Eh… eh… eh..!
[Da Paolo Conte: Novecento (1992)]
Le streghe esistono, eccome! – avrebbero giurato tutti i bambini della mia età e io avrei detto lo stesso a chiunque me lo avesse chiesto. Questo era chiaro ancor prima di leggere (da adulti) Roald Dahl, ed entrare nel mondo di un bambino norvegese, dominato dall’immaginario, e dalle streghe, appunto [Roald Dahl (1916-1990): ‘The witches’ (1983) – Le streghe; Salani Ed. 1987].
Una prova incontrovertibile della loro esistenza era, per noi bambini di campagna, la gran quantità di capelli che esse lasciavano in giro, impigliati nelle siepi… E se non son prove queste!

Il fantastico era una componente essenziale della cultura contadina. Diremmo adesso – da grandi e smaliziati – che anche l’ignoranza vi aveva la sua parte, e non pochi svantaggi; ma guardate la cosa dal punto di vista di un bambino!
Le storie raccontate intorno al camino sono tra quelle che più si imprimono nella memoria; la fantasia galoppa. L’indistinto e l’incomprensibile si inseriscono naturalmente nella visione olistica del mondo, nell’infanzia. I bambini di campagna – di un’epoca pre-televisiva, stiamo parlando – avevano distinte caratteristiche e vari ‘tesori’ in più rispetto ai loro coetanei cittadini. Conoscevano le albe e i tramonti e le storie delle volpi che si sposano quando piove col sole. Sapevano cosa c’è alla base degli arcobaleni e come farli in proprio, con le bolle di sapone. Andavano nelle radure dei boschi a cercare i cerchi delle streghe; sapevano attaccare i bottoni per fare gli occhi agli spaventapasseri; inventavano storie sui ricami di ghiaccio disegnati sui vetri… E altre cose ancora…




Queste meraviglie saranno sconosciute – credo – ai bambini di oggi.
Mancheranno loro le fantasie sui capelli delle streghe e sui loro sabba…
Non avranno per compagni gli spaventapasseri. Forse giocheranno ancora a fare le bolle di sapone, o forse no. E chissà se inventeranno storie sulle pentole piene d’oro alla base dell’arcobaleno e sui ricami di ghiaccio che d’inverno si formano sui vetri delle finestre…
Ma forse tutte queste cose neanche mancheranno loro, se non le hanno mai conosciute; o saranno sostituite da altre…
Ogni infanzia ha le sue meraviglie!

Ma torniamo alle clematidi… Il mio interesse nei loro confronti, nato dal ricordo dei grovigli di semi argentati visti da piccolo, ha avuto modo di trasformarsi in stupita ammirazione alcuni anni più avanti, dopo aver conosciuto le varietà di forme e colori di cui sono capaci.

Il fatto è che le clematidi sono piante poco conosciute. Sebbene comunissime, sono circondate da un alone di mistero e guardate con una certa diffidenza da parte degli stessi appassionati di giardini, che pur ammirandone le rigogliose fioriture, sono restii a iniziare una relazione duratura con loro…
Un’avventura, allora, tanto per provare..?

Le clematidi [Clematis spp. (species)] comprendono circa 250 specie di piante erbacee, semilegnose o legnose, solitamente rampicanti, a foglie decidue o anche sempreverdi; le foglie sono, spesso, non singole ma composte, con picciolo lungo ed esile avente la caratteristica di avvolgersi in funzione di ancoraggio. Appartengono alla famiglia delle Ranuncolaceae; alla stessa famiglia appartengono i ranuncoli, gli anemoni e le aquilegie, tutte piante contenenti principi attivi potenzialmente tossici.
Praticamente ubiquitarie (Europa, Americhe, Asia) si sono ulteriormente diffuse ed ibridate grazie all’opera dell’uomo; le ultime arrivate hanno fioriture particolarmente vistose e sempre nuove varietà – sono svariate centinaia! – continuano ad essere proposte.

Clematis è una delle denominazioni botaniche più antiche; deriva dal greco klema-atos, che significa viticcio, pianta volubile, simile alla vite; nel 1737 Linneo confermò il nome.
Le clematidi sono, tra le piante da giardino, le rampicanti per eccellenza, più famose nell’Europa continentale e in Inghilterra, in realtà; anche se non sono difficili da acclimatare alle nostre latitudini, con un minimo di attenzione.
Di clematidi hanno scritto diffusamente Vita Sackville West – che molto le amava – e il nostro Ippolito Pizzetti: entrambi ospiti abituali di questa rubrica [ V. su “O”: Libri di piante e fiori (prima parte) del 24.05.09].


Notava Pizzetti [Ippolito Pizzetti in ‘Pollice verde’ – Manuali B.U.R.; Rizzoli, 1982] che le clematidi sono le grandi assenti dai giardini italiani, e titolava un suo capitolo: ‘Pregiudizi sulle clematidi’.
Non trovava una spiegazione per tale mancanza, anche se faceva delle ipotesi sulla credenza che le clematidi fossero piante ‘difficili’, non adatte ai climi mediterranei e soggette a malattie imprevedibili.
Da allora sono passati quasi trent’anni, e qualcosa è cambiata, ma non molto.

