David Rieff: “Le cose non miglioreranno”

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David Rieff è un giornalista statunitense che si occupa soprattutto di immigrazione, azione umanitaria, politica americana nel dopo guerra fredda e Nazioni Unite. Pochi sanno che è il figlio...

David Rieff è un giornalista statunitense che si occupa soprattutto di immigrazione, azione umanitaria, politica americana nel dopo guerra fredda e Nazioni Unite. Pochi sanno che è il figlio della grande intellettuale e giornalista americana Susan Sontag. Scrive per il “New York Times Magazine”, e collabora con molti altri giornali statunitensi ed europei, tra cui “The New Republic”, “Los Angeles Times Book Review” e “Prospect”. È autore di Un giaciglio per la notte (Carocci 2005) e curatore, insieme a Roy Gutman, della raccolta di saggi Crimini di guerra (Internazionale/Contrasto 2003). Il suo ultimo libro, Sulla punta del fucile, è stato appena pubblicato da Fusi orari. L’incontro con Rieff è l’occasione per fare un punto della situazione mondiale vista dagli Stati Uniti, sull’amministrazione USA e le Nazioni Unite. Può aiutarci a decriptare la mappa del mondo e è ancora attualissima. Oggi viviamo infatti una fase di grande cambiamento: l’amministrazione Bush è al tramonto, le idee neo-con hanno perso consenso, non sono più le idee guida. Però la situazione continua a essere disastrosa in Iraq, con la minaccia dell’apertura di un nuovo fronte in Iran. Ma con Rieff si parla anche del tema, scottante, della democrazia in Birmania e della crisi umanitaria in Darfur.

Come vedi questo momento, questa fase di cambiamento?
Credo sia importante ricordare che l’amministrazione Bush è ancora al potere. Parliamo della fine di un regime e è vero che la campagna elettorale è già iniziata, ma soprattutto in politica estera Bush è ancora un re in carica e può succedere ancora di tutto perchè ha molto tempo a disposizione. Il giudizio dell’amministrazione Bush sull’Iraq è molto diverso dal nostro: la possibilità di una guerra in Iran è reale, ma mi spaventa sempre fare delle previsioni. Una volta sono andato a un incontro con il Dalai Lama. A un certo punto, una persona ha fatto una di quelle domande che noi chiamiamo da “softball”, una domanda facile, se ci fosse speranza per la pace in questo mondo e lui ha risposto “non lo so”. Nessuno sa cosa accadrà in Iran. Quello che è più chiaro è che gli interventi militari vivono una crisi: la guerra che Bush prima chiamava “globale al terrorismo” ora è cambiata in “lunga” e basta. Sintetizzando il pensiero neo-conservatore, il modello “intervento militare, instaurazione di un governo democratico e stabilità” non funziona più. A esempio in Darfur l’idea di un intervento militare non è politicamente possibile, perchè la situazione si è notevolmente complicata. Alcune ong, come “Sos Darfur” in Europa e “Save Darfur” in America, delineano una situazione semplicizzata del Darfur per costruire una perfetta campagna politica di sostegno, un pò idealizzata. Possiamo anche attestare la fine di un certo entusiasmo per gli interventi militari. Tony Blair a Chicago nel 1999, proprio prima della guerra in Kossovo, disse: “in futuro l’occidente combatterà guerre per i valori e non per gli interessi”. La verità è che doveva dire che in futuro l’occidente avrebbe combattuto guerre per gli interessi. La fantasia di guerre per i valori non ha alcun senso dopo l’Iraq.

Il tuo libro Sulla punta del fucile ha questo sottotilo: sogni democratici e intervento armato. Parla del tuo personale cambio di vista: “pensavo che in Kossovo l’intervento della Nato fosse giusto e mi sono sempre chiesto perchè non si è intervenuto in Ruanda”. Non c’è il rischio che adesso l’occidente rinunci completamente a intervenire là dove dovrebbero far sentire la loro voce, in Darfur e in Birmania?
Per gli europei l’idea che i paesi rinuncino agli interessi per i diritti umani fa molta presa, ha senso. È una disposizione morale che viene dalla seconda guerra mondiale. Ma questa disposizione europea non corrisponde a quella del resto del mondo. L’idea delle Nazioni Unite di un governo mondiale morale è fallita. La mia idea è un Inter-governo tra le nazioni. Dopo la guerra fredda c’è stata una facilità di comunicazioni tra le nazioni che prima non c’era, ma questo non ha aumentato il risolvimento dei problemi umanitari e delle crisi internazionali. A esempio la Cina sulla Birmania ha molti interessi e non ascolta ragioni di sorta. È ancora importante cosa succede all’interno di questi paesi. La politica nazionale è ancora prioritaria. E poi bisogna aggiungere che le nazioni uniti sono state create nel 1943 in una situazione completamente diversa da quella attuale. Oggettivamente le cose non miglioreranno. Io ho la speranza per i miei figli, ma non è una speranza realistica. Gucciardini diceva: “non aver paura che la tua città è in declino, tutte le città lo sono, preoccupati del fatto che sei annoiato che la tua città sia in declino”.

I neo-con hanno espropriato l’umanitarismo. Hanno dato una sola alternativa: la guerra. Cosa si può fare?
Questa è una domanda costante negli USA. Credo che ci sia un grande valore nella verità. “SOS Darfur” ha una impostazione umanitaria, ma implicitamente le loro battaglie sono politiche, chiedono un radicale cambio politico di regime in Darfur. Il politico è per definizione meglio del privato. Questo è positivo ma che cosa si può fare? La prima cosa non è fantasticare che le cose vanno tutte bene insieme. Per esempio: durante la guerra gli interventi umanitari devono essere coordinati. Non bisogna avere poi una visione distorta delle cause delle cose orribili che vediamo sui luoghi di guerra: la verità è che le persone non commettono genocidi perchè ignorano le leggi internazionli o commettono terribili crimini perchè non hanno avuto un’istruzione. Le ragioni sono molto più sottili. Siamo contro gli interventi militari, ma quale sono le alternative quando ti scontri con la realtà. Spesso le ong non partono da situazioni realistiche per descriverci situazioni che non conosciamo. Sono descrizioni fantasiose fortemente idealizzate.

