Da tempo aspettavo l’uscita nelle sale italiane del film Bright Star di Jane Campion sugli ultimi anni di vita di John Keats.
L’anno scorso era stato presentato a Cannes, era già uscito in dvd in Francia e credo anche in altri paesi ma in Italia non ve ne era ancora traccia. Solo a giugno di quest’anno, un periodo non certo adatto per andare al cinema, finalmente è stato programmato anche qui.
Ho avuto perciò del tempo per riavvicinarmi a John Keats, uno dei più grandi poeti romantici inglesi. Conoscevo Keats dai tempi adolescenziali. Ricordo ancora la sorpresa di imparare l’inglese, l’eleganza dei suoni e la ricchezza linguistica grazie anche al ritmo dei suoi versi. Un tempo sapevo anche a memoria due liriche di Keats. La mia insegnante di inglese ci faceva ripetere spesso i versi dell’Ode a un usignolo e dell’Ode a un’urna greca. Chissà dov’è finita quella memoria. Keats però lo sentivo paradossalmente meno romantico degli altri due capiscuola Shelley e Wordsworth. Per non parlare di Byron, che purtroppo mi è sempre risultato insopportabile, forse ingenuamente per via dell’appellativo di Lord che me lo rendeva odioso. E Keats lo avvertivo meno visionario di Coleridge, la cui Ballata del vecchio marinaio mi rapì inesorabilmente: c’era tutta la nefasta bellezza del mare e di tempi non felici che ogni giorno vivevo.
Keats aveva vissuto una vita romantica, morendo di tisi a soli 25 anni ma raggiungendo livelli poetici altissimi e non riconosciuti in vita se non da pochi intellettuali dell’epoca. Ma i suoi versi, le sue odi, il suo pensiero erano più maturi, più moderni forse di quanto la società vittoriana dell’epoca potesse comprendere. Talmente maturi e veri da rapire di meno. La verità non è mai comoda. Wordsworth e Shelley erano più immediati, più semplici anche per me. Rileggendo le opere di Keats adesso invece ho riscoperto un poeta che come tutti i poeti più genuini si erge sulle spalle dei suoi grandi maestri pur mantenendo una spontaneità e una meraviglia che sorprendono. Keats non è affatto semplice da leggere, né da comprendere, anche se spesso lo si sente, come accade nella musica. Ne è la riprova un articolato, splendido saggio di Borges, il quale deve proprio alla lettura di Keats la scoperta della propria vocazione poetica.
Aspettando l’uscita italiana del film di Jane Campion, ho finalmente visitato la tomba del poeta. Avevo letto da qualche parte che l’idea del film era partita da lì. Dalla sua tomba, che si trova in uno dei luoghi più intensi di Roma: il cimitero acattolico a Testaccio.
“Here lies one whose name was writ in water” è scritto sulla sua lapide, posta nel lato pianeggiante del cimitero. Keats aveva dettato prima di morire il proprio epitaffio, celebre quanto bellissimo e commovente visto inciso nel marmo. Si arriva alla sua tomba dopo una breve passeggiata tra alberelli e piantine curate. Il traffico caotico della zona scompare come per miracolo, si incontra qualche gatto. Il viola dei glicini accompagna. E quando ci si siede su una panchina di legno a contemplare la lapide, si rimane incantati dalla semplicità della lira in bassorilievo che la adorna. Accanto c’è la tomba di un pittore, sulla quale è incisa una tavolozza con i pennelli. Ricorda il pittore Joseph Severn, colui il quale accompagnò Keats nel fatale viaggio in Italia nel 1821. È a Severn che si devono la maggior parte dei ritratti al giovane poeta.
Uno strumento musicale e una tavolozza con i pennelli vivono insieme e lo sguardo li armonizza.
Ed è proprio così che è il film di Jane Campion: Bright Star è un susseguirsi di quadri in musica. Si apre con un coro di voci che intonano una splendida sinfonia di Mozart e si chiude con i versi di Keats, anch’essi musica. È impossibile andare via durante i più bei titoli di coda mai visti e ascoltati, di sicuro molto più belli nella voce originale del bravissimo Ben Whishaw.
