Captain Quentin: “Niente voci, solo la musica al centro dell’attenzione”

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Michele Alessi (chitarra dei Captain Quentin) lo conosco da anni: da quando suonava noise/freejazz con gli All jazz era e robusto rock ‘n’ roll con i Malajerba. I Captain Quentin...

Michele Alessi (chitarra dei Captain Quentin) lo conosco da anni: da quando suonava noise/freejazz con gli All jazz era e robusto rock ‘n’ roll con i Malajerba. I Captain Quentin sono la nuova creatura (non solo sua, come leggerete i Captains sono cinque teste pensanti) di questo personaggio vulcanico. Li ho intervistati dopo lo showcase tenuto per la trasmissione Sotterranei pop. Le loro risposte sono quelle di chi ama senza compromessi l’arte che produce.
Ascoltateli attentamente, delle volte ci facciamo influenzare dall’esterofilia dilagante, ma in Italia abbiamo alcune band decisamente capaci di reggere il confronto con la scena alternative rock internazionale.

Come mai avete scelto di terminare la vostra precedente esperienza come Malajerba, che pure avevano prodotto due ottimi dischi, e continuare come Captain Quentin eliminando le parti cantate?
Nella primavera del 2005 scegliemmo di porre fine all’esperienza Malajerba, ciò avvenne per una serie di motivi: Marco (il bassista) scelse di trasferirsi nella capitale per motivi di studio, ponendo così gli altri 4 componenti di fronte a due possibili soluzioni. La prima era quella di trovare un sostituto e, di conseguenza, fermarsi per un determinato periodo in modo da rimettere su il nostro live set. La seconda, di contro, contemplava una scelta un po’ più difficoltosa, specie a livello emotivo: mettere un punto a ciò che avevamo fatto fino ad allora, ed approfittarne per rinfrescare un po’ la nostra proposta musicale, slegandoci un po’ da un progetto che era stato sì importante, ma che pagava dazio alla nostra inesperienza. Così dopo un’estate di riflessione, iniziammo a gettare le basi per il nuovo progetto. La scelta di eliminare le parti vocali nelle produzioni Captain Quentin deriva dal fatto che nessuno di noi è realmente un cantante, ma a dire il vero, nessuno di noi sente la necessità di aggiungere qualche cosa a quello che suoniamo; preferiamo insomma concentrarci sulla musica e metterla al centro dell’attenzione, mantenendo anche in questo modo una maggiore esportabilità, prospettiva per noi abbastanza vitale visto i gusti classici del pubblico nostrano.

Le vostre composizioni sono molto lunghe, ed in ognuna ci sono molteplici spunti. Spiegatemi il vostro processo creativo.
A parte qualche eccezione, in verità le nostre composizioni non sono poi così lunghe. Credo che questa impressione possa derivare dalla molteplicità delle parti che spesso caratterizzano un nostro brano. È vero anche che in fase compositiva, alcuni pezzi che su disco appaiono come tracce separate, sono parti diverse di un unico lungo brano, sezionato successivamente per scelte relative alla concretezza. In linea di massima lavoriamo accostando parti differenti nati in momenti e ambiti diversi, modellandole in modo farle combaciare alla perfezione o da lasciare un evidente stacco netto, a seconda dei casi. Molta importanza ha comunque l’improvvisazione attorno a temi iniziali, temi che poi molto spesso vengono abbandonati. Ci capita spesso di fruttare gli errori durante la composizione: a volte una nota o un accento sbagliato aprono molte più strade di qualsiasi armonizzazione premeditata.

La vostra musica strumentale è figlia di moltissimi ascolti. Quali sono le vostre principali influenze?
Concordiamo decisamente sui molteplici ascolti visto che siamo 5 persone che ascoltano musica a volte agli antipodi. Ci è capitato più di una volta che qualcuno dopo averci ascoltato dal vivo si sia convito che noi fossi assidui ascoltatori di progressive, dando inizio ad un elenco di nomi della scena prog ad alcuni di noi totalmente sconosciuti. A parte questi episodi comici, in realtà potremmo solo dire che alcuni di noi ascoltano math e post altri hard rock, piuttosto che free jazz o avant folk senza disdegnare il cantautorato d’autore italiano.

