Che ora, che tempo è nel mondo?
Ora è mezzanotte e mezza nel mio mondo. E non avrei mai pensato prima d’ora di scrivere di un concerto degli U2. Onestamente non pensavo nemmeno che ci sarei mai andata. I prezzi proibitivi, l’odore di un bagno di folla e di uno spettacolo confezionato ad arte, la sviscerata passione (nell’ambito del rock) per i Cure, che hanno più o meno sempre apertamente snobbato gli U2, la viscerale antipatia per pezzi come With Or Without You e la radicata convinzione che ascoltare gli U2 è un contentino per orecchie borghesi che si credono ribelli erano tutti gli ingredienti che mi tenevano lontana dall’eventualità che invece si è presentata. Si è presentata sottoforma di un regalo, un gesto bello e privato, dunque non narrabile. Un regalo che forse è un simbolo e rappresenta l’invito a entrare nel mondo reale fatto di contemporaneità. Accettare di non essere una persona fuori posto che vive in un mondo a parte non connesso con quello che corre nel presente, cercare di non essere sempre e comunque critica su qualsiasi cosa che dia emozioni a più di una persona, aprirmi, è un passo che prima o poi dovevo arrischiarmi a fare. L’ho fatto, devo dire, con un certo corroborante entusiasmo. Decidere di correre un rischio senza entusiasmo non ha senso.
Ma cerchiamo di trovare un senso all’ultima data del tour mondiale degli U2 cominciato un paio di anni fa, il 360° tour, che ha avuto il suo culmine a Roma, allo Stadio Olimpico l’8 ottobre del 2010 alle 21.30 minuto più minuto meno.
Il senso dichiarato del concerto è nel tempo e nello spazio. Letteralmente. Tirare in terra due concetti di questo calibro se lo possono permettere in pochi. Il rischio è banalizzarli il tempo e lo spazio. Gli U2 hanno aggirato l’ostacolo grazie a un marchingegno moderno: la spettacolarizzazione. Un circo, un luna park a sfondo sociale. Hanno un sapore triste queste parole? Portano a universi poveri e in qualche modo romantico-decadenti? Un po’. Gli U2 invece hanno dato ritmo a queste parole, hanno investito una quantità di energie e di soldi che non riesco nemmeno a immaginare e hanno messo in piedi un tour incentrato su un palco a forma di grande mostro alieno. Un mostro tecnologico con quattro zampe che sembrava dovesse decollare da un momento all’altro, carico di effetti fantasmagorici: megaschermi mobili, luci di ogni sorta, telecamere sospese, strumenti tecnologici all’avanguardia, un anello sul quale camminare e circondare la folla in piedi sul prato, ponti mobili, effetti fumo di ordinanza.
Ma facciamo un passo indietro, alle 20.30 minuto più minuto meno. E’ l’ora in cui è comparso sotto i tentacoli del mostro alieno il gruppo che apriva il concerto: gli Interpol. Eleganti, negli abiti e nel suono, composti fino alla staticità ma solo nell’atteggiamento. Nel suono sono un gruppo che trascina in sonorità scure ed epiche con chitarre, basso e tastiere che compongono armonie raffinate e in crescendo nei brani, graffiati da una batteria sincopata che tinge il suono con colori complementari. La folla al concerto era divisa tra stupore quasi estatico e impazienza che la band finisse di suonare per lasciare il posto alle star attese.
Il colpo di scena è stato all’inizio. Se la scenografia richiamava la venuta dallo spazio, le note che hanno dato il via al concerto, spazzando via la malinconia degli Interpol e strattonando l’immaginario verso uno spazio cosmico glamour e scintillante non appartenevano agli U2 ma al marziano del rock per antonomasia: David Bowie. Space Oddity è stato il pezzo che ha aperto la scena, nella sua bellezza irresistibile. A quel punto si sperava quasi paradossalmente nell’apparizione del Duca Bianco. E invece gli U2 hanno fatto il loro ingresso con camminate strafottenti e cariche di energia, primo fra tutti certamente l’acclamato Bono Vox, il cui nome non può non aver contribuito al suo successo, suonando sempre quasi come uno slogan.
Occhiali scuri, giacca e pantaloni di pelle e grinta da vendere, nonostante fosse reduce da un’operazione alla schiena e nonostante il suo mezzo secolo, Bono si è dimenato sul palco con movenze da boxeur-gladiatore, urlando Roma a squarciagola e ripetutamente mentre le chitarre sferzavano i suoni di un nuovo pezzo: The Return of The Stingray Guitar.
