Seduti sui giganti

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Sei bottiglie di soda caustica allineate per il corridoio. Sei sarebbero bastate. E tanta voglia di mettersi subito al lavoro, nonostante di tempo ce ne fosse in abbondanza per fare tutto.

Sei bottiglie di soda caustica allineate per il corridoio. Sei sarebbero bastate. E tanta voglia di mettersi subito al lavoro, nonostante di tempo ce ne fosse in abbondanza per fare tutto. Occorreva solo tenere d’occhio il telefono e sperare, ma in questo Giuliano era sempre stato un osso duro.

Prese uno dei bottiglioni e ne versò metà in un secchio di plastica e diluì l’acido con altrettanta acqua. Andò in cucina e prese il mocio, mescolò per bene i due componenti e iniziò a strofinare per terra. Prima di questo aveva spazzato a fondo, e ancora prima era uscito per comprare un albero di natale. Uno di quegli alberi di plastica da cinquantacinque euro, più le luci. Tante e colorate, non voleva dare in nessun modo l’idea che fosse stata una cosa risparmiata.

Passò il mocio sotto il tavolo della cucina e tra la stufa e il frigorifero. Alzò il cavo della piccola tv accesa che mandava una trasmissione sugli animali essiccati da qualche parte in Africa. Scimmie per l’esattezza che venivano poi mangiate in vario modo. Il presentatore era sconcertato dal fatto che accanto ai cadaveri delle madri, appunto essiccate, rimanevano per mesi a gironzolare i cuccioli. Giuliano non aveva la testa per pensare a cosa dicesse la tv e continuò a strofinare a lungo sopra le mattonelle finché non ne fu soddisfatto, allora le guardò e disse:

“Non è finita qui, tra poco do un’altra passata”.

Gettò via nel water tutta l’acqua che era diventata marrone, senza Carmen era difficile stare al passo con le pulizie in casa, ma era solo per un giorno e si erano dati dei compiti e lui li voleva rispettare. Andò in corridoio e prese il bottiglione già aperto e svuotò il resto nel secchio e diluì ancora con dell’acqua. Passò sotto al tavolinetto dell’ingresso e all’appendi panni che aveva riportato dal suo paese. Un tralcio di ciliegio i cui mozziconi di rami facevano da ganci per i capotti.

Strofinò per bene i contorni dei mobili e sollevò il tappeto d’ingresso e vide che si era formato un alone, ci passò un paio di volte lo straccio, ma non venne via. Prese uno dei bottiglioni di soda e ne mise una minima quantità sopra l’alone, attese qualche secondo e passò nuovamente il mocio, questa volta ne venne via una piccola parte, allora riapplicò la soda un paio di volte. Possibile che li sotto non c’avesse mai pulito nessuno o quell’alone era lì per una certa negligenza della famiglia che aveva occupato quella casa prima di loro?

Un’altra birra. Quanto tempo era passato dall’ultima? Mezz’ora, solo mezz’ora. Non poteva berne un’altra o non avrebbe combinato più niente. Strinse lo scopettone e continuò a lavorare. La tv era passata ad altro. Intervistavano una donna ora, una donna che viveva a Seattle e che aveva da poco acquistato per natale una bambola che simulava il battito del cuore di un bambino e il suo respiro. La donna aveva l’aria eccitata e mostrava la creatura nella culla, mentre “faceva il riposino”. L’avrebbe regalata alla sua migliore amica, una signora di nome Elen che abitava chissà dove.

Afferrò uno stuzzicadenti sul comò della cucina e tornò in salotto, aveva da poco fatto la nuova miscela. “Usa mezza bottiglia per ogni stanza”, gli aveva consigliato quel suo amico che da anni lavorava in una ditta delle pulizie e che gli aveva procurato la soda caustica. Era alla terza stanza e i fumi di quella roba sembravano micidiali. Nel secchio una densa schiuma friggeva e mandava un odore chimico. La cosa peggiore era che lo mandava al bagno. Da quando aveva cominciato sino a quel momento entrava e usciva per pisciare ogni venti minuti. Non è che mi sta venendo un cancro alla prostata? O forse sono le birre? Sì è più probabile le birre. Praticamente con la prima birra c’aveva fatto colazione, poco prima che Carmen chiamasse per dire che era arrivata.