Michele Alessi (il chitarrista N.d.R.) ha sempre tenuto in piedi dei progetti paralleli, al momento quali esistono ancora?
(Michele) Più di uno di noi è impegnato in altri progetti: io oltre ai Captain Quentin al momento sto rimettendo su il progetto Vinsent con l’aiuto di due amici: Yandro Estrada (Camera 237) ed Alessandro Bloise. Inoltre da un anno a questa parte suono con i Maisie, band di Cinzia La Fauci ed Alberto Scotti della Snowdonia Records, con i quali tornerò in tour nei primi mesi dell’anno nuovo. Proprio in questi giorni sto chiudendo un disco (Volume Uno) a mio nome, dai contenuti molto free. Libero Rodofili (bassista e sassofonista) porta avanti parallelamente il progetto avanguardistico QB. Mentre Filippo Andreacchio (chitarra) assieme a me e a Libero suona nel collettivo di musica improvvisa(ta) a nome Keng, un progetto aperto che ha coinvolto spesso anche i restanti due capitani Enzo Colarco e Massimo Carere.

La scelta di non cantare la sentite come una limitazione?
Sappiamo benissimo come la musica strumentale non goda di particolare attenzione da parte del grande pubblico, quindi sotto questa ottica potrebbe essere una limitazione. Ma in realtà dal nostro punto di vista è piuttosto un bene. Sì perchè dovere mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore ci autorizza a fare della musica, e con la musica, tutto ciò che vogliamo, giocando con stacchi improbabili e accostamenti ritmici al limite della follia, senza dover mai mollare la presa per riservare qualche spazio alle parti vocali. In fondo, come dicevamo prima, è una scelta consapevole che non può quindi mai trasformarsi in limitazione, almeno dal nostro punto vista.

Venite da un paese minuscolo in provincia di Reggio Calabria (Taurianova N.d.R.) e vivete a Cosenza per motivi di studio. Quanto è difficile suonare la vostra musica nel Sud Italia?
In realtà solo uno di noi vive a Cosenza, i rimanenti 4 vivono, lavorano o studiano tra Taurianova e San Giorgio Morgeto. Spesso e volentieri Cosenza col suo crescente fermento musicale ci ha dato occasione per esprimerci al meglio, e qui risiedono anche la nostra agenzia (Partyzan Booking) e la persona che si prende cura assieme a noi del progetto Captain Quentin, ovvero Rino Borselli. Ma comunque 4/5 del gruppo rimangono stanziati nel proprio paese di origine. Sappiamo di portare avanti un progetto musicale decisamente ostico ai più, ma ciò non ci spaventa per nulla: siamo consapevoli di non poter “campare” con i proventi (quali proventi??) del gruppo, tutto quello che facciamo è per puro piacere personale. È ovvio che se fossimo un gruppo di Bologna ci risulterebbe molto più facile raggiungere i posti che contano della nostra scena, e purtroppo sappiamo bene che non è solo una questione di chilometri.

Il fatto che la vostra musica sia strumentale non significa che non sia suggestiva ed, in un certo qual modo, letteraria. Quali sono i vostri scrittori e\o libri preferiti?
Tra le cose che leggiamo volentieri (in ordine sparso): William Faulker, Louise Ferdinand Celine, John Fante, John Cheever, John Updike, Georges Ivanovič Gurdjieff , Marco Travaglio, Charles Bukowski, Benjamin Franklin, Erasmo Da Rotterdam, Ian McEwan.

Consigliate ai nostri lettori cinque dischi che per voi sono stati fondamentali.
Ci trovi impreparati a questa domanda, è difficile fare così su due piedi 5 nomi e poi dormire sonni tranquilli. Scherzi a parte ci prendiamo un po’ di tempo per rispondere: ci vediamo qui tra due/tre mesi. Il primo che arriva aspetta.

 

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