Raffinato esteticamente, curato nella luce che prende tutte le sfumature del rosa e dell’azzurro, il film è un’ode nella struttura e la bellezza delle scene quasi stordisce. Le stanze, che compongono le odi, sono spazi ampi e soleggiati. Anche il buio ha un turchese nell’ombra che incanta.
Ed è rispettata la base etica della poetica di Keats: “La verità è bellezza, la bellezza è verità”
Se il film – che descrive l’innamoramento di Keats negli ultimi anni di vita con la giovanissima, vitale e luminosa Fanny Brawne (Abbie Cornish) – può apparire distante e chiuso in un’estetica troppo marcata, questo è perché alla bellezza credo che non siamo più abituati. Io stessa, mentre guardavo il film che è anche un inno alla natura e ai paesaggi, pensavo al modo in cui vivo. In spazi minuscoli, in mezzo al traffico, senza nemmeno poter pensare di permettermi un giorno di avere una casa.
Ma Bright Star, nonostante narri con delicatezza e sensualità rarissime il primo innamoramento ed è dunque reale e richiama sentimenti universali, è in realtà un’Arcadia, un luogo dell’anima.
Tutto appare sospeso, in una luce interiore che abbaglia e in una tenerezza dolcissima. È un sogno trafitto dalla vita, come la scena iniziale dell’ago che buca la stoffa. L’atto del cucire e quindi del vivere ha una sua intrinseca violenza. È ciò che fa Fanny Browne, la fulgida stella che rapisce l’anima del poeta. È la vita che irrompe nella più pura poesia portando un vento di gioia e di dolore.
Se vi capita di visitare il cimitero acattolico di Roma, non perdetevi una piccola pubblicazione, edita da Il Labirinto: Sull’indolenza di John Keats. Raccoglie le sue odi, gli scritti più belli. Alla fine c’è una nota, credo del traduttore Francesco Dalessandro. Si legge: “Keats, che era attento a ogni aspetto del mondo intorno a sé e che aveva un orecchio particolarmente sensibile, ne volle una (una lingua) che non rinnegasse la tradizione, ma che preservandone la forza, accogliesse con naturalezza il lessico del tempo, ovvero che lingua letteraria e lingua parlata si fondessero in un ritmo nuovo”. È proprio questo che fa Jane Campion: un’opera di stile, dove le parole poetiche escono dalla pagina e si incarnano nei volti, nei sospiri, nel tempo.
Se, infine, si è destata abbastanza curiosità, segnalo un altro libricino prezioso edito in occasione dell’uscita del film da Archinto: Leggiadra stella. Raccoglie, con la prefazione di Nadia Fusini, tutte le lettere scritte da Keats alla sua amata. Non credo esistano lettere più luminose di slancio.
E credo anche che non valga la pena di leggere altre pubblicazioni troppo urlate.
Se si ha tempo, meglio leggere le parole di Keats.
Bright Star
Regia: Jane Campion
Soggetto: Dalla biografia “Keats” di Andrew Motion.
Sceneggiatura: Jane Campion
Attori: Ben Whishaw, Abbie Cornish, Paul Schneider, Thomas Sangster, Jonathan Aris, Samuel Barnett, Antonia Campbell-Hughes, Samuel Roukin, Roger Ashton-Griffiths
Fotografia: Greig Fraser
Montaggio: Alexandre de Franceschi
Musiche: Mark Bradshaw
Durata: 120″
A Omero
Da te separato per enorme ignoranza,
Di te sento parlare e delle Cicladi,
Come uno che sedendo sulla spiaggia, la speranza
Coltivi di scorgere il corallo abitato dai delfini dei mari profondi.
Dunque eri cieco – ma fu poi squarciato il velo:
Nettuno ti costruì una tenda di schiuma,
Giove per farti vivere scoprì per te il cielo,
E Pan fece per te risuonare il suo silvestre alveare –
Sì, c’è luce sulle spiagge delle tenebre,
I precipizi esibiscono un vergine verde,
E l’alba sta in boccio nella notte più cupa –
Nell’oscurità più acuta è una triplice vista,
Quella vista che tu avevi, e che una volta ebbe Diana,
Regina delle genti celesti, degli inferi e della razza umana.
John Keats