Barbacetto, Gomez e Travaglio: “Giù le mani (sporche)!”

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“A rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa carriera”. E’ questa massima la prima cosa che viene in mente a chi assiste alla presentazione del libro Mani Sporche, scritto da Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio. Tre giorna

“A rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa carriera”.
E’ questa massima la prima cosa che viene in mente a chi assiste alla presentazione del libro Mani Sporche, scritto da Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio.
Tre giornalisti “veri”, duri e puri, che da anni denunciano la corruzione e gli “inciuci” della classe dirigente italiana e lo sfacelo dell’informazione, sempre più asservita al potere.
Questa volta, a presentare il libro insieme agli autori nella sala del Teatro Quirino, ci sono due ospiti d’eccezione: David Lane, corrispondente dall’Italia di “The Economist”, e Roberto Scarpinato, Procuratore Antimafia a Palermo.
La sala è gremita di persone, tanti giovani e anche qualche volto noto: dietro di noi riconosciamo Carlo Verdone, mentre nelle prime file sono presenti amici e colleghi degli autori, quali Furio Colombo e Rula Jebreal.
La moderazione del dibattito è affidata a Lane, che con un accento decisamente “british” introduce il libro.
Mani Sporche è il sequel di Mani Pulite, libro pubblicato nel 2002 e che copriva la cronaca degli anni dal 1992 al 2001 partendo dallo scandalo di Tangentopoli. Questo corposo secondo volume (914 pagine) si occupa invece del quinquennio berlusconiano e del primo anno e mezzo del Governo Prodi. L’editore è Chiarelettere (un nuovo marchio editoriale multimediale che vuole essere indipendente dall’influenza di partiti, associazioni, gruppi economici e religiosi).
Lane parla di un libro “bello ma brutto”, e a chi pensa ad un qui pro quo linguistico spiega subito le ragioni della sua affermazione: è un libro bello perché racconta con precisione fatti e circostanze reali e spesso taciuti, brutto perchè ogni pagina letta dà la fotografia, desolante, di un Paese in declino da 15 anni.
Dopo la sua introduzione, la parola passa al procuratore Scarpinato, che incanta la platea con un eloquio raffinato, preciso, circostanziato come solo un magistrato di lunga esperienza può avere.
Cita Mazzarino e Calamandrei, ripercorrendo alcuni degli scandali che hanno accompagnato l’Italia fin quasi dalla sua fondazione, individuando una continuità con quelli più recenti.
Poi fa un’affermazione amara, forse, provocatoria, ma sulla quale vale la pena riflettere: e cioè che è ora di finirla con la solfa della questione morale, perché in Italia non c’è mai stata una questione morale. La corruzione nel nostro paese è sistemica, e fin dalla sua fondazione ha costituito non una devianza, ma un mezzo di esercizio del potere, tollerato e condiviso. Non da tutti certo, ma da molti. Come dimenticare, ad esempio, che la Banca d’Italia venne fondata in seguito al crac e allo scandalo della Banca Romana, che coinvolse le più alte cariche del giovane Stato italiano?
La differenza con il passato semmai, nota Scarpinato, sta nel fatto che prima questo “codice“ di comportamento era segreto e interno alle classi dirigenti, mentre ora si fa in pubblico, non ci si nasconde più, è socialmente accettato e i deviati sembrano essere diventati gli onesti, come capitò ai testimoni di Mani Pulite. Non c’è neanche più bisogno della bustarella, oggi le tangenti sono favori, consulenze.
Il magistrato individua la cesura nella fine del pericolo comunista, che prima del 1989 frenava la rapacità di certa parte della classe dirigente, timorosa dell’avanzata rossa.
Ricorda come l’Italia sia sempre stata salvata dalle sue minoranze (ad esempio i partigiani) e difende appassionatamente la Costituzione, sempre più spesso attaccata da chi la ritiene “vecchia”.
