Giacomo Faenza: “Se penso al Parlamento mi viene in mente Lassie: c’è davvero bisogno che torni a casa!”

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Il suo documentario "Caro Parlamento" ha ricevuto un esplicito apprezzamento da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che lo ha definito un "eccellente lavoro che dà voce all’impegno...

Il suo documentario “Caro Parlamento” ha ricevuto un esplicito apprezzamento da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che lo ha definito un “eccellente lavoro che da voce all’impegno dei giovani ad animare i principi fondamentali della Costituzione Repubblicana”.  Giacomo Faenza  è il giovane regista (figlio d’arte, suo padre è Roberto Faenza, ora nelle sale con Il caso dell’infedele Klara) che con la sua iniziativa ha tentato di documentare se e come gli articoli della nostra Costituzione incentrati sul tema del lavoro siano stati messi in pratica nell’Italia del 2008, ponendo in rilievo il problema del precariato nel nostro paese attraverso significative testimonianze.

Giacomo, che cosa è “Caro Parlamento”?
“Caro parlamento” è un documentario-inchiesta sui giovani e il lavoro nell’Italia del 2008, che ho realizzato intervistando 158 cittadini italiani di età compresa tra i 20 e i 40 anni e si sviluppa in un arco narrativo di 9 differenti capitoli presentati sotto forma di favole… i testi delle favole sono in realtà gli articoli della Costituzione che parlano di lavoro. Seguono poi le interviste dei giovani che, ripresi sempre e solo in primissimo piano, dicono senza riserve cosa pensano delle istituzioni, descrivono la difficile situazione economica e lavorativa in cui versano, rivelano i propri umori e ragionano su un futuro lavorativo sempre più incerto.

E quali sono i loro umori?
L’umore che può avere qualcuno che lavora da anni con contratti giornalieri, al massimo settimanali, per la stessa azienda… l’umore di chi vive nell’incertezza perenne.

E il titolo del documentario?
È il titolo dell’ultimo capitolo in cui gli intervistati segnalano al Parlamento i problemi di lavoro più urgenti da risolvere. In questo modo rendo palese un esigenza che sento come estremamente urgente: riallacciare un dialogo tra i giovani e le istituzioni… dialogo che da qualche anno a questa parte sembra compromesso più che mai.

Qual è la situazione che hai fotografato con il tuo documentario su questo punto, sul rapporto tra i giovani e le istituzioni?
Dalle interviste emerge che la maggior parte di noi giovani non identifica il Parlamento con l’istituzione che rappresenta la nostra democrazia, bensì lo associa immediatamente  con i politici le risse, i litigi, e gli interessi privati. Effettivamente se io penso al Parlamento mi viene in mente un mongolfiera unita al mio mondo con un filo sottilissimo… e soprattutto lontana, molto lontana.
Per dirla in maniera più colorata, se penso al Parlamento mi viene in mente Lassie: c’è davvero bisogno che torni a casa! Non gli faremo nulla, non lo sgrideremo… ma c’è davvero bisogno che si riavvicini a noi, alle nostre problematiche reali e attuali.

Quindi il tuo documentario nasce da una situazione in cui ti senti coinvolto in prima persona?
Sicuramente. Stravolto da infinite ore di lavoro a fronte di guadagni minimi e senza neanche la minima speranza di una prospettiva migliore, ho riletto la Costituzione. Un faro nella tempesta: parlava di una Repubblica che è fondata sul lavoro e che lo favorisce in ogni sua forma, del diritto ad una paga proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, dell’istanza di favorire la famiglia… cose che attualmente non vedo, non sento e non tocco.
Quindi ho deciso di far un documentario che evidenziasse il testo costituzionale allo scopo di stimolare una seria riflessione anche tra noi giovani.

Pensi di esserci riuscito?
Ci sto provando. L’articolo 4 della costituzione dice sostanzialmente che ognuno di noi ha il dovere di partecipare come può al miglioramento della società e questo documentario per me rappresenta un concreto atto di partecipazione in questo senso. Il mio lavoro aiuta i giovani a confrontarsi tra di loro… a scoprire che siamo tutti sulla stessa barca. Penso che sia tempo di finirla con i pietismi e di prendere atto del fatto che il precariato è  una malattia comune che va analizzata per trovarne la cura. Dobbiamo prendere la parola, parlare e partecipare. Imporci forse. Dobbiamo svegliarci… per questo alla fine del documentario parte una sonora, fastidiosa e metaforica sveglia.

Perché hai scelto la forma del documentario? Perché non un libro?
I dati, statistici e numeri che abbiamo sull’argomento sono infiniti. Mancano i volti che interpretino questi dati. La tv è vittima dello scoop e del sensazionalismo e tende a raccontare solo una storia forte e spettacolare… nessuno intervista un precario, non fa abbastanza notizia. I freddi dati colpiscono relativamente: è più difficile dimenticare il volto di una persona, il suo sguardo attonito e smarrito. Nel documentario compaiono solo persone in primo piano e ti garantisco che gli occhi parlano.

La storia più curiosa che hai ascoltato?
Sicuramente quella del “viaggio ipnotico”. Un ragazzo che lavora in un call center mi ha raccontato che la ditta distribuisce ogni tanto tra i suoi dipendenti dei viaggi premio con mete esotiche e favolose… pur mantenendo salari bassissimi e orari estenuanti. Un viaggio che cerca di ipnotizzare i dipendenti insomma. E questo ragazzo sottolineava come avrebbe decisamente apprezzato un centinaio di euro in più e eventualmente avrebbe deciso lui se e dove fare il viaggio!

Hai ricevuto critiche al tuo lavoro?
In realtà solo una: mi hanno accusato di aver intervistato gente “di sinistra”… i soliti vecchi stereotipi. Critica infondata: il precariato è un problema trasversale che colpisce tutti indistintamente.

Quali reazioni stai riscontrando presso le istituzioni?
Sono piacevolmente sorpreso dalla pronta reazione del presidente della Repubblica Napolitano. Ho lasciato una busta contenente il documentario nella portineria del Quirinale. Non credevo che mi avrebbe mai risposto… e invece dopo tre settimane mi è arrivata un lettera da parte sua in cui mi si fanno i complimenti per un lavoro che pone il precariato al centro dell’attenzione. A quel punto ho portato il dvd anche al presidente della Camera Fini chiedendogli di fare una proiezione del documentario presso il parlamento, possibilità che mi ha concesso settimana scorsa. L’ho anche proiettato presso la facoltà di giurisprudenza a RomaTre alla presenza di Oscar Luigi Scalfaro, il quale l’ha accolto con grande entusiasmo… ovviamente l’ideale sarebbe arrivare ai grandi mezzi di comunicazione di massa, arrivare in televisione… ma i meccanismi sono assai difficili per gli autori sconosciuti come me…

Continuerai a fare inchieste sull’argomento?
Decisamente. Continuerò a dare il mio contributo per ritrovare la nostra identità sociale e superare questo scollamento tra istituzioni e cittadini. Bisogna riscoprire la Costituzione, tornare a rivolgersi alle istituzioni, responsabilizzare. Sto già cominciando a raccogliere materiale per il mio nuovo documentario: voglio raccontare i quarantenni e  i cinquantenni che si ritrovano nuovi poveri, le famiglie che non arrivano realmente alla terza settimana del mese.
Comunque voglio essere fiducioso: Lassie tornerà.

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