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Piante rare e preziose (prima parte)
Piante rare e preziose (seconda parte)
Piante rare e preziose (terza parte)
– Dopo i ‘piccoli viaggi’ e i ‘primi grandi viaggi’, in Africa e centro-America arriviamo alla scoperta dell’Oriente… Perché lasciarlo per ultimo?
L’Oriente nel mio immaginario era di riserva. Sapevo che stava lì e che mi sarebbe piaciuto. Come la ciliegina sulla torta. Alcuni la mangiano per prima, altri per ultima; ci si potrebbe fare uno studio della personalità…
– Oh, per favore! …Ce ne hai già proposto uno attraverso le piante preferite; uno guarda una pianta, e si trova catalogato!
Ma se non cerchiamo di capirci qualcosa, del mondo restano solo da guardare le figurine!
– Cominciamo con quelle, intanto!
Bon. La porta dell’Oriente per me è stato lo Sri-Lanka. Da lì l’India è ad un passo, da fare più nella testa che nel mondo fisico. Poi si prende coraggio e ci si allarga, in cerchi sempre più ampi. È una storia lunga; una sequenza di coincidenze – potremmo chiamarle serendipità – di quelle che i viaggiatori imparano a riconoscere e, come da un’onda, a farsene portare.
– C’è una pianta particolare che ha fatto da chiave d’accesso?
Tutto il mondo vegetale lì è meraviglia! Dell’incontro con una particolare thunbergia (Thunbergia mysorensis: di Mysore, India) già si è parlato, per una certa suggestione… [V. su “O”: Mudilla & le altre. Esperienze di un giardino ai tropici del 21.01.07]. Ma il genere thunbergia ha un’ampia variabilità di portamento, forme e colori. Alcune di esse si possono acclimatare anche da noi, con un minimo di attenzioni durante la stagione fredda.

Ma la meraviglia ti prende appieno quando cominci a trovare nelle siepi, lungo i bordi delle strade, le piante che fino ad allora avevi visto solo nei libri o in alcuni negozi di fiorai; di quelli elegantissimi, dove si va solo per guardare le vetrine. La Gloriosa superba è una di queste!


– Sei andato da turista?
Solo la prima volta; anzi il salto fondamentale di esperienza è stato proprio dismettere i panni e l’habitus mentale del turista e fermarmi a vivere sul posto per un paio d’anni; anche questo è stato possibile per una serie di fortunate circostanze.
Vivere in un luogo è ben diverso che visitarlo; l’interazione con i locali cambia; di colpo diventano ‘i vicini’! Devi andare al mercato, vai a fare compere nei negozi (non per turisti!); impari a cucinare ‘all’uso locale’…
– Quindi grande esperto di curry?
Si, con le centinaia di sfumature quanti sono i curry possibili, cioè praticamente infiniti: in generale si distingue una fascia costiera che utilizza il cocco (il latte, la polpa o il temibile olio) e l’interno del subcontinente indiano, incluse le regioni montuose del Kashmir, che fanno dei curry senza impiegare il cocco.


– Rimaniamo all’Oriente e alle sue meraviglie, che poi sono anche scoperte di modi di pensare e di utilizzare i simboli.
Sì, l’Oriente è permeato di superstizione e simbolismi di ogni genere. Ne ha dato una testimonianza fedele Tiziano Terzani – soprattutto con due dei suoi libri: “In Asia” e “Un indovino mi disse”.
Gli orientali prendono molti simboli dal mondo delle piante; su queste pagine, raccontando sempre di giardini, abbiamo già incontrato l’albero Bo, sacro a Buddha (Ficus religiosa: V. su “O” Mudilla & le altre. Esperienze di un giardino ai tropici del 21.01.07], dalla cui foglia, si dice, sia derivata la forma a pagoda dei templi locali (Dagoba o stupa). Anche il motivo del fiore del loto è ricorrente, nella simbologia buddista.


