Susan Sarandon: “Sono arrivata fin qui perché tutti i miei piani sono saltati”

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Susan Sarandon, attrice statunitense amatissima e molto versatile, protagonista di pellicole che sono entrate a far parte della storia del costume (oltre che del cinema), come " The Rocky Horror Picture Show" e "Thelma e Louise",

Susan Sarandon, attrice statunitense amatissima e molto versatile, protagonista di pellicole che sono entrate a far parte della storia del costume (oltre che del cinema), come ” The Rocky Horror Picture Show” e “Thelma e Louise”, è passata nei giorni scorsi per Roma e si è resa disponibile a rispondere alle domande del suo pubblico.

 

C’è qualche differenza nel lavorare con registi europei o con registi americani?

No, l’unica differenza é tra registi che parlano e registi che non parlano. E questo non é legato alla nazionalità, forse è più una questione generazionale. Non c’è grande differenza tra europei e americani, sono pochissimi i registi che parlano con gli attori. La maggior parte non dà consigli. Oggi il novanta per cento del lavoro del regista è quello sul casting. E poi, lo sforzo di creare sul set una giusta atmosfera, che possa far sentire l’attore sicuro e coraggioso, per potersi esprimere al meglio. E a volte, in effetti, tante parole non servono nemmeno. Louis Malle praticamente non parla, ma sa comunicare molto bene con i suoi attori. È qualcosa che varia da regista a regista. A me personalmente piace ascoltare consigli.

 

Le capita di rivedere i suoi film? Che ne pensa?
A dir la verità non li guardo nemmeno la prima volta. Quando mi capita, non posso che osservare che, in fase di montaggio, vengono tagliate e spostate e cambiate tante di quelle cose, che il lavoro fatto sul set é praticamente irriconoscibile. Per questo cerco di trarre la massima soddisfazione mentre lavoro, senza preoccuparmi troppo di quello che verrà dopo. E questa è anche la differenza che passa tra recitare per il cinema e recitare in teatro. Il palcoscenico ti dà la gande soddisfazione di capire immediatamente come il tuo lavoro colpisce il pubblico.

C’è un ruolo, un film, che avrebbe voluto interpretare, tra quelli che non ha fatto?

La questione del ruolo è fondamentale. Molti buoni attori non hanno mai l’occasione di interpretare buoni ruoli. Però, non so per quale legge, è come se ci fosse una catena virtuosa: una volta che conquisti un buon ruolo, anche quelli che vengono dopo sono buoni. Ci sono anche attori che vanno a caccia di buoni ruoli. Per esempio, qualsiasi ruolo di Meryl Streep, è invidiabile. C’è poi il solito vecchio discorso che, la maggior parte dei ruoli interessanti, sono maschili. È chiaro che non pretendo di fare Gandhi o Lawrence d’ Arabia, ma in genere, nei film, l’attore protagonista fa tutto e l’attrice ad un certo punto arriva e dice “Wow! E’ fantastico!” e questo è assurdo. Se uno va a vedere le storie che trovano i giornali tutti i giorni, i protagonisti non sono solo maschi bianchi, protestanti, eterosessuali. Il problema è che serve la passione per cercare, scavare e raccontare storie con delle potenzialità.

 

Che ne pensa dell’esplosione del 3D?

Da attrice, a volte avere a che fare con un blue-screen è più semplice che avere a che fare con un altro attore. Il 3D di per sé non è affatto un male. Dobbiamo considerare che sta cambiando le modalità di consumo dei film che vengono sempre più visti sul piccolo schermo, che sia quello di un televisore o quello di un pc. Perciò, se poi si pretende dalla gente quindici dollari per un biglietto del cinema, bisogna offrire uno spettacolo che valga il prezzo di quel biglietto. E il 3D assicura un grande spettacolo. Ma è importante che ci sia spazio per tutti. Invece questo spazio per le produzioni piccole, a basso budget, non c’è più. Sono scomparsi i piccoli esercenti e le sale che fanno capo agli studios propongono solo i titoli che vogliono. Quindi l’ offerta si appiattisce. Le uniche isole di alternativa creativa ormai sono i festival.

