Papavero da oppio. Una pianta e un fiore tra le pagine della storia (terza parte)

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Il consumo di sostanze oppiacee ha dunque radici storiche ed altre più recenti; tra queste ultime, due scoperte legate all’accelerazione del progresso tecnologico, dai primi dell’Ottocento in avanti.

Il consumo di sostanze oppiacee ha dunque radici storiche ed altre più recenti; tra queste ultime, due scoperte legate all’accelerazione del progresso tecnologico, dai primi dell’Ottocento in avanti.

È del 1805 l’isolamento della ‘morfina’ come principio attivo narcotico-analgesico dell’oppio, ad opera di un giovane farmacista di Paderborn (Westfalia), Friedrich Wilhelm Adam Sertürner, che prosegue e porta a compimento studi a lui precedenti (gli affinamenti della tecnica da parte del farmacista parigino Louis Charles Derosne (1803) e di Armand Seguin (1804), chimico dell’armata di Napoleone, allievo di Lavoisier).

Altri eventi ‘tecnologici’ contribuiscono a sviluppare un certo tipo di consumo degli oppiacei, a creare ‘una moda’, nonché – ultimo, ma non meno importante a dare un impulso fondamentale alle nuove tecniche di anestesia. Sono l’invenzione dell’ago cavo (hollow needle, 1844) da parte dell’irlandese Francis Rynd e la messa a punto quasi contemporanea (1853) – da parte del medico scozzese Alexander Wood e del francese Charles Pravaz – di una siringa collegata all’ago, per la somministrazione ipodermica e poi endovenosa dei farmaci. Per uno scherzo del destino, è proprio la moglie del dr. Wood la prima vittima accertata di una overdose di morfina iniettata (per via sottocutanea).

Non ci si pensa spesso, ma l’idea di una somministrazione ‘parenterale’ dei farmaci – dal greco ‘parà’, accanto, al di fuori, e ‘énteron’, intestino; cioè per una via diversa da quella orale/intestinale – è relativamente recente e presuppone una attrezzatura, seppur semplice.

Una delle prime ampolle di morfina e un kit da iniezione del 1885

Ma altre cose interessanti accadono, in questo scorcio del XIX secolo… Nasce il concetto stesso di ‘industria farmaceutica’. All’inizio sono semplici botteghe artigianali, come quella di Heinrich Emanuel Merck, proprietario dell’antica Engel-Apotheke, ‘Farmacia dell’Angelo’, di Darmstadt, che a partire dal 1827 comincia a produrre dall’oppio grezzo, la morfina (Morphium). Seguono altri piccoli laboratori, nati per la produzione di coloranti per l’industria tessile, che sull’onda dell’interesse scientifico e del profitto si espandono a diventare piccole industrie chimiche per la preparazione di farmaci. Alcune di esse hanno mantenuto il loro nome fino ai giorni nostri: Hoechst, Basf, Geigy, Sandoz, Ciba, Hofmann-La Roche; l’italiana Carlo Erba e le ‘americane’ Smith-Kline e Parke-Davis (Detroit, 1866). Della Bayer parleremo più avanti, perché, dal 1898, sarà la prima a produrre industrialmente l’eroina.

È sempre di questo periodo l’isolamento del principio attivo contenuto nelle foglie di una pianta  – la Erythroxylum coca, Fam. Erythroxylaceae – usata in origine dagli indigeni del Perù e della Bolivia per accrescere la potenza fisica e resistere alla fame e alla sete. Nel 1860 Albert Nieman, un chimico di Göttingen, riesce ad isolare l’alcaloide principale delle foglie di coca: la cocaina [sarà l’argomento di una prossima monografia su “O”].