Rigirò tutte le sedie del tavolo e iniziò a darci dentro, non sapeva a cosa era dovuto, ma quel pavimento gli sembrava davvero sporco. Si accostò ai termosifoni e si scaldò una mano che gli si era intirizzita con l’acqua gelida del rubinetto. Riprese il lavoro. Quelle mattonelle erano ricoperte di piccole macchie che se uno ci faceva attenzione erano infinite come i riflessi delle crepe su un parabrezza sfasciato. Una ragnatela di macchie.

La donna alla tv sembrava molto felice e dietro di sé aveva un campo di grano verde. Giuliano pensò che il grano non cresce a dicembre, almeno non nel suo paese e in quel momento squillò il telefono.

“Pronto”.

“Sono io…”

“Allora?”.

“L’ho appena visto…”.

“Oh Diavolo”.

“E con le pratiche?”.

“E’ tutto a posto”.

“Che vuoi dire?”.

La donna scoppiò a piangere e fece: “…che se tutto va bene siamo per cena a casa”.

Giuliano rimase in silenzio e ascoltò Carmen piangere e gli parve una cosa per cui valeva la pena aver fatto tanto.

“Per cena…”, ripetè con la voce tremante.

“Già”.

“Come?”.

“Per cena…”.

“Già per cena”.

“Compra qualcosa di buono, compra tante cose buone”.

“Va bene”.

“Ora devo andare”.

“D’accordo”.

“Riempi la casa”, aggiunse la moglie prima di riattaccare.

Guardò l’orologio. Erano passati solo quaranta minuti, ma non ce la faceva a resistere. Guardò le stanze pulite e il pavimento brillare e capì di aver fatto un ottimo lavoro e che meritava un premio. Andò in cucina e si mise seduto con una birra in mano. La tv della cucina e quella del salotto erano accese entrambe sullo stesso canale a tutto volume.

“E’ fatta, Dio ti ringrazio”.

Quanto aveva aspettato quella chiamata, quanto? Talmente tanto che ora si sentiva poco bene.

Lavò la stanza da letto per tre volte e il bagno, aspettò dieci minuti e riempì il secchio di soda caustica e acqua e lavò ancora una volta.

“Lo sapevo che sarebbe filato tutto liscio”.

“Lo sapevo. Era tutto in ordine… era tutto pronto”, disse con la bocca che si schiudeva in tanti sorrisi eccitati.

Spalancò le finestre che stavano all’altezza del soffitto e vide il manto stradale bagnato. L’acqua che le macchine spruzzavano sui vetri iniziò a gocciolare lungo le pareti e sulle piastrelle. Giuliano poggiò la birra e mise uno straccio sotto il muro e attese che il locale non sapesse più di chimico. Prese uno dei cuscini del letto e iniziò a sventolarlo avanti e indietro, si fermava e odorava e ricominciava, così per tutte le stanze. Ci vuole aria fresca, anche se mi si riempie il salotto di melma.

Lo straccio si inzuppò di acqua sporca e divenne nero, ma per il momento non si allagò niente.

Non dovete pensare che fosse un seminterrato deprimente, aveva parecchi vantaggi pensandoci bene e Giuliano se li ricordava tutti quanti e si sentiva bene, aveva fatto scelte giuste. Guardò lo stuzzicadenti che aveva in bocca, era zuppo di saliva e morbido, ma ancora buono da succhiare.

