Simone Perotti: “Noi siamo il popolo con la più antica ed attuale tradizione nautica”

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Il mare e i suoi venti. E poi Renato, Antonio e Oreste. Tanti personaggi e  tanti luoghi legati da un filo, da un movimento leggero che accompagna il lettore dall’inizio alla fine.

Il mare e i suoi venti. E poi Renato, Antonio e Oreste. Tanti personaggi e  tanti luoghi legati da un filo, da un movimento leggero che accompagna il lettore dall’inizio alla fine. Pagina dopo pagina e capitolo dopo capitolo Simone Perotti con “Uomini senza vento” (Garzanti Editore, 2010)  sublima il Mediterraneo di un canto moderno e quasi sconosciuto attraverso una storia che si riveste di tante altre piccole storie e di tante altre piccole quotidianità che si infrangono scomposte e irriverenti nelle mani del lettore. E il tempo? Il tempo è scandito da momenti mai troppo lunghi e mai troppo lontani. E un attimo diventa il ricordo di una Milano dove tutti vogliono smettere di lavorare”, ma è solo un attimo che si avvolge nelle branchie delle avventure di Sara, di una balena bianca e di una radio sintonizzata sul Canale 16 del VHF.

 

Simone, quando hai iniziato a scrivere?

Tanto tempo fa. Gli editori oggi mi guardano con interesse per il successo recente, però scrivo da quando ero poco più che un bambino. Le cose scritte e mai rilette o fatte leggere a un editore, tanto per capirci, sono di gran lunga di più di quelle pubblicate. Ho sempre scritto, iniziando con tre romanzi gialli non ancora adolescente (orribili copie di un telefilm che andava per la maggiore negli anni Settanta e Ottanta), e proseguendo con racconti che spaziano dal fantastico al viaggio, dalle storie esistenziali e psicologiche all’avventura.

Quando è arrivato il periodo del romanzo “vero”?

I giorni del romanzo sono arrivati quando avevo circa 25 anni. Ne ho scritti una decina, di cui solo tre proposti agli editori e pubblicati (Stojan Decu L’Altro Uomo, L’Estate del Disincanto , Uomini senza vento). Molti dei racconti iniziali sono confluiti in Zenzero e Nuvole, che ebbe forse il merito di essere il primo libro che intercettava le rotte apparentemente distanti di erotismo, viaggio, avventura e gastronomia. Solo da qualche anno scrivo saggi. Articoli per i giornali ne ho sempre scritti, invece, almeno negli ultimi quindici anni, collaborando con il “Corriere della Sera”, “Il Fatto Quotidiano”, “Dove”, “Yacht Capital”, “Yacht and Sail”, “Fare Vela”.

Come è nato il romanzo “Uomini senza vento“?

Quanto al romanzo, è nato da una notizia di cronaca letta su un giornale: una balena grigia, abituale regina degli oceani, era inspiegabilmente entrata nel Mediterraneo. Un fatto clamoroso per la biologia marina e molto evocativo per gli amanti delle storie di mare. Una balena bianca (la balena grigia è chiara di pelle e il soprannome è stato immediato) nel nostro splendido mare. In un istante molte storie, molti personaggi, si sono mescolati tra loro, hanno fatto reazione, e una storia è apparsa nitida e chiara nella mia mente. Un processo di creazione che non mi era mai capitato di vivere.

Perché di solito come scrivi?

Io di solito studio, faccio schede, raccolgo informazioni, ho directory e directory del computer piene di file, prima di iniziare a scrivere. In questo caso mi sono seduto al tavolino la mattina seguente e per qualche settimana ho lavorato, senza schema, senza un plot del tutto chiaro, con personaggi che nascevano o morivano nell’atto stesso di essere scritti e descritti. Che strana genesi, sembravo Simenon, più che Perotti. Va detto che in quel momento stavo facendo il mio grande cambiamento di vita, lasciare il lavoro, spostarmi, riprendere in mano il mio tempo. I temi del romanzo dunque risentono fortemente di quel salto nel vuoto, ovvero di ciò che, dopo qualche mese, sarebbe confluito in “Adesso Basta”, di cui “Uomini senza vento” è stato, di fatto, il laboratorio narrativo.

 …e  come è nato il titolo?