Così come i preparati a base di morfina (laudano) anche le ‘gocce’ di cocaina erano pubblicizzate e di libera vendita come anestetico locale per il mal di denti. Dalla facilità di accesso ad un farmaco, all’uso improprio, il passo è breve

Si è detto che l’uso di preparati dell’oppio non aveva, al tempo, connotazioni negative, tanto che William Osler (1849 – 1919), uno dei padri della medicina moderna, definisce la morfina “The God’s own remedy”, ‘La medicina che Dio usa per sé’. Ovviamente si riferisce all’uso ‘medico’, antidolorifico del farmaco, ma l’uso voluttuario è parimenti diffuso, in particolare tra gli intellettuali e le persone di ceto medio-alto, addirittura tra militari e uomini di stato.

La ‘moda’ della morfina ‘per iniezione’ si va estendendo a tutta l’Europa e poi agli Stati Uniti.

Tra gli intellettuali troviamo noti ‘sperimentatori’ come Guy de Maupassant (1850-1893) che oltre alla morfina prende di tutto, dalla cocaina all’etere, dalla cannabis all’assenzio, ma anche illustri filosofi come Herbert Spencer (1820-1903), il grande neurologo Jean-Martin Charcot (1825-1893), scrittori insospettabili, come Jules Verne (1828-1905), Anton Cechov (1860-1904) e Hans Christian Andersen (1805-1875), il musicista ufficiale del regime tedesco, Richard Wagner (1813-1883) e lo stesso ‘cancelliere di ferro’ del secondo Reich, Otto von Bismarck (1815-1898); teste coronate come l’imperatore Massimiliano del Messico, il re di Danimarca, l’arciduca Rodolfo d’Asburgo; addirittura il generale Georges Boulanger (1837-1891), ministro della guerra francese della terza Repubblica, che non ha  remore ad iniettarsi morfina in pubblico. Molti approdano alla morfina per sedare dolori di varia origine, e poi, per la natura stessa del farmaco, ne rimangono dipendenti.

Un problema aggiuntivo, con la morfina, nasce dalla scarsa igiene con cui sono praticate le iniezioni; la soluzione viene preparata al momento, da una polvere sciolta in acqua, e iniettata con siringhe conservate in piccole sacche: successivamente riutilizzate, al di fuori di ogni concetto di sterilità. Il risultato può essere tragico, e anche un medico abbastanza noto, al tempo – Ernest Chambard, autore di ‘Les morphinomanes. Étude Clinique, Médico-légale et Thérapeutique’ (1893) – morirà di tetano dopo essersi praticato un’iniezione di morfina.

Le guerre che si svolgono nello stesso periodo contribuiscono a diffondere enormemente l’uso della morfina. Sono la guerra di Crimea (1854-5), la guerra di secessione americana (1861-65), la guerra austro-prussiana (1866) che prelude all’unificazione tedesca e il conflitto franco-prussiano (1870-71). Gli ufficiali medici somministrano con liberalità la morfina, non soltanto come anestetico per le operazioni, ma anche per dare sollievo ad altri mali fisici e per fronteggiare la sofferenza psichica dovuta alla tensione dei combattimenti. Il risultato è che migliaia di militari diventano dipendenti dalla morfina e la sindrome da dipendenza viene considerata quasi una malattia professionale: ‘la malattia del soldato’.

Il successo della morfina per iniezione come rimedio per le patologie organiche, ma anche per il disagio psichico, ha tempo di svilupparsi a dismisura prima che le prime voci d’allarme si levino ad avvertirne i rischi. L’alcaloide dell’oppio che doveva servire, secondo teorie mediche accreditate nella seconda metà dell’Ottocento, a sconfiggere la piaga dell’alcolismo, diventa esso stesso un problema sociale.

Sta di fatto che agli albori del  XX secolo in Europa, ma ben presto anche negli Stati Uniti, l’uso e l’abuso di varie sostanze si affermano come caratteristiche precipue dei tempi moderni, spartendosi il campo l’alcool – mai tramontato – e la moda più raffinata dell’assenzio, le sostanze oppioidi tra cui soprattutto la morfina e, come consumi emergenti, la cocaina e la cannabis.

