Mongibello e la festa della campana

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Alle famigliole che compongono il numeroso stuolo dei turisti dello shopping della domenica, certo non importa che in alcuni punti i cartelloni del “Mercatone” nascondano nei dintorni di Misterbianco alle porte di Catania

Alle famigliole che compongono il numeroso stuolo dei turisti dello shopping della domenica, certo non importa che in alcuni punti i cartelloni del “Mercatone” nascondano nei dintorni di Misterbianco alle porte di Catania, la vista di quella che fu la fucina di Efesto (metallurgico per un buon motivo: dimenticare i tradimenti della moglie). Alla gente dei centri commerciali interessano solo gli acquisti e le americanate di luci e posteggi sospesi, ore e ore di camminamenti intorno a quanto è possibile acquistare. A loro non importa per dove si è buttato Empedocle e dove Eolo ha nascosto i venti; la gente che affolla le tredici sale cinematografiche della Warner city di Etnapolis, cerca altre fantasie che quelle dei Ciclopi fabbricanti di saette proprio accanto a loro. Peccato, che delusione! E dire che a noi siciliani piace cedere il posto accanto al finestrino col sorriso complice che si riserva a un bambino curioso, quando da Catania l’aereo si alza ed è tutto un mormorio di ammirazione, e di dita che indicano, fianchi che si toccano, sguardi che si spingono fuori, attorno a quell’enorme pezzo di terra franca a quella montagna col fumo in cima. Noi intanto sfogliamo distrattamente una rivista per ostentare, senza darlo a vedere, il possesso e l’appartenenza , pronti a spiegare, se qualcuno ce lo chiede, che la visione di un’unica montagna è solo un’illusione ottica dovuta alla grandezza, che esistono tante montagne, tante bocche, tante colate. E se qualcuno finalmente lo chiede, diamo spiegazioni con sguardo sapiente, ma senza particolari emozioni. Vogliamo che si veda, che si sappia che noi Mungibeddu ce l’abbiamo sempre: nel riquadro di una finestra, nello specchietto di un’automobile dovunque andiamo, nell’orizzonte di un belvedere dovunque ci fermiamo. E’ nostra. E nei discorsi tra amici dopo l’ultima colata: ma lo sai che la valle del bove non esiste più? -Quale?, quella dove ci lasciavamo scivolare puntando i calcagni?- sì dove ci siamo fermati a mangiare le olive cunzate e anche il rifugio non esiste più, quello dove vi siete addormentati tutti e dovevo cambiare la legna soltanto io. – Ma quella volta poi…no, meglio non parlarne di quando sbagliammo il sentiero, ma non troppo perché non saremmo qua a raccontarlo e la sera scendeva implacabile e anche il vento, sotto i piedi cenere e lapilli; un passo avanti, due indietro, giù, maledettamente giù senza vedere la fine e perdi il materassino, gli occhiali, la fiducia di farcela. – Ti ricordi? ho riso tutta la notte per scampata tragedia, quando per miracolo su un semplice spuntone di roccia il mondo ritornò un po’ più consistente ed orizzontale sotto di me. – Non volevo che tu capissi che stavamo morendo. – Lo so. – “Minchia, cchi ridi! Iù sognu mortu!”, ti dissi soltanto.
Da quei centri commerciali tutto ciò non si vede, non si sente, ma l’Etna c’è, c’è ancor più dentro il paese, nel nero degli edifici, i basoli… e i ricordi. Sì il dubbio che Misterbianco non fosse il paesone anonimo dei centri commerciali, m’era venuto a Carnevale: una sfilata di costumi degna di Venezia e forse ogni anno ne parla solo qualche rete locale. Dentro il paese la gente si conosce, si parla, il tessuto sociale è vivo ed intatto: il maestro di scuola è un’autorità, il professore poi non ne parliamo. Vivo di luce riflessa quando passeggio con la professoressa di matematica nel giorno di una festa particolare: “Domenica domenica vieni c’è la professoressa!” nugoli di ragazzini si raccolgono mentre le madri si sbracciano e gridano e chiamano i figli in esternazioni di gioia e riverenza. – E’ venuta per la festa della madonna degli ammalati professoressa? Ora dopo la messa c’è la cantata. –
Qui in Sicilia ogni volta che c’è una festa ci sono sempre madonne e signori di mezzo e il rischio di vedere in immagini sincrone, devozionali e blasfeme insieme, vecchine sdentate col rosario in mano e sudore e cazzotti, botti e americanelle (noccioline americane) , chierichetti e ammazzatine…(no no, solo nei film). “La festa religiosa è tutto, tranne che una festa religiosa, dice Leonardo Sciascia, è l’esplosione dell’es collettivo…”. A Misterbianco la festa della Madonna degli ammalati non è la festa della Madonna degli ammalati, è la festa della campana. Però alla Madonna si inneggia e si canta. La gente forma vari cerchi nella piazza, aspetta il via della banda e poi comincia, tenendosi a braccio e ondeggiando, ad interpretare la cantata, prima veloce e poi lenta e poi veloce ancora.
Ai figli tuoi amorosi
volgi pietoso il ciglio
Maria d’ogni periglio
Salvi saremo allor.