Ma l’intrusione del ‘magico’ è capillare nella vita di tutti i giorni, così come nei rituali legati alla salute e alla forma fisica. In tutto l’Oriente, la religione – o meglio, la superstizione – permea ogni aspetto della vita sociale: non c’è matrimonio, inizio di impresa, costruzione di casa che non richieda il preventivo consulto di indovini e veggenti. In Sri-Lanka sono i monaci buddisti ad avere il controllo di queste funzioni.
– Lo Sri-Lanka è davvero il paradiso botanico che si dice?
Si, davvero! L’orto botanico di Kandy è uno dei più antichi e ricchi di tutta l’Asia; preesisteva alla dominazione inglese, ma fu da costoro organizzato con criteri moderni e attualmente, con un’estensione di circa 60 ettari, attraversato da un fiume, è una tappa irrinunciabile del giro dell’isola.


All’interno dell’isola, nella zona montuosa di Nuwara Eliya ad un’altitudine tra i 1500 e i 2000 m., una meraviglia assoluta sono le colline del thé. Le piante del thé, che vengono continuamente cimate per raccoglierne le foglie, diventano come dei bonsai, dell’altezza di poco superiore a 1 m., che coprono intere colline; tra di essi si aggirano i sari variopinti delle raccoglitrici. Uno spettacolo indimenticabile.