La pianta dell’assenzio (Artemisia absinthium – Fam. Asteraceae) dal cui distillato, aromatico e molto amaro, si ottiene il liquore di assenzio, la fée verte, la fata verde. A fianco un manifesto che ironizza sulla sua messa al bando (Svizzera, 1910)

L’assenzio è un distillato ad alta gradazione alcolica all’aroma di anice derivato da varie erbe tra cui soprattutto l’assenzio maggiore (Artemisia absinthium – Fam. Asteraceae), dal quale prende il nome, ma anche dai semi di altre piante: dell’anice verde e del finocchio (Pimpinella anisum, Foeniculum vulgare – Fam. Apiaceae), dell’anice stellato (Illicium verum – Fam. Illiciaceae ), e varie altre.

Sull’assenzio fioriscono leggende, largamente fittizie, che lo descrivono come una bevanda maledetta, con i suoi rituali – il bicchiere con l’indicazione di livello, la zolletta di zucchero, il cucchiaio – per l’uso che se ne fa nei circoli intellettuali della metà dell’Ottocento; tanto da coniare il termine absinthisme, ‘absintismo’ ad indicare la relativa intossicazione acuta e cronica. Responsabilità che la bevanda non ha, perché le sue componenti in olii essenziali – il tujone dell’artemisia, l’anetolo e il fenitolo, rispettivamente dell’anice verde e del finocchio sono pericolosi solo in quantità elevate, mai raggiunte nel distillato preparato per il consumo. Quindi la pericolosità dell’assenzio deriva dalla sua componente alcolica e i sintomi sono quelli dell’alcolismo acuto e cronico.

 

Il lascito del XIX secolo al secolo successivo, dal punto di vista delle sostanze di potenziale abuso, è già gravoso, ma il peggio deve ancora arrivare…

La comparsa dell’eroina.

Nel 1874 un ricercatore e chimico londinese di nome Charles Romley Alder Wright, combinando la morfina con vari acidi si trova a sintetizzarne una forma acetilata: la di-acetil-morfina. Ma i farmacologi incaricati di sperimentarne gli effetti sugli animali non si accorgono delle sue potenzialità e il farmaco viene abbandonato.

Passano poco più di vent’anni e nel 1897 un chimico della casa farmaceutica tedesca Bayer – Felix Hoffmann – rimette mano al processo di acetilazione. È lo stesso chimico che solo due settimane prima, nello stesso laboratorio e con un analogo processo, ha ottenuto dall’acido salicilico l’acido acetil-salicilico, il più grande successo della chimica farmaceutica, commercializzato con il nome di Aspirin. Con il derivato morfinico il successo non è minore.

Il flacone e l’etichetta originali delle prime confezioni di eroina immesse sul mercato dalla Bayer

Battezzata con l’immaginifico nome di Heroin e messa in commercio con le indicazioni di ‘analgesico e sedativo per la tosse’, ha risonanza mondiale ed un successo incondizionato tra la classe medica che ne esalta i pregi sottovalutandone al contempo i rischi.

Viene infatti proposta come preparato antitosse, a basso dosaggio e per via orale, sottolineandone il miglior margine terapeutico rispetto alla codeina; addirittura è considerata un presidio utile a trattare la dipendenza dalla morfina!

Si tratta invece – ma si scoprirà solo più tardi – di un farmaco ben più potente della morfina, con una enorme capacità di indurre dipendenza e con caratteristiche del tutto particolari in seguito alla somministrazione endovenosa. È per questa via infatti che si ottiene l’effetto più intenso – denominato successivamente ‘flash’ -, descritto come un’esperienza orgasmica: una sensazione improvvisa e acuta (si instaura in 7 – 8 secondi) di euforia, benessere e calore. Con l’iniezione intramuscolare si ha una comparsa più lenta dell’euforia (dai 5 agli 8 minuti), mentre con l’eroina fumata o ‘sniffata’, l’apice dell’effetto viene raggiunto di solito in 10 – 15 minuti.

Nonostante la variabile intensità degli effetti in relazione alla modalità di impiego, è accertato che l’eroina provoca dipendenza per tutte le vie di assunzione. In una classifica di pericolosità delle varie droghe, stilata di recente dalla rivista medica The Lancet  (marzo 2007), l’eroina occupa il primo posto.