Si vedono più di frequente le clematidi nei giardini – questo vale per i ‘guardatori dei giardini degli altri’ [V. su “O”: Notizie dai giardini – Giardini veri e sognati del 2.04.07] – e lasciano a bocca aperta con le loro fioriture. Queste possono distribuirsi su un arco di tempo molto ampio – da inizio primavera a estate avanzata – dal momento che è possibile disporre di varietà a fioritura precoce, intermedia e tardiva.

Il pregiudizio sul carattere ‘non mediterraneo’ delle clematidi è anch’esso superato, a condizione di non considerarle al pari delle bouganvillee, ma con l’accortezza di disporle con le radici relativamente al riparo dal sole diretto e di assicurare regolari innaffiature senza ristagni d’acqua. L’aforisma che tutti ricordano: – “Vogliono le radici in ombra e la chioma al sole!” – ha una sua validità.


Infine le avversità, i parassiti e le malattie colpiscono le clematidi come tutte le altre piante, con la sola eccezione di una malattia specifica, il disseccamento o ‘mal clematideo’ (clematis wilt), di natura fungina – da Ascochyta clematidina e Coniothyrium clematidis – che si diffuse nei vivai e nei giardini alla fine dell”800, all’apice del maggior successo (una moda tutta inglese) delle clematidi. Tale patologia vegetale, pur non avendo ancora un trattamento specifico, è molto meno diffusa di un tempo, grazie ai trattamenti preventivi con antifungini e alle migliorate condizioni di coltivazione. Comunque il male colpisce solo la parte vegetativa delle piante più giovani, che possono esserne colpite dalla sera alla mattina ed assumere all’improvviso un aspetto appassito e cadente, prima di seccare del tutto. Ma con una potatura drastica ed eliminando accuratamente le parti infette, la pianta spesso riprende a vegetare dalla radice, anche a distanza di qualche anno.

La potatura. Il consiglio ultra-semplificato di Vita Sackville-West per i suoi lettori [In: ‘Garden Book’ (1968) – ‘Del giardino’; ed. L’Ornitorinco; Rizzoli, 1975] sulla potatura delle clematidi, è di potare immediatamente dopo la fioritura le piante che fioriscono precocemente in primavera e all’inizio dell’estate; le varietà che fioriscono più tardi, invece (cioè quelle che fanno i fiori sui getti della stagione in corso), vanno potate all’inizio della primavera.

Dove far crescere una clematide. Le clematidi, si è detto, sono delle rampicanti, ovvero sono capaci di sostenersi alle strutture circostanti, grazie alla capacità avvolgente del picciolo delle loro foglie. Bisogna comunque fornir loro qualche tipo di appiglio, per evitare che i sottili tralci si avvolgano su se stessi, risultandone così una minima resistenza al vento; non hanno invece veri e propri organi di aderenza ai muri, come le radichette dell’edera o le ventose dei cissus.
La messa a dimora di una clematide richiede delle valutazioni preventive. Alcune di esse si adattano ai vasi, purché sufficientemente ampi e profondi; altre, come Clematis montana, hanno un notevole sviluppo radicale che le rende più adatte alla sistemazione in piena terra. Vengono generalmente consigliati un impianto profondo e una pacciamatura superficiale. L’associazione con altre piante è particolarmente apprezzata dal punto di vista estetico, sia che queste piante fungano da supporto che per ottenere degli effetti di colore con i loro fiori; in ogni caso va considerato che le clematidi non gradiscono le competizione con le radici di altre piante e bisognerebbe assicurare uno spazio libero adeguato per lo sviluppo senza interferenze del loro apparato radicale.

Un’ultima storia ci porta ancora nel mondo delle favole e delle leggende e riguarda l’usignolo, che da sempre è implicato in questioni con le piante [‘L’usignolo e la rosa’: V. su “O”: Le piante, i frattali e la ricerca della bellezza del 05.10.08 ].
Pare che all’inizio dei tempi anche l’usignolo fosse un uccello diurno.
Poi, una volta, gli accadde di addormentarsi tra i rami di una clematide, che con la sua crescita veloce durante la notte gli imprigionò le zampette con i viticci.
Alla fine – si racconta – l’usignolo riuscì a districarsi, ma si spaventò tanto da non fidarsi più. E da allora passò tutte le notti sveglio – per nostra fortuna e consolazione – a cantare…

Insieme all’ultima storia, un’ultima meraviglia capace, almeno da un punto di vista concettuale, di ricollegare tutti i fili sparsi di pensieri distanti tra loro: le ragnatele che si trovavano – nelle mattine della mia infanzia – tra i fili d’erba e nelle radure …Ma bisognava svegliarsi presto, prima che il sole le dissolvesse o che altri le trovassero.
Da bambini la manutenzione della meraviglia era una disciplina impegnativa…