– Torniamo a parlare dei viaggi: perché si viaggia?
Come diceva Moravia, che era un viaggiatore instancabile, uno pensa di fare un viaggio nello spazio, in un luogo geografico, invece il più delle volte si trova a farlo nel tempo e nella memoria. Qualche volta nel futuro – per chi ama questo genere di perversioni: per esempio andare in America per vedere come saremo tra qualche anno; più spesso nel passato, a rivivere ‘come eravamo’ trenta – cinquant’anni fa. Un universo bucolico, pre-industriale, in cui il fuoco era ancora presente nelle nostre case e il cibo sapeva di affumicato. A questa vita è strettamente associato il ricordo di noi stessi da giovani; quando il mondo era nuovo e il tempo sembrava infinito.
– È l’unica motivazione?
Nei due anni che sono vissuto in Sri-Lanka, ho raccolto le esperienze degli amici che mi venivano a trovare. È una posizione privilegiata quella di chi sta fermo in un posto, più o meno fuori dalla mischia. Ci ho pensato di recente, leggendo ‘Caos calmo’, di Veronesi. Ricevevo lettere, mail e confidenze come mai più è successo, in altri momenti…
– Cosa raccontavano del viaggio in particolare?
Motivazioni diverse; molti erano spinti da qualcosa di indistinto che provavano a definire, magari proprio in quel momento con me, facendo quattro chiacchiere sotto le palme…
Qualcuno diceva che voleva riposare e stare tranquillo con gli amici; ma poi, nel discorso, affiorava qualche problema irrisolto, come se il viaggio fosse una diversione, un modo per prendere tempo. Qualcuno raccontava, nel modo più classico, che “stava cercando se stesso” e dopo aver guardato dovunque in casa, anche nei cassetti più riposti, andava a cercare fuori. Alcuni dicevano di essere venuti per la pesca subacquea, o per il surfing, ma certo c’entravano anche in senso di libertà, l’avventura, il mettersi alla prova e la sfida del nuovo. Altri erano alla ricerca di una vita meno complicata; di obbiettivi non più lontani del giorno successivo. Certi altri, da sempre interessati ai viaggi e alla conoscenza di altri modi di vivere, semplicemente facevano tappa da me, prima di altri balzi verso l’Oriente misterioso.
Per la maggior parte di loro, il viaggio era la ricerca di un ‘altrove’, il luogo mitico della fantasia, tanto più bello e desiderabile quanto più lontano; arrivarci e viverci l’avrebbe reso in qualche modo banale e da abbandonare al più presto; inutilizzabile al fine di continuare a sognarci sopra.
– Capisco… Tante motivazioni diverse ma forse nessuna fondamentale. Mi viene da pensare a una canzone che parla di un soldato… Un soldato che cavalca nella notte… e galoppa, galoppa (Oh.. oh… cavallo oh.. oh…) per sfuggire alla morte…
Si, quest’illusione è molto presente! Prima ancora che in ‘Samarcanda’ di Roberto Vecchioni, nell’ultimo romanzo di Somerset Maugham (‘Sheppey’, 1933) e in ‘Appointment in Samarra’ (1934), di John Henry O’Hara. Entrambi riprendono una novella medio-orientale che racconta questa storia:
“C’era a Bagdad un mercante che mandò un suo servo al mercato per fare provviste, ma il servo ne tornò ben presto, pallido e tremante, e disse: «Padrone, poco fa, mentre ero al mercato, fui urtato da una donna nella folla, e quando mi volsi mi accorsi che era stata la morte in persona, ad urtarmi. Mi guardò e mi fece un gesto minaccioso. Te ne supplico, prestami il tuo cavallo e io abbandonerò questa città per sfuggire al mio destino. Andrò a Samarra (Samarcanda – Ndr), dove la morte non potrà mai trovarmi.» Il mercante gli prestò il suo cavallo più veloce, il servo montò in sella e spronando a sangue l’animale, partì al galoppo.
Allora il mercante si recò alla piazza del mercato e scorse la Morte fra la folla. «Perché hai fatto un gesto minaccioso al mio servo, stamane?» le chiese avvicinandosi. «Il mio gesto non era di minaccia, bensì di sorpresa» rispose la Morte. «Ero stupita di vederlo a Bagdad perché avevo un appuntamento col lui questa notte a Samarra.»”
– Esatto… Non c’è, al fondo di tutte risposte che hai raccolto, il tentativo di ingannare la ‘Nera Signora’?
Forse, ma è talmente inutile accertarlo che conviene lasciarlo nell’indistinto
– Torniamo alle piante e ai viaggi, allora… Qual’è stato il tuo viaggio più alieno?
Quello in Cina, un mese intero nel ’94, tra Hong Kong (ancora città internazionale, prima dell’annessione alla madrepatria del 1997), la Cina continentale e Taiwan: tutte e tre Cina, eppure diverse.
– Impressioni del viaggio? Piante particolari?
Strano posto la Cina; confesso di non essere riuscito a capirci molto. Ovvero, non so se c’è altro da capire, oltre a quello che è sotto gli occhi di tutti… Che si sono ubriacati di modernità e di spirito di rivincita a qualunque costo. Ma questo si percepisce soprattutto nelle grandi città.
L’attenzione orientale per la natura è testimoniata dai giardini storici e da alcuni parchi, dalla cura per le piante e per i bonsai; ma tutto è svilito da orde di gitanti da poco approdati al benessere, che coprono le poche testimonianze del passato con le tracce del loro passaggio. Eppure il viaggio tra le minoranze etniche – partendo da quelle al confine con la Birmania e proseguendo verso est – è stato interessante.
Poche vestigia dell’antico. Oltre alle distruzioni operate nella storia recente, ci spiegavano come una cultura che utilizza il legno e la terracotta per le sue costruzioni, non lascia grandi monumenti dietro di sé; non piramidi, non Colossei… Giusto qualche vaso di porcellana dell’epoca Ming.
– …E un esercito di statue di terracotta!
Appunto, che si sono conservate perché erano nascoste sottoterra! Ma la loro cultura millenaria sembra volatilizzata; quella che lasciò a bocca aperta i primi esploratori e missionari; una completa e originale rappresentazione del mondo, l’arte di incanalare le acque, di disegnare i giardini…
– Senza dimenticare la polvere da sparo e i fuochi d’artificio!
Senza dimenticare… Ma questa cultura e delle tradizioni millenarie si stanno perdendo nello spazio di poche generazione, sopraffatte dal successo planetario e dal nuovo che avanza. Anche se tra le minoranze etniche sembrava di rivivere nel passato…



