Mad Men: la creatività politicamente scorretta

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Esistono serie televisive che appassionano, coinvolgono il pubblico ma rimangono estranee al clamore che di solito accompagna qualunque fiction. Oppure se ne inizia a parlare nel momento in cui...

Esistono serie televisive che appassionano, coinvolgono il pubblico ma rimangono estranee al clamore che di solito accompagna qualunque fiction.

Oppure se ne inizia a parlare nel momento in cui la suddetta serie vince un Golden Globe.

Come è accaduto a Mad Men (Cult, canale 131), serie ideata da Matthew Weiner che, dopo I Sopranos, si conferma quale genio del male televisivo e del politicamente scorretto. Fumo adulterio, alcol e razzismo sono gli ingredienti essenziali utilizzati dal produttore che ha voluto raccontare un’America cinica nella quale anche i sentimenti sono un business. Un intenso viaggio nella società e nella cultura americana, tempo di contrasti e valori che cambiano.

Per assurdo questa fiction non agisce sulle attese dello spettatore, a costo di sembrare poco “televisiva” e poco idonea al consumo (nonostante nella serie si parli di pubblicità, e dunque di consumo) di massa (nonostante il suo successo per amare davvero la serie bisogna essere in grado di riflettere sul testo e sottotesto dopo la visione, tanto è stratificato). Una serie in grado di mantenere la propria integrità, un’opera testuale che risponde solo a se stessa e che conduce lo spettatore ad una sorta di latenza spazio-temporale. Il linguaggio e i dialoghi non hanno fretta; i movimenti di avvicinamento/allontanamento dai personaggi sono trattati con solennità e lentezza. La macchina da presa, poi, accompagna dolcemente le azioni dei soggetti senza sovraccaricare la scena.

Le vicende, ambientate negli anni sessanta, si svolgono presso la Sterilng Cooper, agenzia pubblicitaria newyorkese, che ha come unico scopo quello di sfruttare ogni vantaggio che il boom economico può offrire. Negli alti grattacieli di Madison Avenue una lista interminabile di mad men abbelliti, intriganti, tenta di dare l’assalto alla noiosa quotidianità della popolazione a colpi di slogan e annunci pubblicitari. Uomini sempre pronti a soddisfare i propri clienti e imporre i loro marchi attraverso le migliori campagne pubblicitarie.

Protagonista è Don Draper (Jon Hamm) uno dei manager, figlio illegittimo di una prostituta morta di parto. Don parte per la guerra di Corea e durante i combattimenti, quando un suo commilitone muore, lui decide di prendergli l’identità cancellando così il proprio vergognoso passato e nascondendo a chiunque, moglie compresa, la sua vera identità. Don Draper vive di vizi e lussi e, nonostante il matrimonio, è sempre in cerca di amanti.

Come la buona narrativa ci insegna, i personaggi convincenti sono quelli che non mostrano una sola peculiarità, ma convivono con  molteplici aspetti. E così i soggetti della serie sono sempre ambigui, da smascherare, delle cui azioni dubitare costantemente. Possiamo guardare questi copywriter con il sospetto di chi non si fa ingannare: dietro l’immagine c’è sempre e comunque la vita (e dietro ogni personaggio una persona). Ambiguità che caratterizza ogni personaggio: Salvatore Romano, art director gay, che non si accetta arrivando addirittura a rifiutare le avances di un affascinante collega pur di non ammettere una tale vergogna: «la mia fede cattolica non me lo permette». Moralmente più integro è il personaggio di Rachel Menken, presidentessa di un grande magazzino, che si contende il trono con Midge Daniels, illustratrice “proto-hippie” e fumatrice di marijuana.

Proprio nell’America del cambiamento, le donne conquistano un ruolo di primo piano. Le protagoniste femminili diventano così interpreti dei loro destini, entrando spesso in contrasto con i valori ed i ruoli sociali del tempo.

Una serie, scritta e pensata prima della profonda crisi finanziaria che l’America sta attraversando, e che sembra, al contrario, raccontare un mondo di competizione e una lotta tra economia e morale molto attuale. Basti pensare che cinismo e scorrettezza vivono già nel messaggio che accompagna l’intera serie: “non importa chi sei, cosa vuoi o quali siano i tuoi valori. L’unica cosa che conta è come ti vendi”.

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