Giacomo Lariccia: “Improvvisare è come imparare a parlare”

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"Spellbound" vuol dire "incantato". Un disco jazz dalle atmosfere calde, dove le voci di due cantanti, una araba e un’altra israeliana, si alternano e infine...
© Michal Fattal

“Spellbound” vuol dire “incantato”. Un disco jazz dalle atmosfere calde, dove le voci di due cantanti, una araba e un’altra israeliana, si alternano e infine si intrecciano in un messaggio di amore e di pace. Spellbound è il disco di esordio di un giovane musicista italiano, Giacomo Lariccia, che da 8 anni vive e lavora a Bruxelles.

Mi racconti com’è nata l’idea dell’album?
La realizzazione di un album è il punto di passaggio per ogni musicista. Da un lato è uno strumento di promozione, che segna la differenza tra l’”amateur” e il professionista. Ma è anche uno stimolo, indica un obiettivo da raggiungere. Da anni faccio musica con il mio gruppo, e senz’altro quello è stato il punto di partenza. Volevo però dire qualcosa di chiaro, di positivo, d’importante. La musica da sola non bastava, cercavo qualcosa di più concreto. È nata così l’idea di mettere insieme due cantanti, una araba e un’altra israeliana, rappresentanti di due mondi che sembrano oggi incapaci di comunicare.

Conoscevi già le cantanti?
No, la mia idea è nata prima di conoscerle. Nel progetto ho coinvolto Ghalia Benali, tunisina e attiva nel campo della world music, e Barbara Wiernik, una cantante jazz di origine ebraica molto conosciuta qui in Belgio. Ghalia e Barbara cantano insieme in “Cantico”, la composizione perno dell’album.

Parliamo di questo pezzo.
È un poema tratto dal Cantico dei Cantici. Sono due donne che parlano dell’amore in arabo ed ebraico, usando le stesse parole. Il messaggio è che siamo tutti uguali, abbiamo gli stessi desideri di felicità e pace anche se il mondo ci porta a combatterci.

Ma tutto questo non rischia di restare solo un esercizio di belle intenzioni?
Credo che la rivoluzione più grande che una persona possa fare è nella propria vita. Senza avere pretese di alcun tipo, volevo dare questo messaggio alle persone che riuscirò a raggiungere. È una piccola azione, non più di una goccia nel mare, ma se non l’avessi fatta questa goccia mancherebbe.

Quanto tempo è servito per realizzare questo progetto?
Le composizioni in parte c’erano già, scelte tra quelle degli ultimi anni. Altri pezzi sono recentissimi, scritti per il disco. La registrazione di musica jazz dura abbastanza poco, con i musicisti ci siamo chiusi per tre giorni in una fattoria della campagna belga attrezzata a studio e abbiamo suonato dalla mattina alla sera, registrando tutto. Poi ci sono stati tre giorni di mixaggio. La parte più lunga e noiosa è stata quella burocratica per avere dei fondi dallo stato belga. Infine c’è stata la ricerca dell’etichetta che inserisse il disco nel catalogo.

Non avevate un’etichetta prima di cominciare?
No, è stato un salto nel buio, prima di registrare non sapevamo cosa sarebbe successo.

Cos’è cambiato in te con la realizzazione del disco?
È stata un’esperienza arricchente da molti punti di vista: del lavoro, perché è stato un passo in avanti, che ha portato a concerti e prospettive nuove; musicale, per avermi avvicinato al mondo della musica orientale; e umano per il contatto con le persone del mio gruppo. Nell’incontro tra le culture c’è sempre ricchezza quando esso avviene nella pace e nell’ascolto dell’altro.
Con Ghalia, ad esempio, è nata una bella collaborazione professionale. Io scrivo musica occidentale, lei canta secondo la tradizione araba e la inserisce in un’armonia che araba non è. Per quest’anno abbiamo in programma diverse tournée, in Belgio ma anche in Tunisia e spero Israele.

E in Italia?
(Ridendo) Sto superando le fatiche di 25 anni vissuti in Italia. È un paese grande, con tante possibilità ma anche tante difficoltà… Per entrare nel circuito bisogna avere già distribuzione, ufficio stampa e concerti. Nel Benelux sono già conosciuto, ed è stato più semplice. Nel futuro però chissà…

Ti sei mai scoraggiato?
Tantissime volte, tuttora! I momenti più duri sono stati agli inizi, al conservatorio. Quando s’inseguono i sogni e ci si scontra con i propri limiti umani, questi limiti fanno molto più male che se si fosse in un campo neutro.

E non ti è venuta voglia di mollare?
Non ci sono mai riuscito. Per me stare senza musica è impossibile.

C’è un legame tra musica e scrittura?
Musica e scrittura sono molto vicini, c’è una costruzione del climax, le ripetizioni. A volte si va più verso la poesia, a volte verso il racconto, ma le strategie sono simili.
Nel jazz si fa molta improvvisazione. Si inizia imitando gli altri, e poi si costruiscono frammenti che s’ingrandiscono sempre di più. Improvvisare è come imparare a parlare.

Cosa diresti a chi vuole intraprendere la tua carriera?
Di crederci tanto e di non lasciare che le persone che ci stanno intorno possano distoglierci dal punto di arrivo. Brel diceva qualcosa come – il talento è fare di tutto per realizzare i propri sogni. Mi piace molto anche quello che ha detto qualcuno (ndr. il compositore Michele Gelmini): “scrivere musica è il 10% ispirazione e il restante 90% traspirazione”.

http://www.giacomolariccia.com

 

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