Sono stati due giovani scrittori, l’italiano Paolo Giordano e l’israeliano Ron Leshem a dare il via al Festival Internazionale di Letteratura Ebraica, giunto alla sua terza edizione, e che Roma ospiterà fino al 13 ottobre. L’incontro tra i due scrittori, dal tema “Natural born writers”, a mò di partita di ritorno, poiché l’italiano Giordano era stato già intervistato a Gerusalemme e sulle stesse tematiche dall’israeliano Leshem, si è giocato sul campo dell’essere giovani autori che con le loro opere prime, divenute anche film per il grande schermo, “La solitudine dei numeri primi” (Mondatori, 2008) e “Tredici soldati” (Rizzoli, 2007), hanno conquistato il pubblico internazionale. E mentre, i versi di Ronny Someck “Noi sulla torta in posa/ come le statuine, sposo e sposa./ E se un coltello si insinuerà/ ci impegneremo/ a rimanere sulla stessa fetta” aleggiano ancora lievi sulla serata del 9 ottobre, l’incontro-viaggio, con lo scrittore israeliano, “esplorato” da Paolo Giordano, ha inizio.
Ron Leshem parla della bellezza della sua terra, dell’estrosità e della grandiosità di Tel Aviv ma anche del fatto che “per certi versi è un grande manicomio. E’ un paese con un pesante passato dove ciascuno ha perso un parente, un amico, un conoscente”, e lui si sente fortunato: “è diventato un manicomio dipendente” anche perché il suo lavoro di scrittura inizia sempre come una specie di inchiesta giornalistica, un lavoro di ricerca che riguarda personaggi, luoghi e vicende e “io devo entrare sotto la pelle dei miei personaggi. E ad occhi chiusi mi muovo con un certo amore per loro, anzi, a volte me ne innamoro proprio”. E il suo amore per la scrittura è profondamente palpabile, si capisce, si sente ma l’uomo-scrittore finisce anche per ammetterlo: “mi piace scrivere proprio perchè posso esplorare il fondo di me stesso. Voglio dire, i miei desideri più profondi e metterli in scena sulla pagina. Così come tutte le esperienze che avrei voluto avere e che non ho avuto”. La sua creatura, il suo libro, “Tredici soldati”, non è un’opera sulla guerra. Bisogna sfogliare bene quei giovani personaggi, le vicende, e il loro legame per accorgersi che in realtà Ron Leshem ha voluto “creare la storia di un regno di bambini. Una sorta di mondo immaginario popolato da bambini che vivono insieme, che danno vita a un paese diverso, a una comunità diversa, senza la super visione degli adulti” e l’idea forte che viene fuori, pagina dopo pagina, è proprio quella “di restituire al foglio scritto una esperienza così: il tipo di amicizia che lega questi ragazzini. Forte, come quella che può nascere tra le persone molto giovani”. E i giovani israeliani continuano a vivere nelle parole di Leshem anche quando racconta dei suoi viaggi e fa un confronto con l’Italia: “ancora una volta mi ritrovo su un terreno comune, cioè, i giovani, salvo alcune eccezioni, forse non credono più nella possibilità di un cambiamento”. Ma non si da per vinto lui, anzi, dopo un breve paragone con gli scrittori italiani “credo che noi scrittori israeliani, come voi italiani, soffriamo un po’ degli stessi problemi. Nel senso che qualsiasi cosa ci accingiamo a scrivere, qualunque cosa, volente o nolente, avrà in filigrana un riferimento alla politica”, racconta su che cosa sta lavorando in questo periodo. Ed ecco che viene fuori di nuovo la tematica a lui tanto cara: i giovani. “In questo periodo sto scrivendo due serie televisive. La prima parla di come ci si sente ad avere 17 anni nell’Israele odierno. L’altra è invece una cosa completamente diversa. Parlo di una famiglia in cui il figlio scopre un bel giorno che i suoi genitori sono due spie russe. Effettivamente è successo. E’ una storia vera. Mi sto divertendo con questo lavoro perché, detto tra le righe, in realtà c’è una storia diversa che è legata alla famiglia, al senso dell’ appartenenza e alla lealtà verso i genitori anche quando si scoprono delle cose non belle su di loro”. E sul finire della serata, quando le luci nella sala stanno per spegnersi, Ron Leshem, prende in mano il microfono per una volta ancora e quasi a voler chiamare in causa, a legarlo ancora un po’ di più a se, il suo amico scrittore, Paolo Giordano, dice: “Tu ti trovi in una situazione analoga a quella mia. So della politica nel tuo paese, un sacco di cose, e come scrittore di colpo ti trovi ad avere un ruolo nella società. Ti viene attribuito un ruolo che va molto al di là delle storie e dei racconti che metti sulla pagina”.