Quando scrivo su “O” la rivista di Omero, parlo spesso di autenticità, di verità nell’arte. Un’opera artistica, secondo me, deve avere infatti dei caratteri ben precisi: cuore, sangue, cervello, anima. Non è un caso se i tempi che viviamo ci presentano troppo spesso libri, film, dischi, spettacoli che sembrano usciti dalla catena di montaggio del senso comune o del facile guadagno. Dico questo perché un giorno stavo guardando Mtv (o forse All Music… boh, e chi se lo ricorda?) e mi imbatto nell’ultimo video di Marco Conidi… Marco Conidi ha una quarantina d’anni ed è un cantautore romano conosciuto, ma non famosissimo (non ai livelli, che ne so, di Daniele Silvestri, o di Max Gazzè, o di Niccolò Fabi); ha comunque un fedele e compatto seguito di fan. Quando lo vedo in video, con i capelli corti e ingrassato, mi viene da dire: “Ammazza come s’è inquartato questo!”; poi ascolto la canzone. Mamma mia quant’è bella: Ti do di me. È la miscela riuscitissima, citando il Calvino delle Lezioni americane, di leggero/pesante; un testo che parla di un addio e della tristezza per una storia d’amore che finisce, e una musica che è un trascinante vaudeville, con sonorità che fanno pensare a Paolo Conte, alle orchestrine di paese, a quei musicanti lunatici che camminano per le strade con il loro bagaglio di vitalità e sofferenza, e con la voglia insopprimibile di cantare, di gridare alla luna. Una ventata d’aria fresca nella palude della musica italiana che celebrerà il suo triste spettacolo a Sanremo… Comunque, ‘sta canzone mi piace troppo. Dopo qualche giorno vado in un negozio a cercare il nuovo cd di Marco Conidi, Miracoli non se ne fanno (splendido titolo). L’album non delude le attese; si sente che qui dentro, in queste canzoni in bilico perfetto tra rock, pop e folk, c’è appunto un’anima, un cuore, dei muscoli che pulsano forte al ritmo della vita (nell’album spiccano, oltre al singolo già citato, soprattutto L’amore viaggia, Il canto delle nuvole, Miracoli non se ne fanno, Che cos’è, E’ stato un piacere, Camminando a stelle spente… insomma quasi tutte le canzoni). Quello che scrive Marco sul suo sito (www.marcoconidi.com) e sulle note di commento all’album sono la conferma della passione che mette nella musica che fa, nel rispetto che offre al pubblico con la sua autenticità, la sua schiettezza. E poi c’è il gioiello finale dell’album, la canzone-bonus track, una perla musicale che annichilisce, sbaraglia, manda a casa tutto il cantautorame della generazione di Conidi: Mamma Roma (Daniele Silvestri, una canzone così, se la sogna la notte). Un verso che ti penetra dentro al cuore come un coltello bollente: “perché ahi, ahi, ahi qui l’amore nun basta mai”. Una musica lancinante, struggente, malinconica che l’orchestrina raccolta da Conidi suona tra le macerie di questo paese piegato dal dolore: chiudi gli occhi e guardi passare un corteo con in testa la “Mamma Roma” Magnani, e poi Pasolini, l’accattone Franco Citti, , la Ferri di “Dove sta Zazzà?”, la Gelsomina Masina de “La strada”. Un corteo che non la manda certo a dire: “Quanto tempo ce vorrà/Qui la gente nun impara/e nun è una novità”. E tu non puoi far altro che cantare a squarciagola con loro, per gridare al cielo tutta la tua rabbia, tutto il tuo dolore. Era tanto tempo che una canzone italiana non mi faceva emozionare così… Miracoli non se ne fanno è un prodotto genuino dai forti e fragranti profumi, un prodotto che spero non corra il rischio di perdersi dentro l’offerta di cibi sintetici dell’odierno panorama musicale. Sarebbe una grossa ingiustizia. Anche se “qui l’amore nun basta mai”.