goodman rivela la sua acuta capacità di analisi: egli racconta infatti che su Marte le biblioteche conservano sì i libri, ma ad una distanza elevata dal lettore che può così solo maneggiare piccole e illeggibili riproduzioni plastiche. Su Marte le biblioteche non ti consentono di leggere i libri: inaccettabile!
E così il filosofo, con intelligenza non comune continua: Non si può organizzare una biblioteca nel modo in cui lo fanno i marziani; e non si può, cioè, organizzare una libreria nel modo in cui noi organizziamo un museo. Ma la domanda che sorge è se è possibile organizzare un museo nel modo in cui loro organizzano una biblioteca, e cioè, se è possibile organizzare un museo nel modo in cui noi organizziamo un museo.
In modo disarmantemente schietto e semplice Goodman riesce a far emergere delle lacune invisibili ai nostri occhi.
Ma suo grande merito non è solo quello di criticare, ma piuttosto quello di essere in grado di proporre soluzioni per un migliore funzionamento del museo, funzionamento che, secondo lui, consiste nella capacità del museo di estendere la propria influenza oltre l’edificio museale. L’arte, per “esserci utile”, deve invadere la nostra la vita, travalicare il museo che deve divenire un museo senza muri, cioè che non raccolga solo riproduzioni, ma un’ampia serie di opere originali.
Perché questo possa avvenire ogni museo dovrebbe quindi avere una Galleria di vendita e di noleggio in cui il visitatore abbia la possibilità di mettere in atto il ritrovato entusiasmo per l’arte. La Galleria secondo Goodman sarebbe un modo per far operare le opere in quanto qui il visitatore, potendo scegliere un’opera con cui vivere, si troverebbe ad estendere concretamente il potere formativo del museo alla vita quotidiana.
Dare l’impressione che le sole opere meritevoli siano quelle tanto rare e costose da essere circoscritte ai musei e alle grandi collezioni e che non esistono opere buone che le persone possono possedere e con le quali possono vivere è uno degli effetti peggiori che un museo possa avere. E quando le opere cominciano a venire prodotte espressamente per i musei raggiungiamo una fase di perversità assoluta. Perché il museo, dopotutto, è un’istituzione anomala e scomoda, resa necessaria solo dalla rarità e dalla vilnerabilità di opere che appartengono, tuttavia, ad altri luoghi.