Totale dipendenza dell’informazione dai suoi inserzionisti. È questa la principale piaga che affligge i media del nostro tempo secondo Michele Serra. Giornalista di Repubblica e scrittore, Serra si dedica da trent’anni ad un’impegnata e allo stesso tempo scanzonata opera di informazione. Ha scritto migliaia di articoli e corsivi su diverse testate, tra cui l’ Espresso e Unità per cui ha anche fondato e diretto il famoso inserto satirico “Cuore”. L’abbiamo incontrato a Perugia dove, ospite del festival del giornalismo, ha tenuto una dissacrante rassegna stampa insieme a Giovanna Zucconi, giornalista e sua moglie.
Michele Serra, lei oggi ha condotto una rassegna stampa. Qual è il consiglio che da a chi legge un quotidiano?
Sapere che non sei di fronte ad una rappresentazione oggettiva della realtà, ma di fronte ad un selezione. Ogni mattina tu compri il criterio di giudizio di un gruppo di lavoro. Devi sapere che giornale stai leggendo… poi con il tempo impari a riconoscere le firme di cui ti fidi di più.
La sua giornata comincia sempre con una rassegna stampa così accurata?
Mi piacerebbe rispondere di si. La realtà è che mentre in passato trascorrevi due ore della mattina a leggere i giornali, oggi al massimo gli dedichi dieci minuti. Ormai siamo al trionfo del gossip, si è dovuta rompere una consuetudine noiosa: trattare la politica da parte dei giornali. Per fare una metafora, rispetto al giornalismo di un tempo che era in giacca e cravatta, si è cominciato a togliere la cravatta e scamiciarsi un po’… con il risultato che ora in molti sono in canottiera. Manca una gerarchia delle notizie. Siamo pieni di titolacci che non rispecchiano le notizie. Specchietti per allodole un po’ volgarotti. Il gossip non è un fenomeno leggero ma è qualcosa che prende il posto di qualcos’altro ovvero le notizie e il ruolo democratico della stampa e dell’informazione. Purtroppo il registro unico e dominante nel trattare la politica è soltanto questo: il pettegolezzo. Giornalisti come Travaglio e Gomez, che proprio ieri sera qui al festival hanno fatto una lezione su come si possano usare i fatti e metterli in fila, vengono indicati come provocatori in questo nostro strano paese.
Si parla sempre della dipendenza dei giornalisti dalla politica…
Questo è un altro discorso. Simpatie e strategie ci sono e si intuiscono se si riesce a guardare oltre al baccano quotidiano. E non credo ci sia nulla di male, ci sono sempre state. Solo che dovrebbero essere delle manovre più trasparenti, per rispetto al lettore per esempio.
Quindi qual è il vero problema dell’informazione oggi?
Il condizionamento pubblicitario è enormemente peggiorato. Trent’anni fa era una componente importante, ma pur sempre una componente. Oggi il vero editore è la pubblicità… nel senso che comanda. C’è una dipendenza patologica dei media dalla pubblicità. Se un direttore di giornale si trova di fronte ad un articolo che mette in cattiva luce un suo inserzionista ha reali difficoltà a pubblicarlo perché pensa al suo stipendio e a quello dei suoi redattori. Non so come se ne esca da questa situazione. Siamo alla totale dipendenza dell’informazione dai suoi inserzionisti.
Tutto ciò si affianca al solito discorso sull’assetto proprietario e il conflitto di interessi. La sola idea che le nomine della Rai siano state decise nella casa del proprietario di Mediaset è orrida. Non centra la politica, centra solo la logica, il buon senso…come può il proprietario di un’azienda concorrente decidere quale è il management dell’azienda rivale. Altrove è un reato penale, qui in Italia la notizia viene accolta con un “Sai, è così… è inutile parlarne ancora”.
Vale ancora la pena cercare di fare questo mestiere?
Sembra sciocco, ma l’unica cosa che mi viene da suggerire è: fai un pensiero magico, come quello dei bambini. Le difficoltà ci sono, ma fai finta che non esistano. Vai avanti e pretendi molto da te stesso perché al di là di tutti questi condizionamenti oggettivi è un mestiere bellissimo che ti mette a contatto con ambienti diversi… è come se salissi a bordo di un veicolo che ti porta in giro per il mondo. Si tratta di un aspetto fondamentale e non puoi dimenticarlo… ricordo quando ho intervistato Guccini che per me era un eroe. Tutti i dischi, le canzoni imparate a memoria con la chitarra… e poi mi sono ritrovato a dialogare con lui. Sono entrato in paradiso! Certo c’è una gavetta massacrante. L’accesso alla professione è un gran casino, forse oggi più di allora. C’è un clima pessimistico ed è difficile ritagliarsi degli spazi liberi, ma secondo me si può e si deve.
Lei è anche autore di libri di narrativa, testi teatrali e televisivi. Quale preferisce tra tutti questi ruoli?
Il giornalista, specie se opinionista, è tenuto a dare delle risposte, delle indicazioni etiche. Lucidità, precisione e soprattutto un’opinione. Lo scrittore si serve della percezione più che della ratio e non è tenuto a dare delle risposte. Io personalmente quando scrivo letteratura lo faccio anche per fuggire dalla rigidità del mio ruolo di opinionista, esprimere sensazioni e umori di pancia.
Come nella satira?
La satira è un mezzo straordinario: mi permette di colpire ciò che non mi piace senza cadere nella retorica e nella ridondanza e permette di agire mantenendo il senso del pudore. In fondo mi difende da me stesso.