Certo la Cina sembra proprio un altro pianeta; a volte dovevo guardare le piante per ricordare che eravamo ancora su questa terra! In proposito, mi piace qui ricordare ancora una volta le parole del non dimenticato Ippolito Pizzetti, maestro di Botanica Applicata (alla vita!):
“…spesso, trovandomi tutto solo in un paese straniero, mi è capitato di essere sopraffatto da un senso di disorientamento e d’angoscia. Così, per trovare qualcosa di familiare a cui ancorarmi, nella grande anonimità circostante, cominciavo a guardare le piante, che dovunque ci si trovi, parlano sempre il medesimo linguaggio…”
[Da: Ippolito Pizzetti. ‘Pollice Verde’ – BUR/Manuali 1a ed. Giugno 1982]
– Vogliamo arrivare con questa introduzione a qualche viaggio con problemi?
Beh! Momenti critici in un viaggio ce ne sono sempre, ma un’esperienza di completo spaesamento l’ho vissuta proprio in Cina.
– E racconta…
Non so adesso, ma nel ’94 non era possibile muoversi in Cina da soli. Tutte le agenzie di viaggio dovevano contattare l’organizzazione locale (China Travel Service) che disponeva gli opportuni accompagnatori ad ogni tappa del viaggio; solo durante gli spostamenti non si era scortati. Ora era accaduto che il primo accompagnatore ci aveva messi sul treno da Kunming per Guilin, dove saremmo dovuti arrivare alle quattro di notte. Ma per un disguido (noi dormivamo; il personale di bordo non ci ha svegliati) abbiamo proseguito la nostra corsa, oltre Guilin, verso la Cina profonda. Forse non si comprende appieno cosa significhi non riuscire a capirsi. Alla scoperta dell’errore, né a parole, né con i gesti, né dispiegando la carta davanti al personale del treno e a tutti gli altri che ci si erano nel frattempo radunati intorno, è stato possibile capire dove eravamo. Tutti unicamente preoccupati delle conseguenze di quella disattenzione, per cui non volevano neanche farci scendere alla successiva fermata per tornare indietro. Avremmo poi scoperto che l’agente che ci attendeva a Guilin aveva passato una notte d’inferno alla stazione, dove noi saremmo arrivati solo la notte successiva, dopo varie altre avventure. “Due turisti italiani dispersi in Cina!”: avevamo causato un incidente diplomatico!
– Altri problemi, con un viaggio?
Posso ricordare un viaggio-disastro. In Indonesia. Ero ospite di un mio amico che faceva import-export di mobili e oggetti d’arredo con l’Italia e si era stabilizzato laggiù, in un paesino di Giava centrale, con local wife & sons; la sua ospitalità fu squisita. Andammo poi a Bali e lo accompagnai nei suoi giri di approvvigionamento di materiali. Ho ricordi strabilianti soprattutto di Ubud, un villaggio dell’interno dell’isola.
– Cosa non funzionò allora?
Mi portavo una negatività addosso per certe mie vicende personali che ebbero ripercussioni su tutto il viaggio! A parte l’umore, mi squarciarono le valige, dimenticai delle orchidee che avevo comprato, sparì il biglietto di ritorno che avevo depositato nella cassaforte del mio amico. Passai non so quanti giorni all’aeroporto di Semarang, cercando di procurarmi il biglietto per tornare in Italia, senza doverlo ricomprare a tariffa doppia…
– Non era un film di Spielberg, con Tom Hanks: The Terminal?
Non a quei livelli, anche se per alcuni aspetti mi ci sono ritrovato. Comunque non fu proprio tutto nero: ricordo che nell’albergo dove ero alloggiato c’era un’orchestrina di musica gamelan… Quella musica aveva fatto da colonna sonora a tutto il mio soggiorno, specialmente dalle parti di Bali, insieme al profumo del vetiver, per la parte olfattiva… È tra i ricordi più profondi che conservo, di quel viaggio (…insieme alla sfiga!). La musica gamelan è discreta e pervasiva; sembra in naturale risonanza con il suono cristallino delle acque, che costantemente accompagna ogni attività, a Bali e dintorni. ‘La musica dell’arcobaleno’, dicono i nativi.
– Beh, senza quel contrattempo non avresti potuto approfondire le tue esperienze con la musica gamelan!
Si può dire anche così!
– Ma riuscisti a tornare a casa alla fine?
Lasciamo stare quel viaggio di ritorno! L’ho tanto trasfigurato nella memoria che non ricordo neanche di aver preso aerei…
– A no? …E cosa, invece?