 

Una regolamentazione che impone un certo grado di controllo, almeno sulle importazione e le prescrizioni mediche delle sostanze oppiacee, giunge nel 1914 ad opera dell’Harrison Narcotic Act con cui gli Stati Uniti si adeguano alle conclusioni della Convenzione dell’Aja (1912). La Bayer cessa ufficialmente la produzione del farmaco nel 1913, in seguito alle numerose segnalazioni di dipendenza e di overdose. Ma intorno al 1930 si verifica una riespansione dell’uso di eroina ad uso ricreativo, per il sorgere di numerose fabbriche clandestine.

Una figura dalle lezioni informative sulle droghe d’abuso agli studenti delle Scuole Medie Superiori. Centro AntiVeleni (CAV) dell’Università di Roma ‘Sapienza’ (anni 2004 e segg.; grafica di Claudia Ricci)

Cenni di tossicologia delle sostanze oppiacee. Tutte le sostanze oppiacee – in particolare l’oppio puro – hanno come effetto quello di provocare una piacevole sensazione di euforia e di benessere, distacco dalla realtà e una ridotta sensibilità al dolore, all’ansia ed allo stress. Agiscono sul sistema nervoso centrale utilizzando gli stessi recettori delle ‘endorfine’ – sostanze oppioidi endogene prodotte naturalmente nel nostro organismo (v. più avanti) – e con meccanismi del tutto simili.

Gli effetti del sovradosaggio di oppioidi (overdose) consistono in sintomi principali – pericolosi per la vita – come alterazione dello stato di coscienza (con sopore, torpore, fino al coma); inoltre depressione respiratoria e cardiocircolatoria. Il disturbo della funzione respiratoria è specifico delle sostanze oppiacee e consiste nella perdita dell’automatismo del respiro, cioè rallentamento della frequenza degli atti respiratori fino all’apnea.

Ci sono inoltre sintomi accessori; quelli più conosciuti sono: miosi (riduzione estrema del diametro pupillare: ‘pupilla a capocchia di spillo), ritenzione urinaria, stitichezza. Una depressione della ‘libido’ è costantemente associata all’uso degli oppiacei.

 

Al consumo delle sostanze oppiacee, come a quello di molti farmaci e di altre ‘droghe’, sono associati alcuni fenomeni – ‘Tolleranza’, ‘Dipendenza’ (fisica/psichica), ‘Astinenza’ e ‘Craving’ – che vanno conosciuti meglio.

Prontuario di Tossicologia d’Urgenza – Ed. SEU (Società Editrice Universo), pp. 224; 2007. Un’attività collaterale dello stesso Autore di questo articolo su “O”; contiene elementi di base e principi di trattamento delle intossicazioni acute. Ad uso del medico pratico e dei cultori della materia

La tolleranza è un fenomeno generale che si stabilisce per molti farmaci a causa della maggiore efficienza dei processi metabolici di rimozione. Ne consegue la progressiva riduzione degli effetti, per cui il fruitore abituale è spinto ad aumentare la dose (o la frequenza della somministrazione) per mantenere gli stessi risultati. Quella che viene chiamata comunemente assuefazione.

La dipendenza fisica consiste nella necessità assoluta di assumere una sostanza dal momento in cui, a causa di una brusca sospensione, la sua assenza determina nell’organismo uno stato di malessere fisico-psichico – non simulato, ma reale e quantificabile – detto ‘crisi di astinenza. La dipendenza può anche essere psichica e manifestarsi con sensazioni di instabilità e insicurezza che rendono difficile il distacco completo del consumatore dalla sostanza d’abuso. La dipendenza fisica e psichica, inducono nel soggetto il ‘craving’, un termine inglese entrato nell’uso comune, che indica il desiderio ossessivo: una ricerca compulsiva e incessante della ‘dose’ che stravolge l’esistenza del soggetto, provocando disagi personali e familiari, nonché sociali.

