I comuni immortali di Isabella Marchiolo

di

Data

Dentro ognuno di noi c’è qualcosa di immortale, destinato a rimanere anche quando non ci saremo più. Sia che rimanga in forma eterea e spirituale attraverso il ricordo di chi continua a vivere, sia che rimanga in modo concreto e tangibile attraverso ciò che si è riusciti a costruire o creare durante il proprio percorso.

Dentro ognuno di noi c’è qualcosa di immortale, destinato a rimanere anche quando non ci saremo più. Sia che rimanga in forma eterea e spirituale attraverso il ricordo di chi continua a vivere, sia che rimanga in modo concreto e tangibile attraverso ciò che si è riusciti a costruire o creare durante il proprio percorso. E sono proprio storie di comuni immortali (e quindi a noi straordinariamente vicine) quelle che prendono vita nei racconti di Isabella Marchiolo, giornalista calabrese con un’innata passione per quella poesia che altro non è che trovare delle immagini diverse per descrivere ciò che abbiamo nella vita di tutti i giorni. Venerdì sono andata alla presentazione del suo libro d’esordio Comuni immortali (Palomar ed.) al Caffè Fandango, punto di ristoro e piccolo teatro di cultura nel centro di Roma. E come spesso accade in queste circostanze, capita di restare affascinati dalla lettura di alcune parti del libro, di pentirsi di essere andati da “profani” e si corre a comprarlo. Per poi iniziare a leggerlo il più presto possibile. Io non aspetto molto, lo inizio già in metro, mentre torno a casa dopo una giornata lunga ed intensa. Ho bisogno di rifugiarmi da qualche parte. C’è una parte (tratta da “Nella buona e nella cattiva sorte”) che mi colpisce in particolar modo, trovando in me e nel mio stato d’animo attuale un terreno piuttosto fertile:

Ettore e Viola si sono trapassati il corpo e l’anima. Candidi e folli cospiratori hanno attraversato mondi immaginari e sono ritornati alla realtà, sicuri di ritrovarsi tra la gente comune, a dividere lo stesso segreto. Nei giorni del loro amore ogni cosa della vita era diventata leggera, perché ognuno sapeva di avere l’altro. Si custodivano dentro, per la strada, nei giorni, nelle notti. C’erano entrambi, uniti, anche quando non erano insieme.

Il racconto parla di una coppia il cui (fino ad allora perfetto) equilibrio viene minato dallo spettro di una possibile infezione che potrebbe avere colpito entrambi. Comincia allora un clima di sospetto reciproco che va indebolendo sempre più il loro rapporto:

Ad Ettore e Viola è toccata la buona sorte di una rara corrispondenza dell’anima, e hanno creduto che sarebbe stato questo ad unirli. Saranno legati, invece, nella cattiva sorte? Forse la loro storia è troppo totale per non lasciarsi dietro un segno. O forse la sua potenza farà esplodere tutto, disintegrando quello che c’è stato e disperdendolo dove nessuno dei due potrà rintracciarlo.

Fino ad annullarlo del tutto, dopo un ultimo, intenso incontro:

Quella sera si erano amati con furia disperata. Ognuno nel tentativo di giurare all’altro che non l’avrebbe dimenticato, entrambi impauriti di non essere all’altezza della promessa. I corpi cancellano presto quello che sembrava dovesse rimanere inciso su di essi. Le anime lo conservano, ma la loro memoria è fragile e non possiede la forza giovanile e impetuosa della fisicità: al contrario invecchia facilmente e si ritrova a guardare da lontano i ricordi, chiedendosi se si tratta di realtà o fantasia.
Basta un piccolo varco e ci si trova esattamente dove chi scrive vorrebbe portare il lettore. Si riesce a trovare una chiave di lettura che, magari, è proprio quella giusta ed aiuta a capire ogni singolo racconto che poi è un tassello di uno stesso mosaico, di un universo che va lentamente prendendo vita ed in cui ogni componente acquista un significato peculiare in quanto parte integrante di un tutto. Perché si tratta di un universo sognato e ancora da sognare, perché vissuto e ancora da vivere. Sono storie che potrebbero capitare ad ognuno di noi (comuni), ma che vanno oltre le convenzioni (immortali, per l’appunto). Raccontateci in modo sentito ed intenso, con una voce che Giulio Mozzi, nella prefazione, definisce “vetro smerigliato”.
Dieci storie. Senza tempo e senza spazio. O meglio, con una vaga ambientazione meridionale che caratterizza ogni singolo racconto ma in cui chiunque può ritrovarsi, perché alla fine si fa riferimento a luoghi dell’anima, accessibili a tutti coloro che abbiano la sensibilità per approdarvi, a prescindere dalle proprie origini o provenienza. Michele Trecca , l’editore, parla di modernità atemporale. Perché ci si ritrova in una dimensione sospesa ed insieme attuale, nel tentativo di entrare in quella zona d’ombra che ci portiamo dentro per riuscire a comprendere in un qualche modo un’umanità “ammaccata”. Come la stessa dedica iniziale ci conferma: A noi, al nostro mondo invisibile.
Secondo Trecca il senso del libro è tutto in un punto del primo racconto, da lui fortemente voluto nonostante le resistenze della scrittrice:

Il treno passa tra scenari gemelli che sembrano usciti da una catena di montaggio difettosa, dove ogni prodotto mostra imperfezioni.

