Teatro. Girotondo: il gioco della seduzione

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Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra; tutti giù per terra. Per portarsi a letto qualcuno, esibendo prove di un presunto amore...

Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra; tutti giù per terra.

 

Per portarsi a letto qualcuno, esibendo prove di un presunto amore, come anche dissimulando il proprio interesse per rendersi invece più ricercati, uomini e donne adottano da sempre le tecniche più disparate. Dall’approccio più rozzo alle avances più raffinate, la gamma delle ipocrisie messe in scena dal genere umano è pressoché infinita. Nel suo Girotondo (Reigen il titolo originale), lo scrittore e drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler già nel lontano 1897 ne riassunse alcune in dieci eleganti atti unici. La prostituta, il soldato, la cameriera, il giovane signore, la giovane signora, il marito, la ragazzina, il poeta, l’attrice, il conte sono i personaggi che, in un circolo vizioso (inteso nell’accezione più erotica del termine),  dialogano due alla volta, per poi concludere immancabilmente l’incontro con un rapporto sessuale che tuttavia non viene mai mostrato o agito sul palcoscenico. Uno dei due personaggi di ciascun colloquio è poi protagonista anche del quadro successivo, in modo da creare un concatenarsi di atti carnali che legano le sorti della vicenda l’una con l’altra in una danza di corteggiamento e di sesso sottinteso che, circolare com’è, non prevede una fine.

Seppur sottaciuto, l’argomento era così sconveniente per l’epoca in cui il piccolo libro vide la luce che, dopo un lungo divieto, la pièce fu rappresentata per la prima volta soltanto nel 1920, terminata la Grande Guerra e soppressa la censura imperiale, al Kleines Schauspielhaus di Berlino con l’allestimento di Max Reinhardt.

Ugo Gregoretti, regista, giornalista, drammaturgo ed intellettuale, arguto e ironico osservatore di costume in televisione (da Controfagotto del 1960 a Il Circolo Pickwick del 1968, alle serie parodistiche Romanzo popolare italiano del  1975, fino all’inchiesta Sottotraccia, del 1991, dedicata all’Italia “minore” e seminascosta), lo scorso febbraio ha voluto mettere in scena, per la terza volta in carriera e alla soglia degli ottant’anni, il discusso e tuttora moderno testo insieme con la compagnia La Nuova Melograno. Nell’occasione, hanno calcato il palco della sala Orfeo del Teatro dell’Orologio di Roma gli attori Giangiacomo Ladisa e Fatima Scialdone, che, con l’espediente scenico di formare una coppia un po’ sui generis, posseduta da una esaltata passione teatrale, sono riusciti ad impersonare ogni tipo di personaggio, anche con un certo risparmio di denaro per la compagnia. I due, sotto la guida di Gregoretti, hanno trasformato il salotto della casa borghese in un teatrino, la sala degli hobby in una sartoria teatrale e gli amici in spettatori, interpretando uno dopo l’altro, con rapidi mutamenti di costumi e di condotta, tutti e dieci i protagonisti del Girotondo.

La rappresentazione, pur fedele al testo di Schnitzler, non riesce tuttavia a far affiorare appieno tutte le piccole sfumature di parole e sentimenti che emergono invece dalle pagine scritte. Ciononostante, anche questa recente messa in scena resta comunque  un’amara critica alla difficoltà umana di amare in modo puro e disinteressato. Per quanto conditi da dolci lusinghe, i contatti umani sono in fin dei conti mossi dal mero istinto e dall’urgenza dei sensi. Ogni atto sessuale che conclude ciascuno dei dieci quadri del Girotondo è preceduto da un corteggiamento in cui, come in una sorta di danza dell’accoppiamento, i dialoghi e le interazioni tra i personaggi mettono in risalto l’aspetto grottesco di una comunicazione che, simulando e dissimulando, tende solo a camuffare i veri intenti. E a queste convenzioni ipocrite non sfugge nessuno: nel girotondo vengono coinvolti infatti rappresentanti di tutte le classi sociali, senza distinzione alcuna: l’aridità e la banalità colpiscono ovunque. Solo l’amore, quando è autentico, è un dono raro e prezioso che ci rende, almeno per una volta, diversi da tutti e dunque unici.

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