Gli oppiodi determinano tolleranza, dipendenza fisica e psichica, astinenza e craving – in sequenza e in grado elevato – che si instaurano precocemente nell’uso della droga.

Per il fenomeno della tolleranza, in seguito all’uso continuativo degli oppiacei si verifica dopo qualche tempo la diminuzione o scomparsa di alcuni degli effetti caratteristici. I primi a ridursi sono gli effetti collaterali sgradevoli della nausea e del vomito, ma anche la depressione respiratoria tende ad attenuarsi. Non si sviluppa mai invece una completa tolleranza agli effetti degli oppioidi sulla pupilla (miosi), sull’intestino (stitichezza) e sulla libido (impotenza).
Mentre la tolleranza si sviluppa ben presto per gli effetti analgesici ed euforici. La meravigliosa sensazione di benessere” che le persone ‘addicted’ provano nei primi tempi, scompare con l’uso ripetuto; la si può rinnovare per qualche tempo con l’aumento delle dosi, ma inevitabilmente tende a ridursi. Il rapido aumento delle dosi che spesso travolge il soggetto dipendente – soprattutto da eroina – rappresenta il vano tentativo di ritrovare la beatitudine delle prime esperienze. Sono tipici della dipendenza all’ultimo stadio la compulsività dell’uso, la priorità della sostanza rispetto a qualunque altro valore e un deterioramento globale dei comportamenti: esistenze esclusivamente dedicate a procacciarsi e a consumare ‘la droga’. La trappola dell’eroina è proprio questa: la riduzione delle sensazioni più piacevoli insieme alla necessità di continuarne l’uso per evitare malessere e sofferenza.

I comportamenti compulsivi di cui si parla nel testo sono acutamente rappresentati, con una vena surreale e grottesca, nel film ‘Trainspotting’ di Danny Boyle del 1996, dal romanzo omonimo di Irvine Welsh (1993)

Opera dello stesso regista (al tempo quasi esordiente) premio Oscar con il recente ‘The millionaire’ (2008). Il titolo – letteralmente ‘identificare i treni’ – va inteso in senso metaforico: ‘stare a guardare i treni che passano’

Dice uno dei personaggi del film (Renton: Ewan McGregor) a proposito dell’eroina: Prendete l’orgasmo più bello che avete provato. Moltiplicatelo per mille. Neanche allora ci sarete vicini!”.

 

Fino ai primi anni ’70, il meccanismo d’azione delle sostanze oppiacee – tra cui la morfina e l’eroina – era del tutto sconosciuto. Sono del 1973 gli studi che dimostrano la presenza di siti di legame (o recettori) per tali sostanze nel cervello; risultava tuttavia inspiegabile la presenza, nel corpo umano, di strutture specificamente predisposte per delle sostanze somministrate dall’esterno.

Il mistero è chiarito intorno alla metà degli anni ’70, più o meno contemporaneamente da diversi gruppi di ricercatori, con l’identificazione di un fattore endogeno simil-oppioide che viene chiamato encefalina (da encefalo); poco dopo, sono isolate altre due classi di peptidi oppioidi endogeni, le dinorfine e le endorfine. Quest’ultimo termine ‘endorphin’ deriva dall’abbreviazione di ‘endogenous morphine’ per indicare una sostanza simile alla morfina (che non è un peptide) prodotta naturalmente dal corpo umano. Studi più recenti (2004 – 2006) dimostrano che diversi tessuti animali e umani sono in grado di produrre la morfina stessa. In definitiva si può dire che gli oppioidi endogeni agiscono in tre modi: come neuro-trasmettitori, come modulatori della trasmissione dell’impulso nervoso e come neuro-ormoni.

Con il meccanismo recettoriale si spiegano anche gli effetti delle sostanze ‘agoniste’ (naturali, o sintetiche come il metadone) simili alla morfina, e di quelle ‘antagoniste’ come il naloxone (Narcan®), capaci di antagonizzarne gli effetti spiazzando l’oppioide dal recettore.

