La fiera dei sogni

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"Lei è un giornalista?". L’uomo risponde di sì, ma subito sembra pentirsene perché il signore che gli ha fatto la domanda (cinquantenne, giacca e cravatta, loden verde) ha già tirato fuori dalla tasca un piccolo libro e ha cominciato a decantarne i pregi,
Foto di Alessandro Torrelli

 

 

 

 

 

 

“Lei è un giornalista?”.
L’uomo risponde di sì, ma subito sembra pentirsene perché il signore che gli ha fatto la domanda (cinquantenne, giacca e cravatta, loden verde) ha già tirato fuori dalla tasca un piccolo libro e ha cominciato a decantarne i pregi, l’idea di fondo, la raffinatezza, gli ottimi contenuti “sebbene pubblicato da una piccola, quasi sconosciuta casa editrice”. Il giornalista è sulle spine, troppo educato per tagliare la conversazione in maniera brusca si schermisce: “Mi dispiace… non sono del settore… mi occupo d’altro”. Lo scrittore incalza, vorrebbe una recensione, una parola autorevole su un giornale autorevole che schiudesse al suo libro le porte della gloria letteraria. E poiché l’interlocutore non sembra in grado di fornirgliela, gira le spalle e se ne torna a caccia.
Roma, Palazzo dei Congressi, fiera della Piccola Editoria. Venerdì pomeriggio.
A uno stand si avvicina una donna: “Sono una grafica, accettate un curriculum?”. Rispondono di sì, le si accendono gli occhi, apre una borsa, cerca un foglio. Prima di lei, allo stesso stand s’è accostato un ragazzo: ha guardato qua e là facendo finta di essere interessato alle novità editoriali, in realtà racimolando il coraggio per chiedere: “In questa sede si prendono in considerazione inediti?” come ha poi fatto con voce bassissima quasi vergognandosi (ma perché?) dell’azzardo e subito dileguandosi dopo la risposta negativa dell’addetta all’ufficio stampa.
L’episodio mi ha riportato alla mente le parole di Pupi Avati che poco prima, parlando di una sua biografia appena pubblicata, ha detto: “Bisogna avere un grande sogno dentro, e lottare per esso, non arrendersi alla logica del qualunquismo che vuole vincenti solo i raccomandati”. E ha raccontato di sé, di quando a Bologna era un funzionario della Findus che voleva fare il cinema. Un vagheggiamento contro la stabilità del posto fisso. Ha azzardato, ha rischiato il fallimento (due film disastrosi che scatenarono la beffa della città e una pernacchia memorabile) e adesso? “Ogni film è una lettera d’amore che invio alla mia città, a tutte le fidanzate che non mi hanno voluto…”.
Si vendono sogni alla Fiera della Piccola Editoria? Si comprano sogni? Perché no?
Continuo a camminare tra i banchi: libri per bambini, storie di viaggio, la Bibbia, le farfalle, i canguri e poi Carver e Christa Wolf; davanti a VerdeNero (che pubblica libri che trattano di ecomafia) c’è Lucarelli, vestito di scuro, infreddolito: è appena arrivato, si toglie il cappotto e cerca una penna per le copie che dovrà firmare.
Dietro di me due signore: “C’è meno gente quest’anno” dice la bionda.
“Vedrai domani, non si potrà neppure respirare” risponde l’altra.
Un uomo con una macchina fotografica ci blocca: “Un attimo di pazienza, scusate, potete avvicinarvi, sfogliare le nostre pubblicazioni?”. E prima che possiamo replicare già scatta: una foto e un’altra e un’altra ancora. Ci allontaniamo quasi di corsa.
Mi fermo davanti a un banco che espone libri dalle copertine coloratissime.
Alcune signore sfogliano con voluttà le pagine di volumetti dall’aria esotica. M’incuriosiscono:
“Cosa vi piace leggere?”.
“Di tutto” risponde una.
“Purché di buona qualità” precisa un’altra.
Così c’è chi impazzisce per Gioconda Belli, chi per Carlotto, chi cerca i libri di Lia Levi, chi non sa decidersi e guarda, apre, legge a caso: un incipit, un risvolto di copertina. Mi trovo a raccomandare Sonno, il nuovo romanzo di Roberto Tiraboschi, che schiude le porte al fascino misterioso del mondo notturno, dei suoi disturbi, delle straordinarie rivelazioni.
Alcuni cercano letteratura araba, altri noir e thriller, c’è chi vuole evadere e chi vuole trovare nelle storie di genere qualcosa in più del semplice plot. C’è chi compra libri per sé, chi per regalarli, chi vuole opere di denuncia sociale, chi preferisce le classicissime storie rosa. Poi ci sono i promoter, che parlano con gli editori di magazzini e rifornimenti, statistiche, supermercati che tirano di più, titoli ai primi posti nelle classifiche. Ci sono i ragazzi di un istituto tecnico che fanno esperienza come venditori. La prof che li accompagna sta per andare in pensione ed è ben contenta di esserci arrivata: “E’ difficilissimo avere a che fare coi ragazzi di adesso, irriducibilmente maleducati e ignoranti, ragazzi per cui Bixio è Biperiò”, e siccome là per là non afferro, scandisce: “BI per IO”. Sarà. Io ho un’altra percezione dei ragazzi, ho esperienza di bambini che leggono molto, di adolescenti che non si lasciano mangiare il cervello da Internet e trovano il tempo per perdersi dentro il grande Fantasy. La prof scuote la testa, mi guarda come se venissi da un altro mondo. Un po’ come mi guardano quando, parlando dei siciliani, affermo che non sono necessariamente mafiosi, sporchi e ignoranti, che la cultura dell’illecito alligna ovunque, che la propensione malavitosa non dipende dalla latitudine, dalla quantità di sole che brucia le sinapsi di chi non è protetto dalla Grande Nebbia. Ma sto divagando. Dunque, Fiera della Piccola Editoria, ore diciannove, al bar del piano superiore: ci si incontra tra colleghi, un caffè, una proposta: “Ti andrebbe di…” collaborare, partecipare a una iniziativa? E si parte a illustrare il progetto, si cercano elementi comuni, temi, si azzardano persino ambientazioni per un giallo a più mani. Possibile? Si può sempre provare.
Poi la domanda inevitabile che qualcuno prima o poi spara a bruciapelo: “Stai scrivendo?”. Mai rispondere esplicitamente, ragazzi, mai! Glissare, dire e non dire, e se proprio vi mettono alle strette: mentite! Spudoratamente mentite. Non è lo scrittore un mistificatore, un giocoliere, un saltimbanco? E allora arrampicatevi sugli specchi, camminate sui chiodi, ballate sui cocci aguzzi, riempitevi la bocca d’alcol e sputate fuoco, ma della storia vera, di quella che veramente vi sta a cuore, nulla!
Intanto il caffè si è raffreddato nella tazzina, due bimbe coi capelli lunghi mi guardano da lontano, la più intraprendente batte con l’indice destro il polso sinistro.
“E’ tardi” dico alzandomi.
Raggiungo le bimbe e il loro papà e insieme torniamo giù, tra gli stand, a cercare una bella, bella storia da leggere stasera prima di andare a letto.

Foto di Alessandro Torrelli

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