“Nella vita ho due grandi passioni, scrivere e lo studio dell’arte, i due mondi prendono corpo insieme, ma procedono in parallelo. Fino ad un certo punto ho tenuto la scrittura a casa e il lavoro negli studi sull’arte, poi ho cominciato a capire che potevo unirli, dandogli un significato nuovo”. Fabrizio Pizzuto, trentacinque anni, della provincia di Messina, appartiene alla schiera di coloro che hanno deciso di vivere seguendo le proprie inclinazioni.
Pizzuto, che ha da poco co-curato l’esposizione di scultura e video “Battaglie d’amore in sogno” degli artisti Marco Bernardi, Giuseppe Moscatello e Valerio Ricci che si è svolta a Roma a Rialto Sant’Ambrogio e sta lavorando su due nuovi progetti – l’installazione “La scimmia (nascosta dietro l’asino nascosto dietro l’albero)” di Alberto Parres e la mostra “In cantina con Albrecht” del pittore Luciano Perrotta – ha le idee chiare sul suo futuro: coniugare l’esperienza di scrittore, con alle spalle tre libri pubblicati, con quella di assistente di artisti, per realizzarsi compiutamente come curatore di mostre e critico d’arte.
“Non so quale sia l’anima dominante tra i miei interessi, di certo scrivo racconti da sempre e oggi lo scrittore e il curatore trovano espressione nei cataloghi che realizzo per le mostre”.
Leggendo alcuni brani dei tuoi scritti, emerge in modo evidente una scrittura visiva, evocativa, come se fosse un’opera d’arte.
In tutto ciò che scrivo c’è un rapporto molto forte con l’immagine. Lo stile non è strettamente narrativo, assomiglia più ad un progetto d’arte, tutto vuol dire qualcosa, tutto ha una concatenazione con il resto e questo è proprio dell’arte e della pittura.
Quando un’idea è valida per essere raccontata?
L’idea, narrativa o di mostre che sia, è di valore se resiste nel tempo. Se continua a restare forte, se si sedimenta, diventa un’esigenza e acquista vita propria, deve essere concretizzata. Tante idee sembrano belle e poi muoiono da sole, altre si impongono subito, altre ancora restano nel cassetto per tornare fuori dopo mesi.
Quando l’idea nasce come progetto di mostra, penso a quali artisti la potrebbero realizzare, e la parte narrativa arriva in un terzo momento dopo il progetto e dopo l’opera degli artisti. Se nasce per un romanzo, resta mia, anche se per il tipo di scrittura mantiene un carattere visivo, legato ai meccanismi dell’arte.
Quale ritieni sia il valore della scrittura nel corredare una mostra?
Quando lego i racconti alla critica aumenta il carattere di progetto in termini di atmosfera emotiva e di stato d’animo che si crea, ed il racconto diventa un’altra opera aggiunta a commento. In queste circostanze lavorando con l’artista non si va tanto verso la celebralità, che c’è di base, ma verso l’espressione di un sentimento, anche se questo non sempre è vero, alcune volte il racconto così come l’installazione restano celebrali e tutto acquista un carattere narrativo.
Quanto conta il lavoro del curatore per un artista?
Combinandosi con l’opera d’arte, la scrittura da collaborazione all’artista, perché offre al pubblico un punto di vista aggiuntivo. Si tratta di una lettura delle opere alla luce dei tempi che viviamo, un’interpretazione che esce da schemi commerciali, che guarda all’interdisciplinarietà e, da questo punto di vista, quello che potrebbe sembrare un limite, diventa il suo punto di forza.
Tu e l’artista. Come vi compenetrate?
Quando collaboro con un artista procediamo insieme nella realizzazione del progetto. Stabiliamo una traccia che è il tema vero e proprio, elaboriamo l’idea che abbiamo in mente, decidiamo cosa serve, definiamo lo spazio a disposizione. All’interno di questi canoni, lui ha la massima libertà di realizzazione, può esprimersi come vuole, il rapporto tra di noi è di assoluta fiducia. A me spetta il ruolo di inserirmi sul suo lavoro e lo faccio con rispetto e collaborazione, lasciandolo come protagonista.
Uno stimolo o un ostacolo?
Ci costringiamo reciprocamente, ma sono gabbie larghe che non costituiscono un problema. Al contrario credo molto nelle gabbie, non le considero una partitura chiusa, sono utili perché danno uno schema di riferimento nel quale muoversi.
Quale è l’aspetto più interessante del tuo lavoro?
Trovo che sia molto bello parlare di un progetto a livello visivo e poi c’è il coinvolgimento emotivo. Spesso faccio anche l’assistente degli artisti e mi diletto ad allestire anche le mostre che curo. Sporcarmi le mani, oltre a divertirmi, mi da una comprensione in più su ciò che è il progetto. Un concetto tanto più vero oggi che ci sono le installazioni, nelle quali si utilizzano linguaggi e materiali diversi: dal disegno, ai video, alle fotografie, alle luci, alle tecniche digitali, il tutto mescolato insieme. Una volta, forse, si poteva fare i critici d’arte, senza aver mai realizzato un quadro, oggi il consiglio per chi vuole diventare curatore è proprio quello di sporcarsi le mani come assistente, che vuol dire conoscere con la pratica, sperimentare, cimentarsi.
Il tuo sembra uno sguardo molto concreto sull’arte di oggi.
Tutto può diventare arte, ma il progetto che l’esprime deve essere sensato, logico nella sua interezza, costruito lungo un filo conduttore che guida alla scoperta dello stato d’animo che si vuole comunicare. Gli artisti giovani con cui lavoro hanno imparato presto la lezione: la pratica di assistenti presso artisti affermati li ha resi smaliziati, sanno bene cosa vogliono comunicare e come possono farlo, conoscono le luci, hanno dimestichezza con lo spazio, hanno già affrontato la piazza e sono disponibili a sacrificare se stessi a vantaggio dell’installazione per trovare una soluzione che valorizzi l’opera. Questo è quello che intendo per costruzione sensata e logica.
Mi piace concludere la nostra chiacchierata, riprendendo un brano presente nell’introduzione del catalogo che hai realizzato per “Battaglie d’amore in sogno”, nel quale ho colto lo sforzo per realizzare quanto mi hai raccontato. Non è una semplice ispirazione, quanto piuttosto il tentativo di concretizzare qualcosa che non è solo dentro l’artista, ma appartiene a tutti noi e che viene mostrato e documentato dall’installazione:
“… Battaglia d’amore è fatta di armi medievali inesistenti, di tentativi fallaci di ricostruire un percorso all’interno di un luogo angusto, alla volta fisico e mentale. In questo lavoro non si procede per ordine o gradi di luce come nel noto capolavoro, bensì questo diventa pretesto per raccontare le difficoltà di una battaglia moderna. I video trasognanti e meditativi si mescolano alle sculture misteriose di grandi volti impauriti o tentennanti, e agli insoliti marchingegni di guerra. Quello che otteniamo è una teoria di spazi e di momenti, in cui abbiamo volutamente dimenticato la dimensione della meditazione e del riferimento allegorico per proporre immagini inaspettate, attualizzate, moderne… una battaglia della mente per la quale ci mostriamo onestamente impreparati, con la nostra imprecisione, col nostro spaesamento e col nostro coraggio”.