E sono proprio queste imperfezioni a divenire oggetto di analisi e riflessione. I temi affrontati sono i più vari. “Da sud” racconta il ritorno di una donna nella propria città natia, che aveva lasciato molti anni prima in cerca di un futuro migliore. E rivederla comporta vecchie e nuove riflessioni.
C’è la nostalgia per ciò che è stato, e non tornerà più:

Quando arrivo il treno passa accanto alla casa dove ho vissuto con l’uomo che amavo, quasi si affaccia sul suo giardino: se l’erba è tagliata, so che lui è ritornato. Mentre la locomotiva corre, misuro le case, le distese di campagna e le strisce di spiaggia, fino all’attimo in cui, dal finestrino, vedo quella casa. Qualche volta, se parto la mattina presto, mi addormento. Ma quando passo da lì, un indefinibile rumore di ricordi torna a chiamarmi, e mi risveglia.

E c’è l’amara consapevolezza di aver perso ogni legame con la propria terra:

Quando me ne sono andata ero certa che non mi sarebbe mancato, questo piccolo mondo consumato, un mozzicone di matita moribondo, pronto a scomparire spegnendo i suoi ultimi tratti. Non mi sbagliavo. Ma è molto peggio il vuoto che non avere più nulla di cui sentire la mancanza.

Soprattutto nel momento in cui anche l’amico di sempre sta per partire ed andare via:

Vincenzo ha deciso di partire. La prossima volta tra i miei soliti amici forse non lo troverò. Anche per lui, presto, la nostra città si trasformerà in una terra straniera, che si diverte a cancellare i ricordi ai quali uno è legato: la spiaggia di dolcissime ore d’amore; la panchina con l’eco di confidenze e lacrime; la piazzetta del centro direzionale, dove si andava a pattinare di nascosto la notte e il custode faceva finta di non vedere. Questo ed altri luoghi si sposteranno appena di qualche millimetro alal volta. Ma tanto basta per far smarrire l’orientamento: nessuna cosa ti sembra più al suo posto, ritrovarla diventa impossibile. Una mano invisibile muove gli elementi della tua città, come fossero pezzi su una scacchiera,e tu non sei capace di rispondere alle mosse. Senza che te ne accorga, la partita finisce, e non ti resta altro che camminare smarrito sui quadrati bianchi e neri, completamente vuoti.

In “Una bellissima coppia”, invece, la scrittrice ritrae perfettamente quella fase che, probabilmente, tutte le relazioni sentimentali sono destinate ad attraversare. Ovvero il momento in cui l’amore diventa abitudine ed allora si cercano strade e opportunità diverse che diano nuova vita ad un rapporto altrimenti destinato ad avviarsi inesorabilmente verso la fine.

Lorenzo ed Alma sono a letto, davanti alla televisione, come ogni sera. Escono di rado e le loro serate si concludono così: dopo la cena o le ultime sigarette, il rituale sonnolento di film o demenziali varietà guardati senza interesse. Le immagini cambiano e i loro occhi le registrano con indifferenza, per far trascorrere il tempo.

Ecco allora che Lorenzo propone ad Alma (nome che chi ha letto “La storia dell’amore”, di Nicole Krauss, troverà straordinariamente familiare) degli scambi di coppia, affascinato da quel mondo dove le cose proibite si fabbricavano alibi di regolarità come bozzoli di baco. Lì dentro, al sicuro, la gente si abbandonava ad ogni tipo di perversione, cercando vie di fuga da qualcosa che preferiva non identificare.

In “Si può anche impazzire”, ancora, la scrittrice ricorda l’infanzia come un mondo idilliaco che non tornerà mai più:

So bene che di quegli anni in me non c’è più niente. Il corpo del passato è stato cancellato insieme ai sogni, alle illusioni, alle paure. Nel tempo, luoghi e persone hanno strofinato sull’immagine di quella vita che iniziava, e le tracce di ogni cosa mia sono sbiadite, fino a scomparire, lasciando, al posto della figura originaria, una nuova superficie bianca e piatta. Nulla di quel tempo lontano è sopravvissuto alla realtà.