Dopo un lungo, lunghissimo applauso, il microfono passa a Gianni Barbacetto, giornalista di “Micromega”, che spiega come la conoscenza dello scandalo delle scalate bancarie dell’estate 2005 (a Bnl, Unipol e Rcs), poi rinominato dei “furbetti del quartierino”, sia fondamentale per comprendere come oggi la corruzione, i comportamenti scorretti e gli scambi di favori siano assolutamente trasversali agli schieramenti politici, senza più nessuna distinzione tra destra e sinistra.
Ed è lì, in quelle telefonate, in quei comportamenti, e non nelle elezioni dell’Aprile 2006, che secondo Barbacetto si trova il passaggio del testimone tra l’Italia berlusconiana e quella degli “altri”.
Peter Gomez (“L’Espresso”) ironizza sulla mole del libro dicendo che “il diavolo si nasconde nei dettagli” e che era perciò necessario raccontare per filo e per segno le vicende di questi ultimi anni. Spiega che nel libro si tenta di separare la politica dalla giustizia, ma questo risulta complicato in un paese dove molti degli scandali politici emergono da sentenze della magistratura o da intercettazioni che, disposte a carico dei sospetti, li trovano poi spesso al telefono con parlamentari in carica.
Si chiede per quale motivo si debba sempre aspettare una sentenza definitiva della magistratura per ritenere grave un comportamento moralmente scorretto, poiché spesso comportamenti non penalmente rilevanti hanno un devastante peso politico e morale, e nonostante questo i partiti si ostinano a non procedere né ad una selezione dei loro candidati, né ad un ricambio delle classi dirigenti.
Afferma che l’Italia è ancora vittima della partitocrazia, con l’aggravante che prima i partiti avevano quantomeno migliaia di iscritti alle spalle, ora rappresentano solo interessi particolari e sono incapaci di rinnovarsi.
Conclude dichiarando lo scopo del libro: riappropriarsi della propria capacità di indignarsi e di protestare, cose possibili solo con una corretta informazione.
L’ultimo, esplosivo intervento è quello di Marco Travaglio (“l’Unità”, “Repubblica”), giornalista serio e rigoroso, ma con il raro dono di parlare anche dei fatti più scabrosi con grande leggerezza e chiarezza, che permette al pubblico di farsi anche qualche (amara) risata.
Travaglio inizia il suo intervento leggendo un’intervista a Licio Gelli, Maestro Venerabile della Loggia P2, nella quale l’anziano massone nota come negli ultimi anni molti punti del suo Piano di Rinascita Democratica siano stati attuati dalla politica.
Il giornalista prosegue parlando di come l’opinione pubblica italiana sia stata “normalizzata”. Attraverso il controllo (e spesso la collaborazione) dei mezzi di informazione il sentire comune viene pilotato, comportamenti e affermazioni che prima avrebbero quantomeno destato scalpore vengono taciuti o fatti passare per normali, mistificati.
Ad esempio, finché Berlusconi era al Governo, i ripetuti attacchi alla magistratura vedevano insorgere una parte dell’opposizione, della società civile e delle associazioni dei magistrati. Oggi che la magistratura è attaccata anche da sinistra (vedi De Magistris e Forleo) nessuna istituzione si leva in difesa della sua indipendenza, anzi, certe affermazioni ed accuse vengono considerate normali.
Non tutto però è perduto.
Una speranza di cambiamento è data dall’affluenza sempre maggiore a conferenze come questa, soprattutto di giovani, dalla nascita di nuove forme associative, come i Meet Up di Beppe Grillo o le associazioni degli studenti in Calabria e Sicilia che difendono i magistrati e dal rinnovato interesse verso libri come Mani Sporche e La Casta di Rizzo e Stella, segno che la gente è interessata ad avere una informazione vera e non filtrata dai grandi mezzi di comunicazione.
Su questa nota positiva si chiude la presentazione di un libro che, ne siamo sicuri, vale la pena di leggere.

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