
La gente fa la fila per racimolare la sua razione quotidiana d’acqua potabile, la sola cosa non ancora sintetizzata in pasticche o tavolette. Eh sì, fa la fila perché molti dei corsi d’acqua non ancora prosciugati sono inquinati. È stato persino deviato il corso del Tevere: ora non scorre più in città. Si era ridotto a un torrente malsano. Sul fondale si è trovato di tutto: automobili del secolo scorso, scheletri e rottami di ogni genere (quelli che chiamavano elettrodomestici), insieme a anfore romane e a relitti di barche di varie epoche. Tutti oggetti ora esposti al “Museo del Tevere”. Ora, dove prima scorreva il fiume, c’è un’importante arteria di comunicazione, e sembra che il problema del traffico sia stato quasi risolto.

L’aria è irrespirabile. Solo in grandi centri al chiuso è possibile inalare ossigeno, chiaramente artificiale, a pieni polmoni. Ormai la vita si svolge nei grandi camminamenti che collegano tra loro gli edifici. Si esce solo per pochi minuti, giusto il tempo di salire sulle idrometropolitane leggere o sui propri vettori, e poi si rincasa.

A vivere all’aria aperta sono rimasti soltanto i disadattati e gli immigrati che non sono riusciti ad integrarsi. Sono chiamati gli “scoperti”. Gli scoperti provano a coltivare alla vecchia maniera qualche campo a ridosso dei grandi stagni delle discariche di liquefazione, ma invano. Le piogge non scarseggiano, ma sono acide. Il cielo è color terra e i raggi del sole faticano a filtrare attraverso la densa cappa polverosa.
Si può trovare un po’ di refrigerio sotto gli ultimi alberi rimasti, intorno alle grandi vecchie ville al nord della città, ma la maggior parte della vegetazione è scomparsa, ha smesso di crescere – a Roma come in tutto il Pianeta – dopo gli ultimi grandi incendi, i disboscamenti e le varie catastrofi ambientali dei primi anni del terzo millennio.


Mio nipote mi domanda quanto vivono gli “scoperti”; molto poco, rispondo. Quaranta o cinquant’anni al massimo, ed è già tanto perché l’incidenza del tumore ai polmoni o alla pelle è alta. Per gli altri invece la vita media è salita a 87 anni, sia per gli uomini che per donne; ci sono parecchi ultracentenari e pochi bambini.
Tra una domanda e l’altra facciamo scorrere i mini DVD quadrimensionali sul megaschermo olografico. Si tratta di documentari scientifici del secolo scorso sul paradiso terrestre delle Galapagos, un patrimonio sommerso dalla stupidaggine nera dell’uomo nel secondo decennio del secolo. Quando ero piccolo si proiettavano spesso le comiche di Stanlio e Ollio, con un super8, su una parete bianca e liscia.

Oggi chi è fissato con la natura lo fa richiamandosi alla passata new age. Il sogno è forse quello di recuperare qualcosa del legame che ci univa alla dimensione del mistero della vita e della natura, che probabilmente abbiamo distrutto per sempre.

Mio nipote mi chiede il perché di tutto questo. Vedi, rispondo, l’uomo pensava di essere libero ponendosi, con la benedizione di Dio, come unica creatura intelligente al di sopra delle leggi naturali. Ma Dio – la Natura – si è ribellato, come un anticorpo con una cellula impazzita. Ecco, noi siamo proprio delle cellule impazzite. Non abbiamo capito che essere liberi vuol dire essere come le stelle, che seguono liberamente le loro traiettorie. Allo stesso modo noi dovremmo seguire consapevolmente il nostro destino.

Segni come testimoni del tempo
Portfolio di Alessandro Torrelli




