La solitudine di Fiumicino

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Ne "L’Espresso" dell’11 febbraio 2010 un reportage di Tommaso Cerno ha parlato della solitudine notturna quotidiana che regna nell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma-Fiumicino.

Ne “L’Espresso” dell’11 febbraio 2010 un reportage di Tommaso Cerno ha parlato della solitudine notturna quotidiana che regna nell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma-Fiumicino.

Ed io che sono come San Tommaso, incuriosito da quel che ho letto, ho deciso di constatare con i miei occhi tutto quello che veniva scritto nell’articolo.

Per carità non è che ho ritenuto l’articolo del reporter de “L’espresso” un falso però mi sembrava assurdo che lo scalo più importante d’Italia rimanesse incustodito in una fascia oraria così lunga.

Quindi nello stesso fine settimana, approfittando di un volo per sabato mattina, armato di un semplice telefonino di ultima generazione mi sono recato all’aeroporto per passare lì l’intera nottata.

L’accesso al Terminal 3 è possibile a chiunque anche negli orari nei quali, come dicono i cartelli appesi, le porte dovrebbero essere chiuse, ma se si cerca bene qualcuna aperta la si trova.

L’aeroporto dopo la mezzanotte è terra di nessuno, anzi territorio lasciato nelle mani di senzatetto e di viaggiatori, come me, che anziché pagar le profumate tariffe alberghiere romane, preferiscono bivaccare per qualche ora su delle seggiole scomodissime ed attendere pazientemente il volo mattutino che li riporti a casa.

Aspetto l’1,30 per azionare il video sul cellulare e per farmi un bel giretto tra banconi check in, controlli d’imbarco, bagni-lavatoi, clochard per terra, bivaccatori in cerca di riposo, centinaia d’uffici incustoditi e svariate condizioni di degrado.

Riesco a girare per tutto il Terminal 3 senza problemi, senza che nessuno mi chiedesse cosa stessi facendo e soprattutto senza che nessuno si incuriosisse del mio passeggiare intorno con il telefonino in mano.

Il video, benché io non sia un professionista delle riprese, parla chiaro; parla di un’apparente assenza di controllo nell’intero scalo, che sembra rimanere esposto ad ogni rischio, a qualsiasi violazione e che potrebbe rendere vulnerabile l’intero aeroporto.

In una mezz’ora concludo il giro, spengo tutto e mi accomodo, come se niente fosse, in un qualsiasi posto a sedere e aspetto, pure io, il volo della mattina per la Sicilia.

Durante la mia attesa i pensieri si soffermano inconsapevolmente sull’inasprimento dei controlli agli imbarchi, sulla lotta contro bottigliette d’acqua o bombolette spray e sui body scanner che si ritengono a tutt’oggi indispensabili. Ma al contempo faccio dei cattivi pensieri perché mi sembra che avrei potuto portare dentro Fiumicino anche una bomba atomica, avrei potuto nasconderla nel posto a me più congeniale e infine avrei potuto aspettare l’ora di maggior traffico per farla esplodere e causare un disastro. Però in tutto questo, ironicamente mi viene da sorridere, perché temo che in Italia sarà sempre così: a disastro avvenuto, partiranno i processi all’attenzione, ai controlli, alla sicurezza. Puntuali, un attimo dopo.

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