Pensi che le mobilitazioni internazionali servano a fare pressioni? Prendi il caso della Birmania: qualcosa si è fatto nonostante il boicotaggio di Cina e Russia?
Quando parlo di idealisti e realisti non disegno una contrapposizione manicheista. Non voglio esagerare l’intervento e le pressioni internazionali. Forse sono diventanto cinico nel vedere il risultato delle pressioni internazionali in Bosnia e in Serbia. Un giorno la Nato ha deciso a Bruxelles di fare simbolici bombardamenti a Sarajevo. È questo che realmente successo. Non è stato un intervento militare. È stato un impegno fasullo. Per dare all’opinione pubblica l’idea che al mondo interessava veramente fermare i massacri. La Birmania è completamente diversa. Lì c’è veramente un tentativo di alleggerire la pressione della Cina sulla Birmania. Attraverso il boicottaggio delle olimpiadi si potrebbero raggiungere buoni risultati. L’unica cosa utile da fare è questa.

Qual è la visione che hanno gli USA dal mondo dopo l’Iraq? Com’è vista l’Europa dagli USA? E quanto le visioni di Usa e Europa del mondo coincidono?
A un primo livello penso che in tutti i paesi e continenti ci sia un assorbimento verso gli USA. Un’assimilazione. Prendete la fondazione del Partito Democratico da voi o la politica che sta intraprendendo Sarkozy in Francia. Ma non solo qui: anche in Brasile, India e ecc ecc. È la globalizzazione. Non credo che sia solo una colpa degli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Iraq le persone in USA sono molto confuse. Dopo una prima forte opposizione, ora le persone non sanno cosa pensare. In un certo senso in America c’è molta più attenzione ora per la politica interna che estera. Katrina è stato un fenomeno che ha spostato buona parte dell’elettorato verso i democratici. Ma non va sottovalutata la guerra in Iraq. Tra Usa e Europa c’era molta più distanza di vedute prima dell’elezione di Sarkozy. Ora i due governi più grandi e più forti, Francia e Germania, sono filoamericani e avvicinano l’Europa agli Usa.

Pensi che il prossimo presidente sarà un Democratico? E sarà Hillary Clinton?
Se la situazione resta la stessa fino al 2008, l’impopolarità di Bush, se la guerra continua, Clinton ha buone possibilità di vincere. Obama non rappresenta un candidato decisivo alle primarie: non ha reali possibilità di essere eletto. Tutto è già deciso. Bisogna dire che lei deve crescere molto in esperienza e è molto conscia delle sue capacità. Il punto di maggiore forza di Hillary è il marito. È interessante vedere come Bill Clinton abbia adottato un attegiamento più reganiano. Usa tutti i trucchi di Regan. Da un altro punto di vista Hillary Clinton, e la sua gente, hanno anche assimilato la lezione di Bush nella campagna elettorale: controllo del messaggio, mai fare qualcosa di spontaneo, assolutamente essere cauti, non mettere il candidato in una posizione di controllo della campagna elettorale. Queste sono alcune innovazioni che hanno portato Bush alla vittoria sia nel 2000 che nel 2004. Credo che le primarie siano già state scritte. Ma quelle generali del novembre 2008 sono ancora molto lontane e può succedere di tutto. Ma a ora i Repubblicani sembrano abbastanza rassegnati e non hanno ancora presentato un candidato credibile. Giuliani sembra il più forte, ma è pazzo, è quello che è risultato chiaro durante il suo mandato di sindaco a New York, città in cui vivo.

Ci racconti meglio la figura di Giuliani?
Giulani è un personaggio complesso. Quando venne per la prima volta a New York e fu eletto non era molto male agli inizi. Ha migliorato molto la qualità della vita a New York combattendo la criminalità e l’inquinamento. Il suo successo è dipeso soprattutto dalla campagna che ha fatto contro il crimine: ora Londra è più pericolosa di New York, mentre prima dell’arrivo di Giuliani era il contrario. È una figura autoritaria forte e fino a qui tutto bene. Il fatto è che le sue campagne hanno avuto un atteggiamento razzista sopratutto contro la comunità afroamericana. Questo è uno strappo che ha dovuto ricucire il suo successore Blomberg. Giuliani ha ridato un’immagine positiva di sè anche l’11 settembre: lui si è spacciato eroicamente come salvatore della città, ma senza dubbio è stato lì e ha lavorato anche come volontario. Giuliani è una specie di Nixon, sempre alla ricerca di nemici, ma bisogna avere anche degli amici. È più semplice in una città: Giuliani era supportato dalle due comunità più importanti di New York, quella bianca e quella ispanica, e aveva l’appoggio dei cattolici. Ma a livello generale il mix nixoniano e conservatore lo hanno portato a sostenere l’abolizione dell’aborto e la liberalizzazione delle licenze per le armi. A livello generale perde molti consensi in quell’elettorato che non è poi così conservatore.

Che cosa pensi della conferenza di pace tra israele e Palestina che si deve svolgere a Annapolis?
Gli USA non sono intenzionati a cambiare il loro sostegno incondizionato a Israele. E neanche i Democratici. La conferenza è destinata a fallire.

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