Anche il meccanismo della crisi di astinenza appare più comprensibile. In termini semplificati: l’assunzione abituale di eroina determina una progressiva riduzione delle sostanze endogene attive sui meccanismi cerebrali di percezione del dolore; e anche la perdita di gran parte dei recettori per queste sostanze. È l’improvvisa interruzione dell’apporto di oppioide dall’esterno, associata alla riduzione delle endorfine e dei recettori, a determinare lo stato di estremo malessere, tipico della crisi d’astinenza. Quest’ultima comincia a manifestarsi già poche ore dopo l’ultima assunzione e raggiunge il massimo di intensità in uno-due giorni.

I sintomi consistono in agitazione, insonnia, dolori diffusi, tremori e sudore freddo; inoltre nausea, vomito, diarrea e crampi addominali, e sono tanto più intensi quanto più prolungato è stato il consumo di eroina. Tipicamente la pupilla è dilatata e si manifestano brividi e ‘pelle d’oca’ (da cui ‘cold turkey’, tacchino freddo). La crisi di astinenza scompare dopo l’assunzione di una nuova dose o, nel caso in cui l’astinenza prosegua, nel giro di 3-7 giorni. A differenza della crisi da astinenza alcoolica, nota come ‘delirium tremens’, l’astinenza da oppiacei, benché estremamente sgradevole e dolorosa, non mette in pericolo di vita.

Ancora una figura dalle lezioni del CAV ai giovani delle Scuole Medie Superiori (grafica di Claudia Ricci)

In questa immagine come nella precedente della stessa serie (‘dei polli’) è sottolineato – senza peraltro parlarne in modo esplicito – il carattere influenzabile delle fragili personalità giovanili, sopraffatte da un mercato di potenza di gran lunga superiore alle loro possibilità di difesa. Perché, se l’uso di sostanze psicoattive ha accompagnato la storia dell’umanità fin dai suoi albori – in tutte le civiltà e in tutti i tempi – è pur vero che nel passato l’uso era di tipo mistico-religioso e faceva parte di un percorso iniziatico, o di conoscenza, compiuto sotto la guida di un esperto (‘saggio’, guru, ‘sciamano’). Ben altro accade oggi, per spinte di vario tipo ad un uso puramente edonistico e sotto l’influsso delle mode, spesso manipolate dalle ragioni del profitto e controllate dalle menti scaltre e senza scrupoli che gestiscono il traffico internazionale delle droghe.

Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (‘Christiane F. – Wir Kinder vom Bahnhof Zoo’): del 1981 diretto da Uli Edel. Un film fondamentale ed estremamente coinvolgente sui comportamenti giovanili in relazione all’abuso di eroina

Tratto dal romanzo omonimo, il film si ispira alla vera storia di Christiane Vera Felscherinow basata sulle interviste con lei, effettuate nel 1978, in carcere, da due giornalisti; al tempo del processo per spaccio e consumo di ‘droghe’ in cui la giovane era testimone e imputata. Il film ebbe un’eco mediatica molto maggiore del libro e contribuì a far conoscere le piaghe della tossicodipendenza e della prostituzione negli adolescenti.

Il film è dedicato ai tre amici di Christiane che morirono di overdose in quegli anni “…e agli altri cui mancarono la forza e la fortuna per sopravvivere”. Partecipazione e colonna sonora di David Bowie.

Solo rosso (foto di P. Azzena. Da http://www.fotocommunity.it)

Siamo giunti – con la storia delle sostanze oppiacee – alla soglia delle grandi guerre che segneranno il XX secolo. Anche il papavero va alla guerra: i fiori rossi che coprivano i campi di battaglia delle Fiandre nel 1918, diventeranno il simbolo di un imperituro ricordo; l’eroina – insieme alla cocaina – accompagnerà i piloti della II Guerra Mondiale quando andranno a seminare morte sulle città inermi.

La vicenda del papavero – paradiso e inferno – richiede ancora tempo e storie per essere raccontata tutta.

[Papavero da oppio. Una pianta e un fiore tra le pagine della storia. 3 (continua)]

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