Sembrava ormai un ricordo degli anni Cinquanta e invece, dopo il 1984 l’ex capolinea della ferrovia Berlino – Amburgo fu restaurata ed oggi, Hamburger Bahonhof è il museo d’arte contemporanea più importante del capoluogo tedesco. Il museo vuole essere un luogo del presente dove è previsto spazio espositivo e mentale per oggetti eterogenei, che vive e cresce animato da incontri con artisti, concerti, performance, dibattiti in pubblico.
Tutti siamo artisti – afferma Joseph Beuys, con la sua faccia da uomo d’avanguardia. Possiamo sentirlo parlare a piacere dallo schermo di uno dei computer installati in una comoda saletta al primo piano dell’Hamburger Bahonohf. Se cambiamo programma, nel computer possiamo vedere sempre Beuys sfilare, per esempio a Basilea durante il carnevale, mentre firma sulla schiena gli abiti della gente per strada e sistema un mucchio di bastoni e pezzi di legno colorati, reperti della festa, Beuys intervistato alla televisione, Beuys con gli allievi, Beuys che progetta la creazione di una Scuola Internazionale di Creatività, a Dusseldolf nel 1972.
E’ giusto che lo si possa digitare,mi avvicino tentoni verso i suoi lavori,senza capire inizialmente quello che mi è presentato, ma attratta per un irrefrenabile potere di seduzione…
La sua opera risulta pertubatoria, straziante, dolorosa.
Nasce a Krefeld nel 1921, ma diceva di essere nato a Kleve. Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo vede arruolato prima come operatore radio, in seguito come aviatore. Nel 1943, il suo aereo viene abbattuto e lui viene salvato da un gruppo di nomadi tartari in Crimea. Negli Stati Uniti conosce Andy Warhol, suo carissimo amico che può essere considerato in un certo senso la sua antitesi ideologica, ma anche il suo ispiratore di arte visiva.
Perfino le manifestazioni più inoffensive sembrano mostrarsi minacciose, la sua sensibilità artistica riesce a provocare quella sensazione. Non posso evitarlo, le sue opere mi provocano inquietudine, i suoi sforzi si inchinano verso il tentativo di cambiare la società, poco importano i simboli, i riferimenti nascosti. Le Sue opere respirano, c’è dentro una pienezza di senso, la possibilità che il mondo, la società, l’essere umano cambi.
Sfortunatamente, dopo la sua morte le strade non hanno deviato, in lui continuiamo. Diventa la miscredenza della postmodernità… ma le sue opere continuano a chiedere speranza….
Il suo volto afflitto ci guarda, urla che la rivoluzione è dentro di noi, nelle nostre idee, solo lì risiede l’unica rivoluzione possibile.
Il tempo sembra essersi fermato, la lancetta dell’orologio non gira per tutto il tempo che sono dentro. Non esiste utopia per il maestro tedesco, dal permanente processo di continuo divenire dei legami, politici, economici, ecologici, storici e culturali fino al racconto e l’intervento – sembrano impartirmi una lezione.
Ne rimango rapita, il genio Beuys interagisce immediatamente con il pubblico, la gente lo guarda, lo osserva con deferenza, gli chiede consiglio. Io mi volto fuori, penso all’Italia, alla crisi politica e sociologica, gli chiedo aiuto… guardo fuori dalla finestra del museo. Opinatamente piove.
Un altro pezzo di storia se ne va.