Anche lì però il dubbio che la Madonna non c’entri, bensì la passione per Bellini e la melomania. – Per la festa di sant’Antonio ogni quartiere c’ha la sua cantata: la cantata di sant’Orsola, quella di santo Rocco, di santa Lucia, del quartiere dei maestri, ci spiega una signora diligentemente, e adesso che è nato un nuovo quartiere ha anche la sua cantata naturalmente. –
Intanto i ragazzi in cerchio han preso a saltare e dimenarsi, volano cazzotti e spintoni:- E’ la ballata dopo la cantata -, ci spiega la signora senza scomporsi.
– Canta canta -, mi fa una vecchia avvicinandosi, non conosci l’inno di Misterbianco? -. Mi dà un colpo sulla spalla come per farmi ritornare la memoria e con lo stesso braccio dirige a mo di direttore d’orchestra:
Non più pensate a cosa fallace….borobòn boro bòn.
– Stanotte non l’ha vista la processione?-
– No –
– Come no? Alle due l’uscita della campana, alle cinque il ritorno della campana.-
– Ma che campana è? –
– Come che campana è! E’ la campana della colata del 1600. –
E qui apprendiamo due scuole di pensiero: è la campana che chiamò a raccolta i misterbianchesi dopo la distruzione del paese, o è la campana miracolosa che restò e lasciò indenne le cose attorno e anche l’albero di olivo dove venne ritrovata?
– E questa festa, ogni anno, la fate per scongiurare…? –
– No, per quello solo il manto di sant’Agata ci può, e poi il vulcano non è cattivo, non muore nessuno di lava, troppo lenta anche quando è inesorabile. Noi sappiamo qui attorno che oggi a me domani a te colpisce tutti, oggi Zafferana, domani Nicolosi o Trecastagni, ma non è cattiva l’Etna.- È anche lui un professore quello che aggiunge informazioni e ci descrive l’atmosfera e i falò attorno alla gente che conduce la campana in processione di notte.
– Adesso si stanno facendo degli studi per verificare l’esatto percorso, quello originale della campana -.
– Ah sì? –
– E anche per vedere se la casa dove si distribuiscono i panini durante il percorso è la stessa di trecent’anni fa-, riprende la signora di prima.
Provo un moto di gratitudine e di affetto per questa gente della mia terra, quella che tenta sempre con ogni mezzo della ragione, la quadratura del cerchio negli argomenti più strampalati; e se non fossi siciliana per natura mi piacerebbe diventarlo d’ufficio. Anzi sapete che vi dico? Voglio dedicarmi anch’io allo studio sull’esatto percorso della campana che chiamava a raccolta gli abitanti di Misterbianco durante l’eruzione del 1600. Cercherò tra documenti originali e rilevamenti topologici e analisi del territorio. Vado.

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