Dopo aver fatto arieggiare il locale mise tutte le sedie a terra e chiuse le finestre e si infilò la giacca. Andò al negozio all’angolo e comprò un trasformatore per le lucette. Tornò a casa e si accorse di aver lasciato le due tv accese e la cosa lo fece sorridere e capì di aver lasciato la testa in un mondo meraviglioso. Tirò fuori dall’involucro l’albero e iniziò a montarlo sopra il tavolinetto del salotto e quando finì si accorse che la punta pendeva un bel po’ verso sinistra. Era un albero gobbo. Provò a raddrizzarlo, ma la plastica del fusto si era viziata in quel modo. Cominciò a decorarlo. La tensione e l’adrenalina gli facevano ballare le gambe.

Le palle erano di due diversi colori. Dispose in fila quelle blu e ammucchiò su un lato quelle rosse. Cercò una sistemazione geometrica. Mise le rosse a spirale e tra due palle rosse ce ne infilava una blu, perché le blu erano in numero minore e l’albero venne davvero bello. Mise le luci e scese dalla scala. Osservò il lavoro. Alla tv la donna continuava a illustrare il funzionamento della sua bambola e ne faceva vedere i vari modelli in produzione.

“Se voi mettete l’orecchio sul pancino sentirete il cuore battere”, diceva la signora di Seattle.

Il telefonò squillo di nuovo.

“Pronto?”.

“Tesoro è qui, l’hanno portato nell’altra stanza. E’ tutto in ordine…”.

“E’ tutto davvero in ordine”.

“Prendiamo il treno delle tre…delle tre”.

“E non dovremo più preoccuparci?”.

“No, è fatto”.

“Ne sei sicura?”.

“Oh piantala, se ti dico che è fatto, è fatto”.

“Oh Dio ti ringrazio”.

“Ti prego riempi il frigo di cose buonissime e aspettaci”.

“Dovresti vederlo”.

“E’ felice?”.

“Non lo so a me sembra di sì”.

“Ora devo andare”.

“Fai attenzione”.

“Non ti preoccupare”.

Mentre riagganciava sentì sua moglie gridare:

“Sai cosa ha fatto?”.

“No… che cosa”.

“Credo che mi abbia sorriso, lui lo sa”.

L’uomo appese la cornetta e andò al frigo e prese un’altra birra che mandò giù con tre sorsate. Gli venne da vomitare perché la birra era ghiacciata, ma poi iniziò a ridere e così rimase per un po’. Aveva mille motivi valide per ridere di cuore e mille per piangere. Ma quel giorno l’ago della bilancia cadde sui mille per ridere.

Lo stomaco gli si contraeva e le lacrime gli uscivano dagli occhi dallo sforzo. Rise e non sentì le guance tirargli e gli addominali dolergli. Tornò in salotto e collegò la presa del trasformatore alla presa del muro e l’albero si accese in mille luci colorate, era proprio un bell’albero storto.

Rimise tutti gli involucri di plastica nello scatolone dell’albero e pensò di avere fame. Adesso mi cucino qualcosa e poi preparo la cena.

Tutta quella birra l’aveva fatto ubriacare. Andò in cucina e mise sul fuoco l’acqua e si preparò un pasto veloce, poi guardò l’orologio e la cucina. Gli sembrava che tutto fosse al suo posto e gli venne in mente che forse avrebbe dovuto fare una doccia prima di uscire e così la fece e mise un buon paio di pantaloni e la sua migliore camicia.

“Non è un cattivo posto dove tirar su un bambino. Non lo è per niente”, disse tra sé e passò lo sguardo per ogni dove della casa.

Si ricordò del regalo, il regala che aveva ordinato il giorno prima in un negozio fuori mano e che non aveva ancora montato. “Stai tranquillo c’è tempo”. Andò in camera da letto e tirò via da sotto il lettino, che aveva messo il giorno prima, la scatola. Era un triciclo. Prese dai cassetti il set di chiavi a brugola e mise in fila le viti e i bulloni. Cominciò a lavorarci su. Fece fare due giri in più del necessario ai bulloni e provò se reggeva. Era stabile come le spalle di suo nonno. Per certe cose vale la pena davvero spenderci un po’ di tempo o forse tutto il tempo che Dio c’ha dato, perché certe cose sono eterne e questa cosa è molto difficile da capire.

