È ai vertici delle classifiche delle vendite con il suo nuovo romanzo, Le perfezioni provvisorie (Sellerio 2010), e a noi fa particolarmente piacere perché è probabilmente il più famoso tra gli scrittori che hanno seguito corsi della Scuola Omero. Parliamo di Gianrico Carofiglio. Lo abbiamo incontrato durante la prima edizione di “Libri come”, nuova rassegna sull’editoria all’Auditorium di Roma, dove ha raccontato a Concita De Gregorio e agli spettatori della sala Sinopoli in che modo ispirazione e tecnica vanno a combinarsi in un libro di successo. Carofiglio, magistrato, scrittore e politico (figlio della scrittrice Enza Buono e fratello del regista, autore e illustratore Francesco Carofiglio), è magistrato dal 1986 e ha svolto fra l’altro le funzioni di Sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia di Bari, la sua città.
Come mai tanti magistrati si dedicano alla scrittura di romanzi?
I magistrati che scrivono sono forse più visibili, ma non sono poi così tanti, vengono semplicemente notati di più. Come in Parlamento, dove peraltro non superano l’1% del totale di deputati e senatori. C’è poi da dire che in Tribunale si ascoltano storie interessanti… uno scrittore ruba alla realtà: bisogna diffidare degli scrittori socievoli, sicuramente stanno pensando a come riutilizzare la conversazione in un romanzo!
Quanto ha influito la sua professione sul modo in cui scrive?
L’aver lavorato in magistratura ha fortemente condizionato sia l’impulso alla scrittura che il modo di scrivere. Ma ho pubblicato il primo romanzo (Testimone inconsapevole) solo alla soglia dei quarant’anni, nonostante raccontare storie fosse un’attività che mi attraeva sin da ragazzino. Per caso mi sono iscritto a giurisprudenza e sempre per caso mi sono dedicato ad una professione che mi è pure molto piaciuta, ma non so se a trasformarmi in scrittore sia stato il destino che ha sconfitto il diversivo oppure anche qui sia stato solo un fatto accidentale. Magari è come in Sliding doors (il fortunato film con Gwyneth Paltrow): ho solo attraversato una porta.
Perché ha scelto un avvocato come eroe dei suoi libri? Fra avvocati e magistrati non corre buon sangue…
Il personaggio di Guerrieri mi si è presentato da solo e, grazie a lui, io, Pubblico Ministero, ho potuto assumere un punto di vista diverso, opposto a quello consueto, per osservare con occhi nuovi un mondo che conoscevo già molto bene. Così non ho inventato nulla di inverosimile e nemmeno mi sono annoiato.
I personaggi seriali, come Guerrieri, hanno una vita propria negli spazi fra un libro e l’altro oppure le loro vicende si svolgono tutte sulle pagine stampate?
Non lo so, forse ci sono le storie non raccontate. A me comunque Guerrieri è simpatico, ma cerco di tenerlo al suo posto perché non considero i quattro romanzi di cui è protagonista come separati, bensì un unico macroromanzo.
La sua città, Bari, è al centro di fatti giudiziari e di cronaca… che sta succedendo?
Le indagini funzionano bene e in questo momento Bari è una città interessante, tesa fra il non più e il non ancora. Ma è anche questione di saper vedere le cose.
Quante persone leggono i suoi manoscritti e le dicono che non funzionano?
Mia moglie, quando le mostrai parecchio fiero il primo racconto, disse che era molto brutto. Effettivamente poi capii cosa intendesse: non era scritto “male”, anzi, era pieno di esercizi di stile, ma così tanti che sembravano falsi. Spesso i passaggi più faticosi da tagliare nei romanzi riguardano quelli che allo scrittore piacciono di più. Ora sto preparando un piccolo libro, che uscirà ad ottobre, intitolato “La manutenzione delle parole”, una sorta di rieducazione ad un uso corretto del linguaggio.
Ora che è anche un politico, quanto spazio hanno le sue idee all’interno dei racconti?
Quando comincio a scrivere non ho una tesi da dimostrare o un’opinione precostituita, perché quello è il miglior modo di fare cattiva saggistica e pessima narrativa. Nel momento in cui do avvio ad una storia non ho che due personaggi e il loro incontro; soltanto alla fine ne scopro il senso. Scrivere una storia bella è quello che mi interessa di più. Non mi importa se il libro avrà successo o meno, sono un po’ come un calciatore strapagato su un campo di pallone: lì, lui pensa solo a segnare.