Una casa di campagna in Toscana. La casa di un noto intellettuale italiano, Gianni Tiraboschi. Nell’agosto del 1978 arriva lì un giovane giornalista per intervistarlo. Si chiama Marco, è pieno di riccioli e di illusioni. Non trova però Tiraboschi, che è dovuto partire all’improvviso. Si mette a chiacchierare con la compagna dell’intellettuale, Ilaria, che abita lì, quasi sempre da sola, con la sorella di Tiraboschi, Azzurra, una ragazza la cui avvenenza farà perdere ben presto la testa a Marco. Parlano Ilaria e Marco, parlano tanto. Delle loro vite, come forse non avevano mai fatto prima, non avevano mai fatto con nessuno. Ilaria è insoddisfatta di quella vita piena di silenzio e di solitudine, e ha in programma di partire per l’Australia. Marco abita a Roma, a Trastevere, scrive per una rivista, “l’Ariete”, il cui primo numero deve ancora uscire. Ma adesso che potrà intervistare il grande Gianni Tiraboschi tutto cambierà… E invece niente, il Tiraboschi non si vede. Marco continua a parlare con Ilaria, che gli racconta della “Grande Stronza”, la moglie del Tiraboschi, una vera arpia. Lui le parla dei genitori, delle sue illusioni, della sua grande ammirazione per questo intellettuale che arringa le grandi assemblee politiche degli anni Settanta. Dopo aver consumato un pranzo frugale Marco se ne va… Ritorna in quella casa nell’inverno del 1979. Ritrova Ilaria, seduta nella stessa scassata poltrona in cui l’aveva vista la prima volta. Lei adesso ha i capelli corti, ma la solitudine è la stessa. I silenzi in quella casa sono gli stessi. Lui le parla della sua storia con Azzurra, del loro amore consumato a Roma. Adesso scrive per un mensile “L’asso di fiori”, un mensile il cui primo numero avrà al centro l’intervista con Gianni Tiraboschi. Ma anche questa volta Tiraboschi non c’è; è partito la sera prima, per definire a Roma delle cose importanti con la “Grande Stronza” che ha chiesto il divorzio. Ilaria e Marco parlano ancora, parlano tanto. È come se quell’anno e mezzo che li separa dal loro primo incontro non fosse mai passato.
Hanno insieme un’intimità straordinaria. Forse perché si sono annusati subito, hanno annusato le loro rispettive debolezze, le loro sconfitte. Marco se ne va di nuovo… Ritornerà in quella casa nel 1988. Lui adesso non ha più la testa piena di riccioli. E anche le illusioni sono scomparse. Adesso va in giro con una Volvo di seconda mano e scrive per la televisione. Ilaria è rimasta sempre lì, in quella casa di campagna dove niente è cambiato da quella prima volta nel 1978. Lei poi non è più partita per l’Australia, è rimasta con Gianni che adesso vive ritirato nella stanza di sopra, dopo esser stato lasciato dalla “Piccola Stronza”, una giovane ragazza conosciuta in un congresso all’estero. I suoi libri non vengono più pubblicati, la sua fama si è ormai persa. Non parla più Gianni Tiraboschi, le folle che lo ascoltavano estasiate negli Anni Settanta si sono oramai dissolte. Marco rivela ad Ilaria che è stato lui a soffiare la “Piccola Stronza” al Tiraboschi. Era tanta l’ammirazione per Gianni, da spingerlo a sedurne l’amante. La “Piccola Stronza”, però, non l’ha fatto felice. È ancora solo, come Ilaria. Azzurra, intanto, è diventata una donna, si occupa di cucina povera. Per qualche giorno rimarrà in quella casa con Gianni ed Ilaria. Le due donne convincono Marco ad intervistare finalmente Gianni. E la frase di Ilaria, alla fine, è una lama che trafigge il cuore di ogni spettatore: “Non lo sai che le cose accadono quando non le si desidera più?”…
L’intervista, in scena al teatro Eliseo fino al 1 marzo, è un testo di Natalia Ginzburg. Un testo che descrive in maniera meravigliosa il “privato” e il “pubblico” di questo paese. Le sue “false partenze”, le illusioni e le delusioni, i silenzi, le omissioni. Ma anche le inaspettate tenerezze, le dolcezze e i fatali rimpianti per il tempo che passa e modifica, lui sì, le vite degli uomini. A mettere in scena questo testo ci sono due attori formidabili, eccezionali: Valerio Binasco (che è anche il regista dello spettacolo) e Maria Paiato (un vero mostro di bravura!). Sono loro a dare quel tocco magico, quella forza alle parole che sono tante in questo testo. Perché si vede che hanno un’anima, che non “recitano”. Che “sentono”, si appropriano delle storie che mettono in scena. È questo che rende grande il teatro, che ne fa un luogo incantato e meraviglioso.