Andò al supermercato a circa seicento metri da dove abitava e prese un carrello, c’era la coda alle casse, ma era presto e tutto era in ordine quel pomeriggio, il suo viso, i suoi capelli, le sue scarpe, anche il tempo. Si era organizzato bene, era stata una mossa azzeccata svegliarsi all’alba e sistemare tutto quello che c’era da sistemare. Bisognava avere pazienza, ma Giuliano non era così convinto di averne.

Riempì il carrello di carne e bottiglie di vino. Non guardò nessuna offerta, prese quelle con l’etichetta più bella. Prese dagli scaffali i biscotti che più gli sembravano adatti a un ragazzo e i cereali. I cereali sono importanti. Ne prese al cioccolato e i Rice Crispies e due cartoni di latte. Prese una crostata di ricotta e cioccolato e delle olive piccanti. Portò il carrello alla cassa e lo svuotò sopra e pagò senza pensare a quanto stava spendendo e la cassiera gli sorrise perché aveva l’aria impacciata.

Le buste erano troppe e questo non lo aveva calcolato. Ma Giuliano era un osso duro e ne mise una ogni due dita e ogni cento metri si fermava per far risposare le mani. Lui lo sapeva e anche sua moglie. Quel sottoscala non era un cattivo posto dove far crescere un figlio, era un buon posto che era costato e che continuava a costare fatiche e questo, sopra ogni altra cosa, gli dava la quasi certezza che era un buon posto. Certo non il migliore, ma andava bene.

Tornato a casa si mise a preparare la cena, anche se era presto, non importava. Mise il canale dove spesso a quell’ora davano i programmi di cucina e ne trovò uno. Non aveva molte idee, così guardò quello che preparava il cuoco. Era una pasta e la salsa veniva fatta con le uova fresche di spigola. Una sacca arancione veniva aperta longitudinalmente e ne colavano via tante piccole sfere che diventavano grigie nell’olio caldo come cenere su uno stagno. Giuliano non aveva quegli ingredienti e iniziò a tirare fuori alla rinfusa dalle buste, con le mani doloranti, le scatole e le bottiglie.

Andò in salotto e trovò lo straccio inzuppato di acqua sporca e un piccolo laghetto. Come poteva giustificare un laghetto nel salotto a Carmen? Non ci voleva. Prese un rotolo di scottex e iniziò a tamponare e alla fine si trovò una montagna di carta nera alle spalle e il lago prosciugato. La montagna nera era ancora più difficile da giustificare. Così il bambino può imparare a controllare il triciclo in discesa? Raccolse due buste di carta e guardò la finestra. L’aveva chiusa male.

Lessò i fagiolini e preparò il peggiore purè di patate che avesse mai assaggiato. Marinò la carne con rosmarino, limone e pepe e ci aggiunse un po’ di salsa worcester. L’odore era delizioso. Le avrebbe infornate quando loro sarebbero arrivati. Ripose il resto della spese nei cassetti, poi lo tirò nuovamente giù e preparò una frittata, era possibile che al ragazzo non piacesse la carne. Un bella frittata per il suo nuovo figlio. Non aveva mai avuto un marmocchio, eppure c’aveva provato tanto con Carmen, ma ora non importava.

Quando tutto fu finito aprì un’altra birra, ormai la sbronza gli era passata, e si accomodò sul divano. I letti erano pronti e la casa pulita, la cena in tavola. Bevve piano la sua birra, guastandosela come un uomo dopo una giornata di lavoro che ammira la sua opera. Si sentiva seduto sui giganti.

 

Ringrazio Giuliano per questa sua vera storia accaduta qualche settimana fa a Rieti.

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