Al liceo il compleanno di Diana, capitando all’inizio di giugno, era celebrato con un baccanale che propiziava l’arrivo dell’estate. Diana abitava in località La Storta, allora indicata, sullo stradario allegato agli elenchi telefonici, con “hic sunt leones”. Per arrivare a destinazione, i compagni di classe si apprestarono a una transumanza che avrebbe richiesto più giorni di cammino.
Io ero amico di Giancarlo, e Giancarlo quell’anno aveva acquistato la sua prima moto: il Guzzi 125. Non esattamente snello, non propriamente bello, non precisamente veloce. Ma queste sono valutazioni facili in prospettiva storica: allora era un destriero d’acciaio. Giancarlo mi offrì di andare con lui alla festa di Diana, e io accettai subito, vinto dal miraggio di decurtare i tempi di percorrenza.
Quindi a un’ora adatta del pomeriggio mi recai a casa sua. Procedemmo alla vestizione, perché Giancarlo si era procurato un casco anche per me. Dopodiché, come un crociato e il suo palafreniere, partimmo. L’andatura era rispettabile. Al piccolo trotto, l’asfalto scivolava sotto di noi, non molto sotto di noi perché il Guzzi era alquanto basso da terra.
Ho nitide immagini di quel viaggio. Ci avventurammo su su per la Cassia, fin dove finivano le case; poi ci lasciammo rinfrescare da alberi frondosi, oltrepassammo dogane e pagammo dazi, e a un certo punto, dopo una piccola pieve, ultimo baluardo della cristianità e del mondo civile, girammo per via della Storta.
Lì, subitaneamente, il paesaggio cambiò: morbide ondulate distese di verde, e all’orizzonte le sagome di mulini a vento. Fu allora che accadde: Giancarlo sguainò la spada e accelerò, inveendo contro i mulini. Io dietro a lui cercai di dissuaderlo ma non vi fu nulla da fare. Giancarlo combattè fino a cadere esausto.
Alla festa di Diana quell’anno non arrivammo.