L’ingresso al Teatro Rasi di Ravenna ha qualcosa di sacro. Infatti era una chiesa del 1250, intitolata a Santa Chiara, che aveva degli affreschi di Giotto, ora divelti, e che divenne una cavalleria prima di un teatro. Anche se arriviamo trafelati, perché abbiamo trovato traffico a Bologna, restiamo di stucco di fronte alla bellezza della facciata, alle alte volte della platea e alla sala piena zeppa di giovani. A Roma il teatro non è così popolare e seguito, ma qui siamo a Ravenna, forse la capitale europea del teatro contemporaneo, una scena vitale e all’avanguardia. L’occasione di stasera, venerdì 20 aprile, è lo spettacolo Borges+Goya dell’autore argentino Rodrigo Garcia nell’ambito e alla fine della quinta edizione del “Nobodaddy” un festival-antologia di teatro contemporaneo organizzato dal Teatro delle Albe, la compagnia fondata nel 1983 da Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni. Sul sito del Teatro delle Albe si legge che la parola è una delle invenzioni di William Blake: un gioco di parole tra “nobody” (nessuno) e “daddy” (papà) per definire Dio con un non-nome, un non-credo e un non-essere. Il festival, da novembre a aprile, ha messo in scena le opere delle compagnie Fanny & Alexander, Teatro Clandestino, Lady Godiva Teatro e appunto Teatro delle Albe con i suoi numerosi progetti teatrali. Ma veniamo allo spettacolo di stasera di questo autore argentino, ospite speciale, più famoso in Italia che in Spagna dove vive e in Argentina. Sono due monologhi scritti e diretti da Garcia: uno sul poeta argentino Borges in spagnolo e uno sul pittore Goya in francese.
Borges: Dopo un blob in cui Borges annuisce come un cane da cruscotto, i dittatori argentini, i gol di Maratona, scene di scontri e proteste di piazza, immagini pornografiche e ancora Borges, sulla scena appare un alieno blu che spruzza, con un vaporizzatore, del veleno su una mela illuminata dall’interno. È un racconto autobiografico dell’incontro con un Borges ormai vecchio e cieco, silente e condiscendente con la dittatura. Il giovane alieno-Garcia studia intensamente Schopenhauer per fare una domanda a un incontro pubblico al poeta che gli risponde che Schopenhauer è “l’apice”, parola che l’alieno-Garcia non conosce. Allora il monologo diventa un violento attacco a Borges che si immagina fatto a pezzi e trasformato in brace per cuocere i panini degli ultras del Boca Juniors, una squadra di calcio (sport che Borges odiava). Alla fine l’alieno mangia la mela.
Goya: Un frustrato padre francese, travestito da un pupazzo peluche, mascotte dell’Atletico Madrid (un’altra squadro di calcio, ma spagnola), si rifiuta di portare a Disneyland Paris i brillanti, anche se seienni, figli e vuole dimostrare loro come si scialacquano i soldi veramente. Ritira tutti i soldi in banca, porta i figli a Madrid, affitta Peter Sloterdijk (solo perché un filosofo alla moda) per intrattenerli nei trasbordi in taxi e progetta di entrare, nottetempo, nel Museo del Prado per vedere i quadri di Goya senza nessuno che rompa loro i coglioni.
Il primo monologo forse più interessante, il secondo più divertente e furbetto, ma in linea di massima un po’ deludenti, comunque di alto livello. Il teatro di Rodrigo Garcia è un teatro estremo, spesso volutamente volgare, un teatro post-umano. Si post-umano è la parola giusta. Garcia vorrebbe essere lo Houellebecq del teatro contemporaneo. L’incontro successivo con l’autore non è proprio trascendentale, anzi molto noioso.
All’una di notte ci ritroviamo a cena con tutta la truppa e Garcia stesso nell’unico ristorante aperto di Ravenna, il Naif. Al tavolo c’è la nuova generazione di ragazzi del Teatro delle Albe, impegnati nel progetto della “non-scuola”, dei laboratori di teatro nelle scuole del ravennate, Luigi Dadina, il presidente e il direttore artistico del Ravenna Teatro e alcuni componenti dei Fanny & Alexander che stanno preparando un nuovo lavoro su Landolfi. Insomma mangiamo i cappelletti al ragù e parliamo di teatro contemporaneo fino alle tre di notte.