Bono, in un gesto, ha catturato tutte le voci al lazzo facendole roteare nello stadio Olimpico e mettendo in scena una rappresentazione di dominio. E’ stato impressionante notare come alla folla, alla massa, piaccia essere dominata, sottomessa da un domatore ed esaltata. Un pensiero non molto felice per un attimo mi è balzato in mente.
L’attimo più emozionante del concerto è stato comporre una coreografia collettiva. Ogni singola persona che era seduta nell’enorme cerchio dello stadio aveva sulla sedia un biglietto colorato sul quale le istruzioni erano chiare: bisognava alzarlo in aria non appena gli U2 avessero iniziato a suonare I Still Haven’t Found What I’m Looking For. La scritta One, la bandiera irlandese e quella italiana sono apparse. L’effetto lo potete vedere qui:
“Che serata magica”, ha ringraziato il Vox che, ignaro o meno della sorpresa, appariva incredulo come d’altronde tutti noi che partecipavamo, piccolissimi, a qualcosa di più grande. E forse il segreto dell’emozione è proprio quello di creare con gesti piccoli qualcosa di inimmaginabile. E’ stato inoltre l’unico momento in cui i cellulari non hanno invaso l’aria a filmare o fotografare, forse per questo lo si è vissuto a pieno dagli spalti mentre chi era sul prato non sapeva dove guardare, se la band o il pubblico. Non sapendo che fare, scattavano foto. In ogni caso si cantava di non avere ancora trovato quello che si va cercando. Verità incontestabile.
Bono Vox me lo sono studiato un po’ cercando di capire il suo segreto. Secondo me incarna lo stereotipo del seduttore: sensuale, strafottente, amante delle donne, affascinante e addirittura impegnato nelle cause sociali. Come non condividere le sue lotte per i diritti umani, anche se forse troppo sbandierate (ma si può criticare questo davvero?). Una donna, pur volendo, non riesce a resistere a questo cocktail micidiale. E non resiste soprattutto a uno che si diverte e si vede. L’unica cosa che può cercare di adottare è l’indifferenza. Ma il ritmo alla fine, il ritmo che ti trascina a ballare, e quindi a vivere (che la vita vissuta altro non è che un ballo, ognuno si scelga bene la sua canzone) la frega involontariamente. Per gli uomini la calamita è invece l’emulazione. Chiunque vorrebbe essere così. Soprattutto chi lo nega. In qualche modo Bono sembra un Fonzie un po’ più raffinato e meno sempliciotto e in più canterino.
Nel pezzo Hold me, Thrill me, Kiss me, Kill me, bella colonna sonora di un Batman di qualche tempo fa, la domanda sul tempo si fa pressante. Hanno senso le ore del grande orologio che cambiano senza logica. Non è importante quale ora sia, il tempo è diverso in ogni parte del mondo, la cosa che non cambia è la risposta, che suona comunque ambigua: It’s your time. E’ il tuo tempo, il tuo momento. Un invito ad agire, anche se si volesse tradurre sinistramente con E’ la tua ora.
Ma il dubbio rimane. La risposta potrebbe anche suonare come: Short time. E allora, non c’è tempo.
Chi passa dall’adolescenza all’età adulta, lo sa. E sa che un concerto del genere è un’emozione spettacolarizzata, forse finta. In ogni caso forte, fortissima come ogni finzione studiata ad arte, condivisa e resa assoluta dal potere effimero della seduzione.
Sono quasi le due di notte in ogni caso ora a Roma nella mia stanza, minuto più minuto meno. E domani bisogna svegliarsi presto. Altri artigli stringono, non quelli di un mostro alieno, ma quelli di un tempo, di un’era strana che tutti stiamo vivendo senza avere gli strumenti veri per saperla decifrare, tranne che poche tecnologiche suggestioni, alcune delle quali nemmeno alla nostra portata. Sapremo alzarci per i nostri vecchi diritti in un mondo nuovo? Il pezzo più bello del concerto è stato senza dubbio la celeberrima Sunday Bloody Sunday, dedicata a uno scrittore italiano. Che sia un buon auspicio per tutti.
La scaletta:
The Return of The Stingray Guitar
Beautiful Day
I Will Follow
Get On Your Boots
Magnificent
Mysterious Ways
Elevation
The End Of The World
I Still Haven’t Found What I’m Looking For
Bad
In A Little While
All I Want Is You
Mercy
Miss Sarajevo
City Of Blinding Lights
Vertigo
I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight
Sunday Bloody Sunday
MLK
Walk On
One
Grace
Where The Streets Have No Name
Hold Me Thrill Me Kiss Me Kill Me
With Or Without You
Moment Of Surrender
U2: Bono Vox, The Edge, Adam Clayton, LarryMullen jr
Durata del concerto: due ore e mezza
Spettatori: circa 75mila, sold out.