Il titolo è nato davanti al camino acceso, con la mia compagna, in un lungo e freddo pomeriggio invernale con carta e penna davanti a tentare e ritentare per trovare qualcosa che desse senso alla storia e che della storia fosse una sintesi evocativa. Bellissimo pomeriggio, e anomalo anche. Di solito scelgo i titoli durante la stesura del romanzo. In quel caso il titolo originario era Canale 16, perfetto per alcuni versi ma troppo poco evocativo per i non marinai (il Canale 16 del VHF, la radio di bordo, è il canale di servizio per le comunicazioni di sicurezza, gli annunci speciali ecc…).

 Quanto c’è di autobiografico in questa tua opera?

Ci sono due personaggi reali, Antonio e Oreste, che sono davvero quel che si descrive, cioè un ristoratore geniale e un poeta, e sono davvero miei amici. Poi una serie di personaggi fittizi che richiamano persone a me note ma diversi in alcuni particolari essenziali. Poi c’è la protagonista femminile, Sara, che è quasi tutta frutto di fantasia. E infine c’è il protagonista, che fa il mio ex lavoro, vive nella mia ex città, ha una barca come la mia ma  psicologicamente è il mio opposto, il mio antipode assoluto. Insomma, come sempre capita nelle cose che scrivo, realtà e immaginazione si fondono, si stringono, si divaricano, anche per rendere al lettore l’effetto che vi sia da crederci, che qualcosa di analogo sia effettivamente accaduto. Cosa, che, infatti, è.

Perché hai scelto Ponza, la Corsica e l’isola d’Elba per questo noir ambientalista-mediterraneo?

Perché il Tirreno è un mare a me molto caro, che conosco palmo a palmo, su cui ho fatto migliaia di miglia. Perché Ponza è uno dei miei luoghi amati, un angolo di casa. Perché Bastia è un porto magico per i velisti. Perché l’Elba mi ricorda grandi cose. E poi perché in quella triangolazione c’è molto da navigare, qualche insidia, l’avventura.

Simone, quanto pensi sia importante il mare, in particolare il Mediterraneo, nel quotidiano degli italiani?

Non oggi, ahimé, non per la maggior parte. Però è anche lì che dobbiamo rivolgerci, per suturare una lacerazione, per ricongiungerci con la nostra storia. Noi siamo il popolo con la più antica ed attuale tradizione nautica. Dagli etruschi a oggi, passando per i romani, le repubbliche marinare, i grandi personaggi come Colombo, Vespucci, Andrea Doria, la nostra leadership nella nautica a motore, le nostre sfide all’America’s Cup. Noi siamo sempre stati coinvolti nel mare. Il nostro Paese non ha eguali nel mondo quanto a una tale tradizione. Dimenticarcene come facciamo spesso oggi, scadendo nell’ignoranza nautica e nella sciatteria vacanziera di certo diportismo, è un grande danno che ci facciamo.

Cosa rappresentano gli amici nella vita di un uomo che ha deciso di “cambiare rotta”?

Buon punto.  Diciamo così: un uomo che cambia rotta in modo corretto, duraturo, consapevole, è un uomo che ha compreso la sua solitudine, la solitudine di tutti, e la vive con rispetto e amore, con impegno, consapevole di essere solo e di dover dunque assumere su di sé l’intera responsabilità della propria storia. Naturalmente, un uomo così, reso forte dal lavoro su di sé, ha grande desiderio degli altri, dell’amicizia, dell’amore, che vive con partecipazione e coinvolgimento. La mancanza del bisogno degli altri ma la presenza del forte desiderio degli altri (bisogno e desiderio sono due cose molto diverse) portano dritte a grandi storie d’amore e di amicizia. In sintesi, per me sono i due sentimenti centrali della vita, a cui do tutto il mio impegno, la mia partecipazione. Però sono diventato, grazie al cielo, un uomo che non muore di dolore per le delusioni amorose e dell’amicizia.

Simone, secondo te,  dove si trova la chiave, l’essenza, della vita?

Sì, una delle chiavi della vita sta nel coraggio. Che è anche la chiave della libertà. Un uomo che vive con coraggio (cioè non come gli Uomini senza vento) assume su di sé tutta la responsabilità delle sue azioni e dei suoi sogni. In questo modo diventa libero e può vivere l’avventura della vita.

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