Elisa Davoglio: “Non mi accontento di scrivere per scrivere”

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Elisa Davoglio
Entrando nei laboratori dove si producono versi. Finalmente estate, tanta estate, troppa estate. Ci sta che si vada fuori città ad impigrirsi un po’, magari sotto qualche albero.

Entrando nei laboratori dove si producono versi

 

Finalmente estate, tanta estate, troppa estate. Ci sta che si vada fuori città ad impigrirsi un po’, magari sotto qualche albero. A trovarla, però, l’ombra. Un buon posto ce lo indica Elisa, Elisa Davoglio. Un po’ lontano in verità. Ma ci convince ad andare. Così, pedalando lentamente, in tandem, riusciamo anche a parlare di poesia…

 

C’è una raccolta poetica, una poesia alla quale ti senti particolarmente legata?

L’ultima che ho pubblicato è l’opera a cui sono più legata. Si intitola L’orlo di Galois ed è dedicata alla figura del matematico Galois. Vuole descrivere, al di là della vicenda che narro, il mio contraddittorio rapporto con il “tempo”e la sua indefinitezza. La ritengo anche la mia silloge migliore, tanto che mi piace rileggerla! Ci trovo ogni volta cose nuove. Ad esempio dei versi che amo ripetermi spesso, senza un motivo particolare. Olivo che suda legno è uno di questi.

 

C’è stata invece un’opera che avresti voluto pubblicare e che o non è stata pubblicata o ha avuto vicissitudini editoriali particolarmente difficili?

Ci sono state opere iniziate e non proseguite, mai proposte per la pubblicazione. Ho molta soggezione degli editori e non mando in giro le mie bozze. Mi piace essere letta ed anche criticata negativamente. Ne viene sempre fuori qualcosa. Ho il terrore dei rifiuti tout court, che rischio di non capire perché non vengono mai davvero spiegati.

 

Nuove cose, nuovi orizzonti. Oggi, a cosa stai lavorando?

Ce ne sono due o tre di idee alle quali sto lavorando. Purtroppo sono una pessima organizzatrice del mio lavoro. Mi incanto dell’idea e poi faccio fatica a proseguire. Non mi manca la determinazione ma spesso ho obiettivi troppo complicati. Non mi accontento di scrivere per scrivere ma pretendo di portare avanti dei progetti organici, mappe esaurienti di ciò che è il mio pensiero e spesso mi imbatto in eccessive sollecitazioni che mi portano sempre all’inizio del mio lavoro. Sarei una grande poetessa degli incipit, se si potessero scrivere solo quelli. Magari troverò la faccia tosta di pubblicarli tutti. La silloge degli inizi, degli accenni.

 

Pensi che sia cambiato il tuo modo di scrivere poesia? E in cosa secondo te?

Possiedo maggiormente la capacità di padroneggiare certe parole, senza averne paura. Posso scrivere senza la paura di trovare sempre e solo il termine esatto che ci si aspetterebbe dopo due o tre battute.

 

Così, secca: chi vorresti che leggesse la tua  poesia?

Mi piacerebbe fosse letta da qualche poeta morto. Poi vorrei farmi una chiacchierata con lui, assai leggera, bevendo un buon vino. Vorrei che la mia poesia fosse interamente rappresentata da un’altra arte. È illogico e impossibile, ma mi piacerebbe stare tutta compresa in un passaggio di danza o in una musica. Le parole starebbero dentro, sarebbero capite senza essere per forza pronunciate.

 

Ma il poeta è un ‘venditore’?

Il poeta è un venditore quando sa vendere e trova il suo mercato. Ci sono poeti che lo sanno fare ed altri no. Questi ultimi si sono proprio persi la via per il mercato o non l’hanno mai cercata. Rimangono tutti dei poeti, comunque. Non distinguo tra di loro, anche se ho una predilezione per i poeti che in vita non ebbero mercato e lo trovarono da morti.

 

Beh, il dono della chiarezza non è sempre facile da trovare in un poeta. Ci sembra che Elisa Davoglio, con il tratto e i cromatismi netti di un Mondrian, ci abbia raccontato il suo laboratorio in maniera esemplare e davvero fertile. Grazie mille, dunque. Cosa, non possiamo andar via a mani vuote? Ma questo non è andar via a mani vuote… Va bene, se insisti, grazie ancora, tuoi debitori…

 

 

da la mala ora

 

il ritorno  (ogni)

 

una delizia tutta prosciugata nell’asola

che si allenta

 

(tendili, i fili della seta)

 

prosegui lungo il quartiere

andatura più calma

(piano, dici)

 

i fili cedono dopo la corsa

e cade un bottone

 

(lei, dove è umile come)

ha la schiena che si tende

come il filo

quando lo lavora e chiude

asole di nuovo

quante volte – contale

fa un numero che ti sfugge

quanto i passi per svoltare

la strada denutrita

nei resti davanti alle porte

 

non stringerli  troppo i fili della seta

 

il tempo forma nodi

(contali

fa sempre un numero che ti sfugge)

 

lei è più facile da toccare senza gli occhi

dietro dove la porti

 cade tutto ma il rumore è lento

 

(si chiudano tutte le porte)

 

rimane il giorno da cucirsi addosso

anche se il bottone rimane, lento

lei lo spinge direttamente dietro l’asola

e costringe i fili

 

quale parte trattenere per prima,

e come si forma un nodo lo impari

(ascolta ho da dirti)

 

vuol dire cappio nel quale passare

una e una volta

l’altra estremità

(dire parole)

il filo inciampa nella crosta del suo dito

(il fuoco, con l’ago per affilare)

disorienta

(ero vicino ma non c’ero oggi io al chiosco dei gelati

segnali di deviazione lungo il percorso del lavoro)

 

Elisa Davoglio è nata nel 1976 a Livorno; vive a Roma. In poesia ha pubblicato nel 2006 la silloge Olio burning, per Giulio Perrone Editore, nel 2007 la plaquette di poesia Consequentiarius per ChelseaEditions/Libreria Padovana Editrice, nel 2010 per le edizioni de La Camera Verde la raccolta L’orlo di Galois. Nel 2008 ha pubblicato per Mondadori, collana Strade Blu, il romanzo Onore ai diffidati. Suoi testi di poesia e prosa sono apparsi in varie riviste italiane e straniere tra cui Atelier, Gradiva, Nuovi Argomenti, La Stampa, il Manifesto, Des Italiens, OEI Magazines, Italian Poetry Review, Italies.E’ ospite di festival in Italia e all’estero.

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