Come un mondo in cui ci si sentiva forti ed onnipotenti:

Credo che in nessun’altra età mi accadrà di provare quel rassicurante senso di solidarietà. Gli adolescenti sono tutti fratelli: qualunque desiderio o dolore portino dentro si sentono ribelli e invincibili. Uniti. Armati dalla loro ardente giovinezza contro l’incomprensibile quiete degli anziani.

Per poi constatare il fallimento dei propri sogni:

Niente è come prima, il mondo della mia infanzia non esiste più. E’ scomparso portandomi via con sé, e non ho neanche voglia di sapere dove sia adesso, per tornare indietro e riprendere me stessa. Non servirebbe: io non sono più in grado di illudermi che tutto ciò in cui credevo sia mai stato reale e possibile. E non saprei cosa dire alla persona che sognavo di diventare, per giustificare il fallimento dei suoi sogni.

“Luna e cipolla” racconta di una ragazza che si ritrova a “vivere” la relazione sentimentale tra due donne spiandone la corrispondenza email, come per trovare un risarcimento alla propria solitudine perdendosi ed annullandosi nella storia di qualcun altro:

Leggere protetta dal caotico anonimato di internet le parole d’amore che Cipolla scrive a Luna, mi confonde. Sono una ladra di sentimenti, capisco che è scorretto spiare confidenze così private. Ma mi concedo l’assoluzione pensando che il loro segreto con me sarà al sicuro. Mi assolvo perché considero quell’amore un risarcimento al deserto della mia vita affettiva. Il mio cuore si è trasformato in un territorio annullato da un’esplosione. Forse per ricostruire tutto sarà necessario più del tempo che ho a disposizione. Mi immergo nel mondo di Luna e Cipolla, in cerca di particelle della loro sicurezza e solidarietà. Ma l’amore non si impara. Prima di spegnere il computer queste due ragazze possono regalarmi l’illusione euforica di partecipare ad un’avventura della quale in realtà non so nulla.

Ed infine, c’è “Comuni immortali”, che dà il titolo all’intera raccolta. Racconto che Trecca non avrebbe inserito ma che la scrittrice, dal canto suo, ha voluto a tutti i costi. La storia di una donna sposata che assume un investigatore per spiare l’uomo che ha amato per anni nei momenti in cui lei, dovendo tornare a casa dal marito, non potrà spiarlo direttamente. Per essere sicura di trovarsi sempre lì, nella vita di Ivan, in tutti i gesti e le abitudini di lui. Alla fine i due si incontrano di nuovo, casualmente. Rinasce l’amore, destinato però ad un tragico epilogo.
Cosa direste di noi? Una donna che spia un uomo per avere un posto invisibile nelle sue giornate. L’uomo spiato la rivede e capisce che è davvero così. Lei non è mai uscita dalla sua vita. Forse era una muta scatola su uno scaffale, il movimento leggero di una tenda, lo schiocco del legno di un mobile, la pagina rilegata male sulla quale un libro insiste ad aprirsi. La sua figura resta più familiare di qualunque altro. Nessuno tranne lei può capire quello che lui prova quando, ovunque sia al mondo, sente di essere fuori posto. Ci troverete insieme perché da soli siamo sempre stati troppo spaventati, in tutto. Siamo arrivati fin qui in due e adesso sappiamo. L’angoscia è ritornata ad essere qualcosa di ignoto che non riusciamo a controllare. Di nuovo quell’ombra di tristezza del pomeriggio nel bosco. Il futuro ci deluderà, ma non possiamo impedirci di desiderarlo. La nostra fragile volontà. La potenza della solidarietà fra le nostre ossessioni. E questo amore, così forte che ci sembra di credere che rimarrà qui, implacabile, anche quando noi non ci saremo più.

Che dire. Prima in metro e poi a casa, nel giro di poche ore, ho letto l’intero libro, e questi sono stati i racconti che mi hanno colpito maggiormente. Mi sono ritrovata catapultata in un mondo a parte che ho sentito mio, perlomeno in parte. E da cui non sono ancora uscita. Proprio come scrive Giulio Mozzi nella prefazione:

Non c’è trasparenza: c’è una materia semidensa nella quale il mio sguardo entra, si invischia, rimane prigioniero. Non posso dire di aver provato piacere, lì invischiato. Non posso dire di essere stato felice, prigioniero lì dentro. Ma devo dire che questa materia semidensa mi è rimasta attaccata addosso. Che non me ne sono liberato facilmente. Come non ci si libera facilmente, a volte, di uno sguardo scambiato con una persona incrociata casualmente nel corridoio d’una carrozza di treno; o di una frase colta al volo, mentre si fa la fila alla cassa del supermercato, da una conversazione che si svolge in un’altra fila.

E proprio come una comune immortale.

Altri racconti
in archivio

Sfoglia
MagO'