 

Come sarà il cinema del futuro?

Il mercato cinematografico secondo me, sarà investito dalla stessa rivoluzione che ha travolto quello discografico. I giovani registi troveranno una loro strada, il loro modo per ‘by-passare’ gli studios ed arrivare direttamente al pubblico ma, con la musica via I-pod si è perso di qualità. Il cinema rischia invece di perdere soprattutto la sua dimensione di rito collettivo. L’esperienza di un gruppo di persone, di una comunità che segue la stessa storia nel buio della sala.

 

Lei ha una tecnica, un rituale, per entrare meglio nel personaggio che deve interpretare?

Secondo me il segreto é arrendersi al personaggio. A volte ti trovi davanti una sceneggiatura che racconta tante cose del tuo ruolo, per esempio quando ti trovi ad interpretare delle biografie. In quel caso hai a disposizione tanti elementi, il lavoro é rischioso ma hai tanti spunti da sviluppare. Altre volte il personaggio é solo accennato. E in quel caso non c’è una cosa giusta o una sbagliata da fare. Io mi chiedo solo: ‘per questo personaggio e in relazione al quadro generale, questa cosa funziona?’

 

Come si diventa una diva come lei, apprezzata da tutti?

A dir la verità, io sono arrivata fin qua perché sono falliti tutti i miei piani. Lo dico sempre ai miei figli “il vostro compito, nella vita, sarà soprattutto fare errori”. Nel senso che, nel mondo attuale é importante essere flessibili, adattarsi, svegli nel senso di saper imparare velocemente dagli errori. Certo non avrei mai immaginato che grazie ai miei fallimenti, un giorno sarei riuscita a trovare il modo di guadagnarmi da vivere.

 

Dopo quello che l’ha lanciata (“The Rocky Horror Picture Show”), le piacerebbe interpretare un altro musical?

Ancora oggi non so spiegarmi perchè mi abbiano preso per un musical. Poi, non contenti, mi hanno fatto cantare pure da suora. Io non so cantare, è in assoluto la cosa in cui mi sento meno portata. Mio figlio più piccolo è un bravissimo musicista, ma non ha di certo preso da me. Mio padre era un cantante e mi diceva “Potrai fare molte cose nella tua vita ma non puoi cantare.” Quando mi hanno preso per il “Rocky Horror”, il mio ego è esploso e mi sono detta “se mi imbottiscono di alcol e droga, forse, ce la posso fare.” Alla fine ce l’ ho fatta senza aiuti artificiali, ma ho girato tutto il film cantando e scusandomi subito dopo.  Sono veramente negata.

 

Che pensa del cinema italiano?

Ho amato molto il cinema italiano, soprattutto i suoi personaggi femminili. Ho capito cos’è veramete la seduzione, guardando i film di Anna Magnani o quelli di Antonioni che aveva un modo magico di raccontare le donne. Oggi, invece, non so cosa sia successo al cinema italiano, mi sembra un po’ appiattito sul modello americano.

 

C’è un personaggio, tra quelli che ha interpretato, che l’ha più segnata?

Oddio, è “La scelta di Sophie”! Diciamo che, come molti attori, amo particolarmente i personaggi molto lontani da me. Perchè, é evidente, questo permette di esplorare esperienze ed emozioni che forse non avrei mai conosciuto se avessi fatto un mestiere diverso. Sicuramente calarsi troppo in un personaggio può essere un’ esperienza molto coinvolgente ma se la sera devi tornare a casa dai figli, non te lo puoi tanto permettere. Ho amato tantissimo il mio ruolo in  “Dead Man Walking”, mi ha dato tanto, ma alla fine, anche il più straordinario personaggio, lo abbandoni. Gli unici che ti trascini dentro, forse, sono quelli che senti di non aver interpretato al meglio delle tue possibilità, perché ti rimane il tarlo di non aver fatto bene. È un po’ come la vita: se la vivi appieno, è più facile separartene con serenità.

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